Pur nella comunanza di valori, Ue e Usa hanno interessi geopolitici differenti ed è mancata un’azione per riequilibrare il peso Usa nella Nato: la creazione di una difesa europea può fornire il baricentro all’Alleanza
Per decenni ci eravamo chiesti, senza pervenire a una risposta soddisfacente, quale fosse in realtà il confine est dell’Europa e se la Russia potesse essere considerata parte del continente almeno sino agli Urali, come preconizzava il Generale De Gaulle, o se invece ne fosse completamente estranea. Ora il Presidente russo, Vladimir Putin, sta fornendo una risposta ai due quesiti che, pur non essendo definitiva, appare comunque destinata a condizionare per decenni i rapporti fra i due lati della frontiera.
Egli sostiene, infatti, in primo luogo, e lo fa più con la forza delle armi che con quella delle idee e della parola, che la Russia non è né Europa né Asia, bensì un’entità autonoma non identificabile con nessuna delle due. Quanto alla linea di frontiera, per l’autocrate del Cremlino essa divide a metà ben tre paesi, vale a dire la Moldova dal cui territorio la Russia ha ritagliato la Transnistria, la Georgia, cui con una guerra sono state sottratte Ossezia e Abkazia, e infine l’Ucraina, amputata già nel 2014 della Crimea ed ora fatta oggetto di un devastante attacco che mira a sottrarle tutta la parte est del Paese, e probabilmente a toglierle qualsiasi accesso al mare. Il modo in cui tutto questo insieme di azioni si è articolato nel tempo ricorda molto, nel suo complesso, la politica adottata da Hitler nella seconda metà degli anni ‘30 del secolo scorso, allorché egli allargava i confini della Germania procedendo per passi successivi e fidando sull’inerzia indotta dalla paura delle grandi democrazie dell’epoca. Nel caso odierno però l’imprevedibilità del pensiero di Putin, che non ha esitato a scatenare una guerra ritenuta impossibile e la sta portando avanti con una ferocia che sino a ieri pensavamo tutti fosse soltanto un ricordo di altri tempi più bui, ha finito non soltanto col compattare i due lati dell’Atlantico che compongono l’Occidente ma anche con l’indurli a prendere una posizione ben precisa e molto dura sin dall’inizio del conflitto.
Di sicuro la guerra russa all’Ucraina, nonché il modo in cui essa viene condotta, è quanto di più contrario possa esistere a ogni nostro principio e valore. Non è però soltanto per questo e per solidarietà con il Paese aggredito che l’Occidente si sta esponendo sempre di più nel quadro di una reazione collettiva che si fa costantemente più forte e ha da un lato lo scopo di fornire all’Ucraina i mezzi militari necessari per resistere mentre dall’altro cerca di minare le basi stesse dell’economia russa creando le condizioni per un eventuale cambio di regime a Mosca. A monte di questi motivi vi è infatti anche il timore, che si fa ogni giorno più forte ed esplicito, di un possibile allargamento della guerra al territorio di Paesi che fanno parte dell’Alleanza atlantica, cosa che costringerebbe la Nato a reagire e trasformerebbe il conflitto in una vera e propria Terza Guerra mondiale.
Si tratta in sostanza dell’ipotesi che terrorizza fin dallo scioglimento del Patto di Varsavia e dal dissolvimento dell’Unione sovietica tanto i Paesi ex comunisti dell’Europa centrale quanto le Repubbliche Baltiche, di certo non ansiosi di ripetere un’esperienza che per loro è stata di catastrofica soggezione. D’altro canto questa è anche un’ipotesi che la Russia stessa pur temendola non scarta, come dimostra il modo in cui, forse per esorcizzarla, ritiene opportuno ricordare di tanto in tanto a tutto il resto del mondo la sua condizione di grande potenza nucleare.
Ci troviamo in sostanza per molti aspetti a dover far fronte a un futuro costellato da incertezze e rischi di ogni tipo e in cui sarebbe opportuno poter disporre di strumenti idonei a far fronte ad ogni emergenza che dovesse presentarsi. Purtroppo sul piano della sicurezza e della difesa le cose non stanno affatto così. Un periodo di pace lunghissimo e il progressivo attenuarsi dei valori connessi ai doveri collettivi ci hanno portato infatti all’assurdità di ritenere che guerre entro i nostri confini non fossero più possibili e a un disarmo che è più morale che materiale. L’unico efficace strumento di difesa di cui disponiamo, la Nato, presenta quindi un’impressionante serie di difetti e di carenze, più volte segnalati, ma cui nel passato non si è mai messa seriamente mano, rinviando di volta in volta una bisogna che alle opinioni pubbliche dei nostri paesi poteva suonare come sgradita.
