A complicare i rapporti tra Parigi e Bamako ci ha pensato la Russia, che rilancia l’eredità dei rapporti tra Africa e Urss e si propone come alternativa alla vecchia potenza coloniale
Di fallimento il Presidente Emmanuel Macron non vuole neanche sentirne parlare. Per l’inquilino dell’Eliseo la lotta contro il terrorismo jihadista lanciata nove anni fa dalla Francia nel Mali, e in seguito estesa al Sahel, ha portato i suoi frutti, sebbene la minaccia sia ancora presente. Senza l’intervento di Parigi scattato nel 2013 contro i gruppi islamisti ci sarebbe stato “un crollo dello Stato maliano”, ha affermato Macron a metà febbraio, durante una conferenza stampa tenuta all’Eliseo per annunciare il ritiro militare dal Paese. Ma allora perché mollare la presa proprio ora? Il ridimensionamento dell’operazione francese Barkhane, subentrata nel 2014 raccogliendo il testimone dalla forza Serval, era stato annunciato da Macron già nel giugno dello scorso anno.
Ma la situazione negli ultimi mesi è precipitata fino alla rottura definitiva tra Francia e Mali. A complicare i già difficili rapporti tra Parigi e la giunta al potere a Bamako ci ha pensato la Russia, terzo incomodo tra i due partner in rotta da tempo. Una presenza, quella di Mosca, da vedere nell’ambito dell’attuale contesto internazionale, come spiega Nicolas Normand, ex ambasciatore francese in Senegal, Mali e Congo, oggi ricercatore all’Istituto delle relazioni internazionali e strategiche (Iris) di Parigi. “A Putin non interessa aiutare il Mali. Il suo obiettivo è quello di andare a disturbare la Francia nel contesto delle tensioni internazionali legate alla crisi ucraina e alle sanzioni decise contro la Russia”, spiega l’esperto.
Per scardinare i fragili equilibri franco-maliani, Mosca ha usato come grimaldello il gruppo Wagner, una Private military company (Pmi) diventata celebre in questi ultimi anni per essere intervenuta con i suoi contractor in vari teatri come quello libico, siriano e sudanese. In altre parole, un mini-esercito di mercenari gestito con la massima riservatezza da una società privata, ufficialmente inesistente visto che questo tipo di attività in Russia sono vietate. La Wagner è considerata da molti osservatori internazionali come il braccio armato del Cremlino, utilizzato nell’ombra come strumento geopolitico in diversi conflitti, spesso denunciato da Ong internazionali per atti di violenza contro i civili. “Sono mercenari che uccidono tutti coloro che gli oppongono resistenza. Hanno già cominciato nel centro del Mali, dove sono ritenuti responsabili di alcuni massacri”, afferma Normand. Accuse sempre respinte dal presidente russo Vladimir Putin, sebbene ultimamente abbia riconosciuto l’esistenza di “queste imprese che operano in Mali” pur ribadendo l’estraneità della Russia. Un modo per rispondere alle critiche della Francia e degli altri partner occidentali, che hanno denunciato la presenza dei mercenari. Dal canto suo, Bamako minimizza parlando di una presenza militare prevista da normali accordi bilaterali di Difesa con la Russia. Ma Parigi ha contato tra gli 800 e i 900 paramilitari in Mali, con un costo complessivo di 10 milioni di dollari al mese per le casse delle autorità locali secondo il Dipartimento di Stato statunitense.
Uno scenario già visto recentemente nella Repubblica centrafricana, dove gli uomini della Wagner sono presenti in pianta stabile dal 2017 per sostenere Bangui nella lotta contro i ribelli. Putin si inserisce così nelle maglie sempre più allentate della Françafrique, posizionandosi come una valida alternativa alla vecchia potenza coloniale, diventata ormai ospite non gradito dopo essere stata inizialmente acclamata. Il leader del Cremlino raccoglie l’eredità dei rapporti tra Africa e Unione sovietica rilanciandoli nel continente con cooperazioni nei settori dell’energia e dell’industria militare. Secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), tra il 2014 e il 2019, il 49% degli equipaggiamenti bellici venduti in Africa erano russi.
In questo gioco di influenze, Mosca fa leva anche sul sentimento antifrancese della popolazione locale, che dopo anni di presenza vede ormai le truppe di Barkhane più come forze di occupazione che come alleati nella lotta al terrorismo. L’orientamento populista della giunta maliana ha facilitato il lavoro di Mosca, che passa attraverso media locali e, soprattutto, sui social network, cassa di risonanza dei contenuti pubblicati da Russia Today e Sputnik, media russi considerati vicini al Cremlino. “Barkhane non ha saputo comunicare alla popolazione maliana quanto fatto fino ad oggi nella lotta al terrorismo. La Russia, invece, prima di arrivare con i mercenari ha lanciato una campagna anti-francese fatta di fake news”, spiega Normand, parlando di “una vera e propria cyberguerra di informazione”. Un minuzioso lavoro di soft power, che ha trovato un terreno particolarmente fertile. “Le ostilità nei confronti della presenza francese si sono sviluppate negli anni per diverse ragioni”, dice Normand.
