Il Presidente serbo Alexsandar Vučić prende posizione e critica l’operato dei paramilitari russi. La posizione di Belgrado è in bilico tra la l’Unione europea e gli storici legami con la Russia
In Serbia diventa un caso politico dall’eco internazionale la propaganda del Gruppo Wagner attraverso i canali social per il reclutamento di cittadini, spinti a combattere in Ucraina tra le fila dell’organizzazione paramilitare russa. Nei giorni scorsi un’associazione serba pro Kiev ha chiesto che venga aperta un’indagine sulle attività del Gruppo Wagner nel Paese balcanico, sostenendo che ci sia un coinvolgimento degli apparati di sicurezza locali nelle operazioni della milizia.
Fondato dal veterano della guerra in Cecenia Yevgeny Prigozhin, il Gruppo Wagner è coinvolto direttamente in numerosi conflitti: in Libia a favore del Generale Khalifa Haftar, in Siria in supporto delle forze governative, nella Repubblica Centrafricana per il controllo delle miniere di diamanti, in Sudan per la sicurezza delle miniere di oro, in Mali contro gruppi islamici militanti.
Quelle contro il capo dell’agenzia per la sicurezza e l’informazione serba, Alexsandar Vulin, sono accuse pesanti. Il funzionario avrebbe agevolato il lavoro del gruppo di mercenari russi invitando i suoi sottoposti a non agire contro il reclutamento e la sponsorizzazione. “Abbiamo il ragionevole sospetto che Vulin abbia dato ordini, direttive e linee guida affinché le attività del Gruppo Wagner in Serbia non venissero fermate”, ha dichiarato Cedomir Stojkovic, avvocato e leader di un’organizzazione civica.
Stojkovic ha chiesto l’apertura di un’indagine non solo per verificare il ruolo di Vulin, ma anche contro Aleksandr Botsan-Kharchenko, Ambasciatore russo in Serbia, il centro umanitario serbo-russo di Nis e l’organizzazione dell’ultra destra Narodni Patrole. L’accusa è di aver contribuito al reclutamento di cittadini serbi per combattere per una nazione terza, fatto illegale per legge. “Karchenko è a capo del reclutamento, Vulin impedisce che avvenga il controspionaggio, il centro umanitario di Nis è la piattaforma pro Russia e così abbiamo la Wagner”, ha scritto su Twitter l’avvocato.
La portata della questione è evidente, tanto che il Presidente Alexsandar Vučić è intervenuto in diretta tv. “Perché voi della Wagner invitate i cittadini serbi, sapendo che è contro le nostre regole?”, ha chiesto il leader serbo. “Siamo neutri rispetto alla guerra in Ucraina e da molti mesi non parlo con il Presidente Vladimir Putin”, ha aggiunto Vučić. Parole che dimostrano quanto è complicata la posizione della Serbia, letteralmente in bilico tra Unione Europea (verso la quale mantiene aspirazioni d’ingresso) e gli storici legami con la Russia.
L’Ue non è felice dell’atteggiamento serbo, chiedendo a più riprese un cambiamento delle posizioni verso Mosca: allineamento fondamentale in politica estera per un Paese che ambisce a diventare membro della comunità di Stati. Belgrado ha votato le risoluzioni di condanna dell’intervento militare in Ucraina a livello Nazioni Unite, ma stenta ad imporre sanzioni contro Mosca. Anche recentemente, nel corso del vertice europeo sui Balcani per discutere l’allargamento ad Albania, Bosnia, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia, Belgrado ha resistito alle pressioni di Bruxelles.
Nel corso dell’ultima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e il collega serbo Nikola Selakovic hanno sottoscritto un accordo di politica estera che prevede l’impegno dei due Paesi a mutue consultazioni. Un deal della durata di due anni, riproposizione del piano firmato a cadenza regolare dal 1996, ma che nel mezzo dell’invasione in Ucraina diventa estremamente pesante e significativo. Il caso della presenza del Gruppo Wagner in Serbia può diventare uno spartiacque nelle relazioni con Mosca, in aggiunta alle dichiarazioni del Presidente Vučić in diretta tv: “Per noi, la Crimea è Ucraina, il Donbass è Ucraina, e tale rimarrà”.
Fondato dal veterano della guerra in Cecenia Yevgeny Prigozhin, il Gruppo Wagner è coinvolto direttamente in numerosi conflitti: in Libia a favore del Generale Khalifa Haftar, in Siria in supporto delle forze governative, nella Repubblica Centrafricana per il controllo delle miniere di diamanti, in Sudan per la sicurezza delle miniere di oro, in Mali contro gruppi islamici militanti.