Il nuovo Zar non ci sta ad essere spinto sugli Urali. Gli Usa e l’Europa non ne tengono conto. Quale soluzione?
È guerra. Pochi giorni dopo aver riconosciuto le repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, il Presidente della Russia Vladimir Putin ha ordinato l’invasione dell’Ucraina.
Con un attacco cominciato alle 4 del mattino del 24 febbraio scorso, il capo del Cremlino ha trasferito dai palazzi della diplomazia ai campi di battaglia il piano con cui intende ridisegnare l’architettura della sicurezza in Europa.
Le Forze armate russe sono penetrate in Ucraina da tre direttrici, est (Donbass), sud (Crimea) e nord, cioè dal confine bielorusso, lungo il quale si trovavano da giorni trentamila militari russi, ufficialmente nel Paese per esercitazioni congiunte. Già nel primo giorno di guerra, l’esercito russo ha distrutto gran parte del potenziale difensivo dell’Ucraina per poi procedere all’assedio di Kiev, la capitale.
Annunciando la sua “operazione militare speciale”, il capo del Cremlino ha detto che l’obiettivo era “proteggere le persone oggetto di abusi e genocidio da parte del regime di Kiev” e “smilitarizzare e denazificare l’Ucraina“.
Quando parla di “denazificazione“, Putin allude agli eredi delle brigate ucraine che durante la Seconda guerra mondiale appoggiarono Hitler, cioè quelle formazioni di estrema destra che otto anni fa, durante la rivolta di Majdan, salirono sulle barricate per cacciare il Presidente filorusso Viktor Janukovich. Dagli eventi del 2014, la Russia ha rifiutato di riconoscere il nuovo Governo, definendo la rivoluzione un colpo di Stato e prendendo il controllo della Crimea. Da allora, la rivolta ha prodotto la proibizione della lingua russa e la cacciata dei filorussi dall’Ucraina, la nascita delle due autoproclamate repubbliche nelle regioni di Donetsk e Luhansk, e una guerra civile che ha portato a 14mila morti e due milioni di profughi.
Il conflitto attualmente in corso, però, riguarda solo in parte le rivendicazioni regionali tra i due Paesi e ha molto a che vedere invece con i confini di sicurezza, che il Governo di Mosca ritiene invalicabili. Preoccupazioni che non sono di oggi, ma che nascono negli anni Novanta, con l’allargamento della Nato a est, verso i territori dell’ex Unione sovietica. Dal 1999, hanno aderito al Patto atlantico la Repubblica ceca, l’Ungheria, la Polonia, la Bulgaria, la Romania, la Slovacchia, la Slovenia, l’Estonia, la Lituania e la Lettonia, uno sviluppo che il Cremlino ha sempre considerato una minaccia alla propria sicurezza.
Da tempo, l’Amministrazione russa ha avanzato richieste di limitazioni delle azioni Nato nella regione, chiedendo la fine di ulteriori allargamenti. Garanzie che Washington si è sempre rifiutata di concedere. Nel 2019, l’Ucraina, che dal 2014 riceve dagli Stati Uniti un’assistenza militare continuativa, ha compiuto un atto senza precedenti, includendo nella propria Costituzione l’impegno a entrare ufficialmente nella Nato (e nell’Unione europea), gesto simbolico che certo non ha contribuito alla distensione con Mosca. La Russia considera l’Ucraina come parte naturale della sua sfera di influenza e né gli Stati Uniti né l’Unione europea sono stati in grado di aprire un vero dialogo sulla questione. Non si trattava di incoraggiare il revanscismo post-sovietico o di cedere al ricatto di un autocrate ben armato, ma di avviare la costruzione di un’architettura politica capace di mantenere una pace duratura. Una volontà che non è sembrata fra le priorità di Washington, ma purtroppo nemmeno fra quelle di Bruxelles, incapace di imprimere un indirizzo indipendente (e unitario!) alla propria politica estera.
L’Europa ha provato a imbastire iniziative diplomatiche quando ormai era troppo tardi, una corsa trafelata e disordinata, quando lo spazio negoziale era terminato. Ancora una volta, come in tutte le crisi gravi, Bruxelles è sembrata inadeguata, senza quella struttura federale che fatica ad affermarsi. Eppure, l’interscambio commerciale della Russia è per il 40% con l’Unione europea e solo per il 3% con gli Stati Uniti. Questo significa che l’impatto delle sanzioni sarà soprattutto sulle nostre imprese, non certo su quelle americane. Finché non avremo una politica estera comune e una difesa comune, non potremo giocare alcun ruolo nella prevenzione, gestione e soluzione delle crisi.