“La Francia nel 2013 ha fatto l’errore di sostenere e cooperare con il movimento separatista tuareg per sconfiggere gli islamisti, ignorando così il contesto politico e l’opinione pubblica. In seguito Barkhane ha fatto credere di poter risolvere da sola i problemi di sicurezza, creando un’aspettativa e una conseguente delusione nella popolazione. Invece di accompagnare le forze locali, le truppe francesi si sono mostrate troppo, diventando agli occhi dei maliani una forza di occupazione”. La Russia non ha fatto altro che esacerbare un contesto già teso, anche a causa dei rapporti diplomatici, precipitati dopo la destituzione con il golpe dell’agosto 2020 del presidente Ibrahim Boubacar Keïta, deceduto a gennaio.
Con il secondo colpo di Stato in meno di un anno arrivato nel maggio scorso, il colonnello Assimi Goita ha assunto una volta per tutte la presidenza “Goita ha nominato un premier civile (Choguel Kokalla Maiga, ndr) ma tutti i posti più importanti sono stati attribuiti a dei militari, per questo si parla di giunta”, afferma Normand. Il golpe di troppo, “inaccettabile” per Parigi, soprattutto dopo che le autorità di Bamako hanno rimesso in discussione le elezioni di febbraio con l’obiettivo di prolungare la transizione per altri cinque anni. Una mossa che ha fatto scattare le sanzioni decise dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) e appoggiate dalla Francia, in un crescendo di tensioni culminate con l’espulsione dal Mali dell’ambasciatore francese, Joel Meyer, a fine gennaio.
Impossibile continuare la cooperazione militare su questi presupposti. Per contenere lo smacco subito, Macron ha annunciato il ritiro dal Mali di Barkhane e della task force Takuba (composta dalle forze speciali di 14 Paesi europei tra cui l’Italia) dopo aver convocato a Parigi i partner regionali ed europei implicati nel dossier. Un modo per contestualizzare all’interno di un quadro internazionale una decisione che riguarda in primo luogo la Francia, messa alla porta dopo il benservito della giunta maliana.
Adesso Parigi prevede tra i quattro e i sei mesi per la chiusura delle basi di Gao, Menaka e Gossi, nel nord del Mali, a cui seguirà una riorganizzazione generale della sua presenza in Sahel, dove attualmente ha 4.300 militari (di cui 2.400 in Mali). La ristrutturazione avrà ripercussioni anche sulla Minusma, missione dei caschi blu che agisce in coordinamento con i francesi. Il baricentro si sposta in Niger, con un’attenzione particolare ai Paesi del Golfo di Guinea come Togo, Costa d’Avorio e Benin, dove si è già registrata la presenza di alcune cellule jihadiste. La lotta tra il Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Gsim), affiliato ad al-Qaeda, e lo Stato islamico nel Grande Sahara, legato all’Isis, per il predominio della regione potrebbe allargarsi a macchia d’olio.
Il pericolo principale riguarda il possibile vuoto securitario che rischia di crearsi dopo l’abbandono di un Paese strategico nella lotta anti-jihadista come il Mali. L’alleanza con il gruppo Wagner è destinata a non durare, come spiega anche Normand: “ha un costo troppo alto che il governo maliano non può permettersi, per questo credo che i mercenari ripartiranno a breve”. Un’ipotesi che mette a repentaglio la stabilità dell’intera regione.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
Puoi acquistare la rivista in edicola o abbonarti.
Ma la situazione negli ultimi mesi è precipitata fino alla rottura definitiva tra Francia e Mali. A complicare i già difficili rapporti tra Parigi e la giunta al potere a Bamako ci ha pensato la Russia, terzo incomodo tra i due partner in rotta da tempo. Una presenza, quella di Mosca, da vedere nell’ambito dell’attuale contesto internazionale, come spiega Nicolas Normand, ex ambasciatore francese in Senegal, Mali e Congo, oggi ricercatore all’Istituto delle relazioni internazionali e strategiche (Iris) di Parigi. “A Putin non interessa aiutare il Mali. Il suo obiettivo è quello di andare a disturbare la Francia nel contesto delle tensioni internazionali legate alla crisi ucraina e alle sanzioni decise contro la Russia”, spiega l’esperto.