Il processo contro Awadallah e Sharif Hassan e, ancor prima, il tentato colpo di Stato dimostrano la fragilità della monarchia giordana. E con gli Accordi di Abramo il Paese è schiacciato
Si è concluso con due condanne a 15 anni di carcere il processo contro un ex consigliere e un cugino del re di Giordania, accusati di stare preparando un complotto contro la monarchia. Secondo fonti di stampa sia locale che internazionale, Bassem Awadallah, ex capo della corte reale e consigliere del re, e il cugino del re, Sharif Hassan bin Zeid, sono stati condannati per sedizione.
I due erano stati arrestati ad aprile scorso nell’ambito di una inchiesta che riguardava anche il fratello più piccolo del re Abdullah, il principe Hamzah, il quale dopo aver giurato pubblicamente fedeltà al re non dovrà subire alcun processo. È stato però messo agli arresti domiciliari e le sue comunicazioni sono sotto controllo. Awadallah e Sharif Hassan sono stati accusati di aver aiutato a organizzare un complotto ordito dal principe Hamzah per alimentare il dissenso contro il regno di suo fratello.
Il processo si è tenuto a porte chiuse, scatenando non poche polemiche anche dalla stampa, esclusa dal poter seguire le udienze. La sentenza dovrà ora, entro 30 giorni, essere confermata o meno da un tribunale superiore. Tutto dunque è ancora aperto, soprattutto considerando che entrambi i condannati si sono sempre dichiarati non colpevoli. Gli avvocati giordani dei due hanno detto di non accettare tale sentenza e che presenteranno appello. Le accuse sono state formulate soprattutto a seguito di intercettazioni ambientali relative a messaggi tra il principe Hamzah, Awadallah e Hassan che parlavano di voler fomentare le proteste di alcuni leader tribali per la corruzione e le politiche del Governo che hanno tagliato i loro mezzi di sussistenza.
L’eco mediatico
Del caso, che ha avuto ampio risalto mediatico, si è interessata anche l’Arabia Saudita. Awadallah infatti oltre che cittadino giordano e americano ha ottenuto anche la cittadinanza saudita. Dopo il suo arresto alti funzionari, incluso il capo dell’intelligence saudita, si sono precipitati in Giordania per agevolarne il rilascio. Inoltre la famiglia di Awadallah negli Stati Uniti ha rilasciato una dichiarazione affermando che è stato picchiato e torturato con cavi elettrici mentre era in detenzione in Giordania ed è stato costretto a dichiarare cose non vere. La famiglia ha invitato gli Stati Uniti a “proteggere i diritti e le libertà civili dei propri cittadini da trattamenti ingiusti e disumani da parte di altri Governi”.
La Giordania, tuttavia, nega qualsiasi accusa di tortura o maltrattamenti in carcere. L’avvocato giordano di Awadallah, Mohamed Afif, ha affermato di non essere in grado di commentare le accuse di tortura, mentre l’avvocato di Sharif Hassan, Ala Khasawneh, ha dichiarato che il suo cliente gode di buona salute e non ha avuto problemi in carcere. Fonti di stampa internazionale hanno però sottolineato come il rapporto sui diritti umani del 2020 del Dipartimento di Stato americano sulla Giordania abbia evidenziato che le organizzazioni internazionali e locali per i diritti umani hanno segnalato episodi di tortura nei centri di detenzione.
Il processo e, ancora prima, il tentativo di golpe dimostrano la fragilità della monarchia giordana, schiacciata dalla necessità di tenere rapporti con Israele, soprattutto per approvvigionarsi di acqua, e il sostegno ai palestinesi. Prima degli Accordi di Abramo, Amman era l’unico Paese arabo, insieme all’Egitto, a tenere rapporti con Israele, derivati soprattutto dalla guerra. Rapporti difficili, non sempre idilliaci, che continuano a portare a scontri diplomatici tra i due Paesi. Con gli Accordi di Abramo, il ruolo della Giordania nell’area è andato riducendosi, anche nei confronti dei palestinesi. Pure gli Stati Uniti stanno rivedendo le loro posizioni con Amman, anche se considerano la Giordania un importante alleato nell’area.
Il processo contro Awadallah e Sharif Hassan e, ancor prima, il tentato colpo di Stato dimostrano la fragilità della monarchia giordana. E con gli Accordi di Abramo il Paese è schiacciato
Si è concluso con due condanne a 15 anni di carcere il processo contro un ex consigliere e un cugino del re di Giordania, accusati di stare preparando un complotto contro la monarchia. Secondo fonti di stampa sia locale che internazionale, Bassem Awadallah, ex capo della corte reale e consigliere del re, e il cugino del re, Sharif Hassan bin Zeid, sono stati condannati per sedizione.