Adesso, con i carrarmati, Putin sta ridisegnando da solo la geografia europea, ricostituendo quello spazio di sicurezza fra sé e l’Occidente che ha chiesto per molto tempo. “L’alleanza nordatlantica, nonostante tutte le nostre proteste e preoccupazioni, ha continuato la propria espansione, facendo avanzare la loro macchina da guerra verso i nostri confini”, ha detto il capo del Cremlino nel suo discorso alla nazione.
Mentre scriviamo, Kiev è assediata, chi non è riuscito a lasciare la capitale trova rifugio nei bunker, sotto la metropolitana. La televisione mostra le file di auto che cercano di abbandonare le principali città, avvicinandosi al confine ovest del paese, verso Polonia, Moldavia e Romania.
Le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite hanno stimato che fino a cinque milioni di profughi potrebbero muoversi verso i Paesi al confine. La Ue ha indetto un Consiglio straordinario dei Ministri dell’Interno europei, per definire un possibile piano di ridistribuzione dei profughi tra gli Stati membri, su impulso di quel gruppo di Visegrad che si è sempre opposto ad ogni politica comune sui migranti… Uno spettacolo doloroso, a cui oggi assistiamo increduli, e che ci riporta indietro di 100 anni, al secolo delle guerre europee.
Mentre la Nato invia migliaia di militari nei Paesi a ridosso dell’Ucraina, 120 navi pattugliano i mari e 100 jet i cieli, sullo sfondo rimane la minaccia nucleare, sulla pelle dei civili e del futuro del mondo. “Chiunque tenti di ostacolarci, e ancor di più di creare minacce per il nostro Paese, per il nostro popolo, deve sapere che la risposta della Russia arriverà immediatamente e porterà a conseguenze che non avete mai visto nella storia. Siamo pronti per qualsiasi scenario. Tutte le decisioni necessarie al riguardo sono state prese, spero di essere ascoltato” ha minacciato Putin prima di iniziare l’invasione.
Bombardando l’Ucraina, il leader russo bombarda la sua stessa storia, ferisce le proprie radici, distruggendo la credibilità della Russia e allontanandola dall’Europa, in una deriva che è tragica per tutti i cittadini europei e russi. Uno strappo che sarà difficile ricucire. Uno strappo che forse poteva essere evitato.
Interessante la rivisitazione di alcuni politologi contemporanei (Graham Allison e Francis Fukuyama) dello scontro fra Sparta e Atene, applicabile anche alla competizione in atto tra Stati Uniti, Russia e Cina. Secondo quella che viene definita la “Trappola di Tucidide”, tre sono i fattori che rendono inevitabile la contrapposizione, fino alla guerra: interessi, paura e onore.
Sono esattamente le cause della guerra di Putin e, al tempo stesso, spiegano perché il confronto con Pechino non si evolve nella stessa direzione. Gli interessi, scrive lo storico greco Tucidide, riguardano la sovranità di uno stato nell’agire libero da ogni coercizione esterna per la sua attività economica e politica. Allorché “l’implacabile espansione di Atene – precisa l’autore de La Guerra del Peloponneso – cominciò a intaccare addirittura il loro sistema di alleanze, gli Spartani, ritenendo intollerabile tale circostanza, mossero a guerra”.
L’assonanza con quanto denunciato da Putin è chiarissima. E i precedenti in Georgia e in Crimea avrebbero dovuto fungere da monito. La paura e l’onore si riferiscono, da un lato, alla fretta di Washington di chiudere la partita con l’ex Unione sovietica il più rapidamente possibile, dall’altro, alla leadership russa a non farsi schiacciare sugli Urali, timore storico fin dai tempi degli Zar.
Le categorie razionali, che abbiamo provato a sintetizzare, spiegano solo una parte del problema. C’è anche una dimensione umana: quella di un uomo al potere da 23 anni e alla soglia dei settanta, quindi con una prospettiva limitata, che lo porta verosimilmente ad accelerare le soluzioni ai disagi che abbiamo elencato.
Dal punto di vista geopolitico, la partnership con la Cina, suggellata alle Olimpiadi invernali di Pechino, è un effetto indiretto e certamente non desiderato del riassetto di alleanze che vede Washington protagonista schizofrenica. Armare gli Ucraini potrebbe segnare un punto di non ritorno per una guerra su vasta scala. Ma una decisione finale sui prossimi passi non può che spettare a noi Europei, a Bruxelles.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
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Con un attacco cominciato alle 4 del mattino del 24 febbraio scorso, il capo del Cremlino ha trasferito dai palazzi della diplomazia ai campi di battaglia il piano con cui intende ridisegnare l’architettura della sicurezza in Europa.