Dal Nord Stream 2 al Tap, passando per l’EastMed: in Europa si continua a parlare di infrastrutture per il gas naturale. Ma i finanziamenti sono pochi
Il 2020 è stato un anno molto particolare per la transizione energetica. Nei primi mesi dell’anno si diceva ad esempio che la crisi del coronavirus e il crollo dei prezzi del petrolio avrebbero disincentivato il passaggio alle fonti rinnovabili. E invece abbiamo assistito all’esatto contrario: la pandemia e i piani di rilancio economico hanno impresso un’accelerazione alle politiche ambientali e agli investimenti nella decarbonizzazione.
Si è passati poi a indicare il gas naturale come la fonte-rifugio per eccellenza, che avrebbe senz’altro accompagnato le rinnovabili nel breve-medio termine. Adesso invece la necessità di una fonte fossile che faccia da “ponte” è diminuita sia per una ragione di costi (il fotovoltaico, in particolare, è diventato molto più conveniente), sia per l’emersione di rivali più sostenibili (l’idrogeno), sia perché parecchi Governi hanno alzato le quote per il taglio delle emissioni entro il 2030.
Il Tap e l’Italia
In Europa si continua tuttavia a parlare di infrastrutture per il gas naturale. Il 31 dicembre sono iniziate pienamente le operazioni del Gasdotto Trans-Adriatico, meglio noto come Tap (Trans-Adriatic Pipeline), che trasporta il gas azero passando per la Grecia e l’Albania fino ad approdare nel Salento, in Italia.
Ma le prospettive di lungo periodo del Tap sono incerte perché – come ha scritto Sissi Bellomo sul Sole 24 Ore – l’Unione europea è diventata meno favorevole ai combustibili fossili, incluso il meno inquinante di tutti. E anche perché il gas dell’Azerbaijan deve affrontare la concorrenza del gas naturale liquefatto (Gnl) statunitense. Il Tap può magari contribuire a diversificare le fonti di approvvigionamento energetico italiane ed europee, ma – considerata la capacità – non è affatto sufficiente a risolvere il problema della dipendenza dalla Russia. Né basterà a fare dell’Italia un hub del gas per l’Europa meridionale.
Sempre Bellomo notava però che il Tap potrà essere positivo per i consumatori italiani perché, attraverso i contratti a lungo termine, farà probabilmente abbassare i prezzi dell’energia.
Il Nord Stream 2 e gli Stati Uniti
Se il Tap, nonostante le limitazioni, apre comunque all’Europa una nuova rotta per il gas naturale, il Nord Stream 2 – il raddoppio dell’omonimo gasdotto nel Mar Baltico, che però collegherà direttamente Russia e Germania – potrebbe al contrario rafforzare la posizione di Mosca come fornitore energetico del Vecchio continente. La Russia infatti già soddisfa il 46 % della domanda di gas europea; il Nord Stream 2 le permetterebbe di inviare altri 55 miliardi di metri cubi l’anno.
I lavori del Nord Stream 2 sono completi al 94%: mancano appena 75 chilometri. La loro realizzazione è complicata innanzitutto dagli Stati Uniti, che si oppongono al progetto per diversi motivi: perché vogliono evitare un rafforzamento dei contatti tra Berlino e Mosca; perché non vogliono che la Russia ottenga ulteriore influenza geopolitica sull’Europa; perché vogliono promuovere le esportazioni del proprio Gnl.
Per ostacolare il Nord Stream 2, Washington ha approvato un gran numero di sanzioni verso tutte le aziende che partecipano al progetto. Ma il gasdotto è criticato anche dalle organizzazioni ambientaliste, che lo ritengono in contraddizione con gli impegni climatici ed energetici fissati da Bruxelles nel Green Deal.
L’EastMed e la sconvenienza economica
Oltre al Tap e (soprattutto) al Nord Stream 2, l’altra infrastruttura per il gas naturale più discussa in Europa è l’EastMed. L’opera collegherebbe i giacimenti nel Mar Mediterraneo orientale alla Grecia; da qui, il gas raggiungerebbe l’Italia attraverso la tubatura già esistente.
Come il Tap – con il quale condivide peraltro la capacità: 10 miliardi di metri cubi all’anno –, l’EastMed consentirebbe all’Ue di diversificare gli approvvigionamenti energetici. Il progetto ha però dei costi notevoli e, al di là degli entusiasmi politici, potrebbe rivelarsi insostenibile sia dal punto di vista economico che ambientale.
Charles Ellinas, senior fellow dell’Atlantic Council ed esperto di energia, ha spiegato che le grandiose aspettative sul ruolo dell’EastMed nel mercato europeo del gas sono perlopiù fantasie. L’accelerazione della transizione energetica comporterà una diminuzione della domanda di gas nel continente: la Commissione europea prevede un calo del 20-25% dei consumi entro il 2030, e un calo del 75-85% entro il 2050. Questo significa che solo le forniture più economiche riusciranno a rimanere sul mercato. Ci sono già opzioni più competitive del gas via EastMed, come quello russo oppure il Gnl americano; restando nel Mediterraneo, sarebbe forse preferibile puntare sulle infrastrutture per il Gnl in Egitto.
L’EastMed non potrà nemmeno contare sui finanziamenti provenienti dalle istituzioni europee. Il progetto rientrava tra quelli “di interesse comune” – che ricevono cioè misure di sostegno economico e autorizzativo –, ma questa etichetta non sembra più adatta alle infrastrutture per le fonti fossili, dalle quali Bruxelles si sta distaccando per concentrarsi su altro: le rinnovabili, l’idrogeno, le batterie, la cattura del carbonio. Già sappiamo che, dopo il 2021, la Banca europea per gli investimenti non finanzierà più i progetti sul carbone, il petrolio e il gas.
Il 2020 è stato un anno molto particolare per la transizione energetica. Nei primi mesi dell’anno si diceva ad esempio che la crisi del coronavirus e il crollo dei prezzi del petrolio avrebbero disincentivato il passaggio alle fonti rinnovabili. E invece abbiamo assistito all’esatto contrario: la pandemia e i piani di rilancio economico hanno impresso un’accelerazione alle politiche ambientali e agli investimenti nella decarbonizzazione.
Si è passati poi a indicare il gas naturale come la fonte-rifugio per eccellenza, che avrebbe senz’altro accompagnato le rinnovabili nel breve-medio termine. Adesso invece la necessità di una fonte fossile che faccia da “ponte” è diminuita sia per una ragione di costi (il fotovoltaico, in particolare, è diventato molto più conveniente), sia per l’emersione di rivali più sostenibili (l’idrogeno), sia perché parecchi Governi hanno alzato le quote per il taglio delle emissioni entro il 2030.
Il Tap e l’Italia
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