Il Partito liberaldemocratico cala, ma di poco, alle elezioni generali. Il neo premier Fumio Kishida incassa una fiducia sopra le attese e può dare il via al suo programma economico
La vittoria non era in dubbio, ma era in dubbio come questa vittoria sarebbe arrivata. E alla fine il Partito liberal-democratico ha vinto bene, calando rispetto al passato ma piazzandosi bene al di sopra dell’obiettivo minimo e delle previsioni.
Il Giappone era il grande assente del G20. A Roma era presente solo il viceministro degli Esteri. Sì, perché domenica 31 ottobre si sono svolte le elezioni generali per la camera bassa del Parlamento con la terza economia mondiale che è andata alle urne mentre il mondo era tutto concentrato su quanto accadeva nella capitale italiana. Fumio Kishida, che lo scorso 29 settembre ha ottenuto la nomina a leader del Partito di maggioranza e in seguito è diventato Primo Ministro, può tirare un sospiro di sollievo. Il Jiminto ha conquistato 261 seggi: 15 in meno rispetto ai 276 della legislatura precedente, ma ben al di sopra dell’obiettivo di 233 per ottenere la maggioranza assoluta. A questi vanno aggiunti i 32 seggi del partito buddista Komeito, alleato in crescita rispetti ai 29 conquistati nel 2017. Il totale a disposizione della coalizione di Governo è dunque di 293 seggi sui 465 totali.
Si tratta di un risultato importante e per certi versi insperato, dopo che l’anno di interregno di Yoshihide Suga aveva fatto precipitare il gradimento dell’opinione pubblica nei confronti del Jiminto. Nel 2020 diverse elezioni locali o suppletive erano state vinte dall’opposizione o da candidati indipendenti, rafforzando i timori della forza di maggioranza di poter subire un netto calo alle urne. Anche per questo Suga è stato portato alle dimissioni e sostituito da Kishida. Eppure, anche nei giorni precedenti al voto, i sondaggi restituivano un tasso di popolarità nei confronti del nuovo Governo piuttosto basso. Tanto che c’era già chi immaginava una vittoria mutilata, con tanto di messa in discussione immediata di Kishida e ritorno alla cronica instabilità politica dell’era pre Shinzo Abe, restato in sella per otto anni consecutivi. Un record per il Giappone degli ultimi decenni, dove cambiano spesso i volti dei premier ma non il partito alla guida del Paese.
Le proporzioni dell’affermazione rincuorano invece Kishida, che ora potrà invece portare avanti i suoi programmi, che soprattutto sul piano economico presentano degli elementi di discontinuità rispetto al recente passato e alla cosiddetta Abenomics. Il premier ha promesso nell’ultimo mese una “redistribuzione della ricchezza” (che a diversi analisti ha fatto venire in mente la “prosperità comune” di Xi Jinping) e un nuovo “capitalismo giapponese“. Il primo passaggio dovrebbe essere quello di misure pensate per i lavoratori. Allo studio un graduale aumento del salario minimo orario e sgravi fiscali per le aziende che aumenteranno i salari.
L’idea, insomma, è quella di intervenire sui redditi e sulla capacità di spesa piuttosto che proseguire con una politica monetaria espansiva. In arrivo entro novembre un pacchetto di stimoli da decine di miliardi di yen per rafforzare la ripresa economica post Covid, con un occhio di riguardo alle famiglie. Pronto anche il rilancio della campagna “Go to Travel” di sussidio al turismo e alla ristorazione nazionale. E la manovra di bilancio sarà probabilmente uno dei primi atti del nuovo Governo. Più complesso intervenire sull’aumento delle spese per la difesa, che nei piani di Kishida dovrebbero essere raddoppiate e portare al 2% del prodotto interno lordo. Con un’attenzione nei confronti delle mosse di Cina e Corea del Nord, che tra test balistici, missili ipersonici e passaggi nello Stretto di Tsugaru stanno creando qualche preoccupazione a Tokyo.
Non tutti hanno vinto, però, nella maggioranza. Akira Amari, numero due del Jiminto, è stato sconfitto nel suo distretto e ha rassegnato le dimissioni dal ruolo di segretario generale del partito. Il suo posto verrà preso da Toshimitsu Motegi, attuale Ministro degli Esteri. Di conseguenza, agli Esteri potrebbe approdare l’ex Ministro della Difesa Yoshimasa Hayashi, già stretto collaboratore di Abe. C’è poi da sottolineare il dato deludente sull’affluenza, 55,79%, che è comunque di due punti superiore rispetto al 2017.
Delude anche l’opposizione, che per la prima volta aveva approntato una strategia unitaria e collaborativa per provare a infastidire i liberaldemocratici. Impresa ampiamente fallita. Il Partito democratico costituzionale ha perso 14 seggi rispetto al 2017, scendendo sotto quota 100 (96). In calo anche il Partito comunista, 10 seggi contro i 12 precedenti. Sorprende invece il Partito Ishin (Japan Innovation Party), che diventa la terza forse del Paese con 41 seggi: quasi il quadruplo dei precedenti 11. Partito con radici regionali a Osaka, ha alimentato una retorica conservatrice populista che ha dato i suoi frutti alle urne.
La partita, in Giappone, sembra ancora tutta interna alla maggioranza.
La vittoria non era in dubbio, ma era in dubbio come questa vittoria sarebbe arrivata. E alla fine il Partito liberal-democratico ha vinto bene, calando rispetto al passato ma piazzandosi bene al di sopra dell’obiettivo minimo e delle previsioni.