La prima cosa che è mancata è stata in tale quadro un’azione diretta a riequilibrare all’interno della Organizzazione il peso del suo pilastro americano rispetto a quello europeo, cosa che ha consentito agi Stati Uniti, specie nel corso degli ultimi trenta anni, di comportarsi da padroni pressoché assoluti della struttura. Si tratta di un fatto che ha già prodotto effetti negativi nel passato e che rischia di produrne altri ancora più gravi nel futuro. Pur nella quasi totale comunanza di valori America ed Europa hanno infatti interessi che a volte sono fortemente divergenti. Si veda il caso del rapporto con la Russia, che per l’Unione europea, in circostanze diverse da quelle attuali, sarebbe l’ideale partner complementare. O più semplicemente al fatto che non è certo nelle aspirazioni americane una crescita europea che possa domani condurre l’Unione a insidiare il mantra della “America first”. In tempo di pace queste tensioni rimangono per la maggior parte latenti. In momenti di forte tensione come quello attuale lo strapotere americano soprattutto nel settore della potenza militare, lascia invece alla nostra Ue ben poca libertà di scelta con la conseguenza che l’onere di quasi tutte le decisioni prese finisce in pratica col ricadere quasi esclusivamente su noi europei.
Questo sarebbe quindi il momento di pensare seriamente a quella elusiva difesa europea che rincorriamo dal secondo dopoguerra senza mai riuscire realmente a concretizzarla, malgrado il fatto che disponiamo ormai di tutto quello che ci serve. Il nostro bilancio complessivo per la difesa ci pone infatti al secondo o terzo posto nel mondo, anche se l’impossibilità di effettuare sino ad ora economie di scala mina la nostra efficacia. La nostra tecnologia è d’avanguardia. In molte azioni Nato già contribuiamo con circa il 90% del personale impegnato. Il territorio su cui si combatterebbe un’eventuale guerra è quello dei nostri paesi. Basterebbe che l’iniziativa partisse come una cooperazione fra alcuni dei grandi Paesi dell’Europa e la maggior parte degli altri Stati membri probabilmente seguirebbe. Cosa aspettiamo dunque?
La creazione di un reale forte pilastro europeo di difesa tra l’altro non avrebbe soltanto l’effetto di fornire all’Unione quel braccio armato di cui essa necessita in questi momenti di paura e incertezza ma conseguirebbe altresì, come già accennato, il risultato di rendere più forte, equilibrata ed efficace l’Alleanza Atlantica, e quindi la Nato a valle di essa. È il momento di muoverci, dunque, anche perché la finestra di opportunità che si è aperta negli ultimi tempi e che sino ad ora ci ha permesso di fronteggiare uniti la duplice contingenza della malattia e della guerra potrebbe dissolversi domani, travolta dall’ondata di quegli egoismi nazionali che ci hanno sino ad ora ancorato al passato e impedito di procedere verso il futuro. L’Ungheria di Orbán ha già preso quella strada e nella Francia che affronterà fra poco le elezioni presidenziali crescono giorno dopo giorno i consensi per chi desidera una Francia che sia solo francese e non europea. Sì, il momento è veramente questo in cui ci troviamo, per comunanza di valori ma anche per orrore e per paura, ancora tutti uniti. Adesso… o chissà quando!
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
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Per decenni ci eravamo chiesti, senza pervenire a una risposta soddisfacente, quale fosse in realtà il confine est dell’Europa e se la Russia potesse essere considerata parte del continente almeno sino agli Urali, come preconizzava il Generale De Gaulle, o se invece ne fosse completamente estranea. Ora il Presidente russo, Vladimir Putin, sta fornendo una risposta ai due quesiti che, pur non essendo definitiva, appare comunque destinata a condizionare per decenni i rapporti fra i due lati della frontiera.
Egli sostiene, infatti, in primo luogo, e lo fa più con la forza delle armi che con quella delle idee e della parola, che la Russia non è né Europa né Asia, bensì un’entità autonoma non identificabile con nessuna delle due. Quanto alla linea di frontiera, per l’autocrate del Cremlino essa divide a metà ben tre paesi, vale a dire la Moldova dal cui territorio la Russia ha ritagliato la Transnistria, la Georgia, cui con una guerra sono state sottratte Ossezia e Abkazia, e infine l’Ucraina, amputata già nel 2014 della Crimea ed ora fatta oggetto di un devastante attacco che mira a sottrarle tutta la parte est del Paese, e probabilmente a toglierle qualsiasi accesso al mare. Il modo in cui tutto questo insieme di azioni si è articolato nel tempo ricorda molto, nel suo complesso, la politica adottata da Hitler nella seconda metà degli anni ‘30 del secolo scorso, allorché egli allargava i confini della Germania procedendo per passi successivi e fidando sull’inerzia indotta dalla paura delle grandi democrazie dell’epoca. Nel caso odierno però l’imprevedibilità del pensiero di Putin, che non ha esitato a scatenare una guerra ritenuta impossibile e la sta portando avanti con una ferocia che sino a ieri pensavamo tutti fosse soltanto un ricordo di altri tempi più bui, ha finito non soltanto col compattare i due lati dell’Atlantico che compongono l’Occidente ma anche con l’indurli a prendere una posizione ben precisa e molto dura sin dall’inizio del conflitto.