Al momento solo Stati Uniti, Regno Unito, Francia, e Cina, Russia, India, possiedono le tecnologie di propulsione nucleare per i sottomarini. Il patto AUKUS prevede di dotare anche l’Australia del know-how per costruirli. Ma i tempi potrebbero essere troppo lunghi.
Scott Pappano, retroammiraglio della U.S. Navy, la marina militare americana, pensa che l’assistenza all’Australia per la costruzione di sottomarini a propulsione nucleare – il contenuto principale dell’accordo AUKUS di un anno fa – potrebbe rivelarsi gravosa per gli Stati Uniti, se prima non risolvono i loro problemi di sotto-capacità cantieristica.
Durante un webinar del Mitchell Institute for Aerospace Studies, Pappano – che è anche responsabile del programma americano per i sottomarini strategici – ha detto che “se dovessimo aggiungere ulteriori costruzioni di sottomarini alla nostra base industriale, ciò sarebbe dannoso per noi in questo momento, senza un investimento significativo per fornire ulteriori capacità e abilità”. Lo stesso, ha aggiunto, vale per il Regno Unito, il terzo membro dell’AUKUS.
Il patto prevede in realtà che i sottomarini vengano costruiti in Australia: il governo di Canberra sta infatti acquisendo dei terreni vicino al cantiere Osborne North, ad Adelaide, per farci uno stabilimento. Il compito di Washington e Londra, dunque, dovrebbe essere solo quello di fornire agli australiani le loro tecnologie di propulsione nucleare: al momento, solo sei paesi al mondo le possiedono (anche Cina, Francia, India e Russia).
Negli ultimi mesi, tuttavia, si sta parlando della possibilità di spostare la costruzione dei primi sottomarini nucleari in America o nel Regno Unito in modo da velocizzare il processo di trasferimento del know-how, permettendo ai tecnici australiani di formarsi in un cantiere già funzionante e rodato. Pappano è contrario: agli Stati Uniti manca la forza lavoro, che si sta spostando dal settore manifatturiero a quello dei servizi, ed è difficile attrarla.
Dietro all’opposizione del retroammiraglio si cela forse il timore che l’America possa ritrovarsi sprovvista di capacità sommergibile sufficiente in caso di guerra con la Cina per Taiwan. Qualora uno scenario del genere dovesse verificarsi, Pechino potrebbe infatti impedire alle imbarcazioni di superficie statunitensi l’accesso allo stretto di Taiwan, minacciandole con i missili antinave: si parla in gergo di strategia A2/AD, o Anti Access/Area Denial. I sottomarini, però, potrebbero operare in maggiore sicurezza.
Nel suo intervento al webinar Pappano ha dichiarato che nell’anno fiscale 2025 la produzione di sottomarini negli Stati Uniti sarà di cinque volte superiore ai volumi del 2020: verrà potenziato il ritmo di costruzione della nuova classe Virginia, portandola a due unità all’anno, e verrà introdotta una nuova versione del classe Virginia chiamata Block V, con più spazio di lancio per i missili da crociera Tomahawk. Negli anni successivi, poi, entrerà a pieno regime la costruzione della nuova generazione di sottomarini nucleari lanciamissili balistici classe Columbia.
Nel frattempo, alcuni analisti prevedono una diminuzione del numero totale di sottomarini schierabili dalle forze armate americane negli anni 2020 a causa del ritiro dal servizio dei classe Los Angeles e dei classe Ohio. La paura di Pappano – considerati anche i progressi militari e cantieristici della Cina – è che i sottomarini classe Columbia non saranno pronti al momento del ritiro degli Ohio: la U.S. Navy ne ha peraltro già esteso il tempo di impiego a quarantadue anni, contro i trenta originali.
Ecco, dunque, perché il retroammiraglio pensa che gli Stati Uniti non debbano farsi distrarre dall’Australia ma destinare i propri cantieri alla costruzione dei sottomarini nucleari classe Columbia, magari anticipando la data di consegna.
Durante un webinar del Mitchell Institute for Aerospace Studies, Pappano – che è anche responsabile del programma americano per i sottomarini strategici – ha detto che “se dovessimo aggiungere ulteriori costruzioni di sottomarini alla nostra base industriale, ciò sarebbe dannoso per noi in questo momento, senza un investimento significativo per fornire ulteriori capacità e abilità”. Lo stesso, ha aggiunto, vale per il Regno Unito, il terzo membro dell’AUKUS.