Il parlamento israeliano ha approvato, con 68 voti su 120, una risoluzione che respinge l’idea della creazione di uno stato palestinese ad ovest della Giordania. Israele si dice contrario alla nascita di qualsiasi entità palestinese, nonostante il mondo nella sua quasi interezza veda nella risoluzione a due Stati la soluzione del conflitto israelo-palestinese.
Già a febbraio la Knesset aveva votato una risoluzione simile che però si riferiva alla creazione unilaterale dello stato palestinese. All’epoca molti stati, soprattutto europei, avevano cominciato a dichiarare il loro sostegno alla nascita unilaterale dello stato e promettevano che avrebbero riconosciuto lo stesso, pertanto la Knesset votò contro la possibilità che i Palestinesi creassero uno stato senza una fase di negoziato con Israele. Stavolta invece, si tratta di respingere del tutto l’idea della creazione dello stato palestinese, cosa che mette ancora di più Israele in un angolo.
Dopotutto, che nei Territori palestinesi ci sia una occupazione di fatto, è un dato notorio. Come pure che gli accordi di Oslo, che misero fine al conflitto e permisero la nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese che avrebbe controllato i territori di area A nella divisione degli stessi con Israele, nel documento non c’è alcuna menzione alla nascita dello stato palestinese.
Anche perché uno degli aspetti fondamentali riguarda i confini dello stesso e la sua capitale. I Palestinesi insistono sul fatto che debbano essere quelli del 1969, cioè antecedenti alla Guerra dei Sei Giorni, e la capitale Gerusalemme. Questo non solo creerebbe problemi ad Israele, ma renderebbe nulle le conquiste ottenute nella guerra di giugno, con i territori che Israele ha conquistato da Giordania, Egitto, Siria, Libano e in parte restituiti con accordi di pace bilaterali.
La difficoltà di portare avanti un processo per la nascita del nuovo stato (anche se Arafat lo dichiarò nato nel 1988) è sia attribuita all’occupazione israeliana che alla incapacità o non volontà dello stesso governo dell’Anp, che ha molti problemi interni legati anche alle divisioni delle sue fazioni.
Non solo: per come sono i confini, il nuovo Stato palestinese si troverebbe ad essere una enclave all’interno di Israele senza confini se non quelli dello stato ebraico (a meno che non vengano ceduti territori ai confini con la Giordania, ipotesi molto difficile) e con l’unico eventuale sbocco diverso, quello di Gaza, anche marino, il cui destino però deve essere scritto non solo a causa della guerra, ma anche delle divisioni tra i Palestinesi. Niente confini, significa impossibilità di importare merci o beni o servizi senza essere gravati da tasse e dazi israeliani.
Non a caso, negli ultimi anni, anche in ambienti palestinesi o israeliani moderati, si è fatta avanti la possibilità della nascita di una nazione palestinese autonoma all’interno dello Stato d’Israele. Ipotesi avversata dai fondamentalisti di entrambi gli schieramenti che temono di essere soverchiati visti i ritmi di crescita per nascite delle comunità ortodosse e dei coloni e quelle dei musulmani.
“La creazione di uno Stato palestinese nel cuore della Terra d’Israele – si legge nel provvedimento – costituirebbe una minaccia esistenziale per lo Stato di Israele e i suoi cittadini, perpetuerebbe il conflitto israelo-palestinese e destabilizzerebbe la regione”. La risoluzione è stata presentata dal partito di destra all’opposizione New Hope-United Right, dell’ex delfino di Netanyahu Gideon Sa’ar, e ha visto il voto favorevole di tutti i partiti di destra al governo e all’opposizione, compreso il sostegno del partito Unità Nazionale dell’ex componente del gabinetto di Guerra Benny Gantz e dei suoi. Al momento del voto, i centristi di Yesh Atid del leader dell’opposizione Yair Lapid hanno lasciato l’aula per non sostenere il provvedimento, anche se Lapid si è sempre espresso a favore di una soluzione a due Stati. Contrari, nove parlamentari, tra laburisti e gli arabi di Ra’am e Hadash-Ta’al. “Sarà solo questione di breve tempo prima che Hamas prenda il controllo dello Stato palestinese e lo trasformi in una base terroristica islamica radicale, lavorando in coordinamento con l’asse guidato dall’Iran per eliminare lo Stato di Israele”, è scritto nella risoluzione. “Promuovere l’idea di uno Stato palestinese in questo momento sarà una ricompensa per il terrorismo e non farà altro che incoraggiare Hamas e i suoi sostenitori a vedere questo come una vittoria, grazie al massacro del 7 ottobre 2023, e un preludio alla presa del potere dell’Islam jihadista in Medio Oriente”.
Il voto, motivato quindi con timori che Hamas o altri fondamentalisti possano prendere il controllo del futuro stato palestinese ponendo una minaccia ad Israele, è stato espresso a pochi giorni dalla partenza di Netanyahu per Washington, dove incontrerà Biden (anche se ci sono timori, visto che il presidente è risultato positivo al Covid) e parlerà al Congresso. Questo voto, anche se non partito direttamente da Netanyahu, potrebbe ancora di più raffreddare i rapporti tra il governo israeliano e l’inquilino della Casa Bianca e il partito Democratico, che più volte si sono detti aperti alla nascita dello stato palestinese e alla soluzione a due stati per il conflitto israelo-palestinese.
Il voto della Knesset che si oppone alla nascita dello stato palestinese, come dicevamo, mette Israele ancora di più in isolamento, visto che la soluzione a due stati per la risoluzione del conflitto è ampiamente richiesta da pressoché tutti i paesi del mondo, anche se non tutti riconoscono la Palestina attualmente.
Sono 145 i paesi su 193 membri dell’Onu che lo fanno. I primi riconoscimenti sono avvenuti il quindici novembre del 1988, quando Yasser Arafat, allora leader dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, dichiarò la nascita dello stato palestinese. Dallo stesso giorno e nei giorni seguenti, fino alla fine di novembre, furono 63 i paesi a riconoscere la Palestina. Tra i primi, Algeria, Indonesia, Libia e Turchia. Per il primo periodo furono per lo più paesi arabi, insieme alla Russia, Cuba, Serbia, India e Cina tra gli altri.
I primi europei furono, in quel mese di novembre, Cipro, Slovacchia, Bulgaria e Romania, che all’epoca non erano nell’Unione Europea. Anche il Vaticano riconosce la Palestina, mentre gli ultimi paesi ad averla riconosciuta sono Irlanda, Norvegia, Spagna, Slovenia e Armenia tra maggio e giugno scorsi. Tra i paesi che non riconoscono la Palestina, ci sono Germania, Francia e Italia, il Regno Unito, gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia.
Già a febbraio la Knesset aveva votato una risoluzione simile che però si riferiva alla creazione unilaterale dello stato palestinese. All’epoca molti stati, soprattutto europei, avevano cominciato a dichiarare il loro sostegno alla nascita unilaterale dello stato e promettevano che avrebbero riconosciuto lo stesso, pertanto la Knesset votò contro la possibilità che i Palestinesi creassero uno stato senza una fase di negoziato con Israele. Stavolta invece, si tratta di respingere del tutto l’idea della creazione dello stato palestinese, cosa che mette ancora di più Israele in un angolo.
Dopotutto, che nei Territori palestinesi ci sia una occupazione di fatto, è un dato notorio. Come pure che gli accordi di Oslo, che misero fine al conflitto e permisero la nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese che avrebbe controllato i territori di area A nella divisione degli stessi con Israele, nel documento non c’è alcuna menzione alla nascita dello stato palestinese.