La comunicazione è sempre stata una componente fondamentale della guerra, oggi ancora di più. La nuova escalation in corso a Gaza tra Hamas e Israele si sta sviluppando non solo sul campo, ma anche su e attraverso i social media
Durante una vecchia intervista negli anni ‘70 con la giornalista italiana Oriana Fallaci, Yassir Arafat – allora combattente e portavoce dell’OLP, poi presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese – raccontava come Israele avesse un ufficio stampa “poderoso”. Il suo ruolo era fondamentale nelle situazioni di conflitto, aiutando lo Stato ebraico a indirizzare l’opinione internazionale.
La comunicazione è sempre stata una componente fondamentale della guerra. Se questo era vero 50 anni fa, oggi lo è ancora di più. Infatti, la nuova escalation in corso a Gaza tra Hamas e Israele si sta sviluppando non solo sul campo, ma anche su e attraverso i social media. Si tratta di qualcosa che abbiamo già visto nella guerra in Ucraina e che ormai caratterizza tutti i conflitti dell’era digitale. Entrambe le parti, Israele e Hamas, utilizzano i social. Lo fanno con una strategia ben delineata, in cui si possono distinguere due diverse componenti: quella descrittiva e quella narrativa. La prima è volta a influenzare l’opinione pubblica rispetto alla propria immagine; la seconda componente mira a indirizzare la narrativa degli eventi a proprio vantaggio.
Raccontarsi al pubblico
Hamas
Il gruppo armato che controlla Gaza è stato bandito da Facebook, rimosso da Instagram e anche da TikTok. Lo stesso non si può dire invece per la piattaforma social Telegram, che continua a permettere ad Hamas di diffondere i suoi contenuti, facendoli poi circolare di conseguenza anche su altri social. Secondo un’analisi del Digital Forensic Research Lab dell’Atlantic Council il seguito del gruppo è cresciuto radicalmente dall’attacco del 7 ottobre.
Dunque, nonostante le restrizioni delle piattaforme, Hamas sta riuscendo a raggiungere comunque un ampio pubblico sui social network, che diventano quindi uno strumento cruciale per la sua propaganda.
Parte di quest’ultima, lavora sul migliorare la reputazione del gruppo. Ad esempio, durante gli attacchi lanciati dai suoi miliziani il 7 ottobre – responsabili per l’uccisione di circa 1400 israeliani – alcuni di loro hanno trovato il tempo per fermarsi a girare qualche video. In uno dei filmati, girato nel Kibbutz Holit, si vede uno dei miliziani che fascia il piede di un bambino israeliano. La telecamera riprende il suo volto confuso mentre gli viene ordinato di ripetere la parola araba “Di’ bismillah”, che tradotto significa “in nome di Dio”. Questo video è arrivato al pubblico tramite Telegram. Lo ha pubblicato Hamas sul suo canale sei giorni dopo l’attacco. La tempistica non è un caso: in un momento in cui i media occidentali e alcuni importanti canali arabi erano concentrati sulle notizie dei numerosi civili massacrati, il filmato era la risposta di Hamas. Un subdolo tentativo di umanizzare i propri combattenti agli occhi del pubblico.
Se ciò non ha funzionato in Occidente, tra i palestinesi e gli spettatori arabi – un pubblico molto diverso e più importante per Hamas – il video ha servito il suo scopo. È stato pubblicato sulla pagina Facebook di Al Jazeera per l’Egitto ed è stato visto più di 1,4 milioni di volte. Quasi settantacinque mila spettatori hanno messo un like e quasi tremila hanno lasciato commenti, molti dei quali di ammirazione. Questo è soltanto uno tra i tanti video postati ogni giorno da Hamas, mirati a creare un’immagine positiva del gruppo agli occhi del mondo, soprattutto quello arabo.
Esercito israeliano
La comunicazione social delle IDF (Israel Defence Forces) è tra le più avanzate al mondo. Sono presenti su quasi tutti i canali social e hanno un grande seguito: 3,7 milioni di follower Facebook; 2,2 milioni su Twitter; 1,1 milioni su Instagram; 450 mila su Youtube; oltre 300 mila su TikTok. Il successo sui social non è un caso, ma il frutto di una strategia strutturata, creata con oltre un decennio di ingenti investimenti economici.
Se in questo momento tutti i canali sono dedicati a condividere contenuti sulla guerra in corso nella Striscia di Gaza, il resto del tempo tutti i canali seguono una strategia di comunicazione varia e moderna, che ha contribuito a rendere più “pop” le IDF e, dunque, anche più interessanti agli occhi delle nuove generazioni.
Charlie Garnett ha analizzato per il Council for Arab-British Understanding la loro comunicazione social. Garnett individua due aspetti cruciali di come l’esercito si racconta sui social: l’identità di “nuovi ebrei” e l’inclusività. Il primo fa leva sul nazionalismo; i soldati sono dipinti come israeliani nati in Israele, moralmente buoni e pronti a sacrificarsi per difendere la patria. Allo stesso tempo, i canali social si sforzano a dare un’immagine “liberale e progressita” delle IDF, rappresentando sempre soldati di ambo i sessi, dall’aspetto gradevole e giovani. Per Garnett l’obiettivo ultimo è “creare un’immagine ‘romantica’, decontestualizzata e depoliticizzata dell’IDF, che gli utenti sono felici di condividere online nello stesso modo in cui potrebbero condividere i contenuti di un marchio di largo consumo.” In questo modo, si creano contenuti condivisibili, capaci di “guadagnare follower e sostenitori in tempi di pace, in modo che in tempi di guerra Israele sia sostenuto e abbia utenti che diffondono contenuti pro-Israele online”.
Influenzare la narrativa degli eventi
La velocità con cui si diffondono le informazioni sui social media e il pubblico estremamente ampio che ne fruisce, li rende un’arma di diffusione di massa. Per questo motivo i social non sono fondamentali solo per raccontarsi al pubblico, ma anche per dare forma alla propria narrativa degli eventi e influenzare quella generale.
Un esempio esplicativo è stato il caso del bombardamento dell’ospedale di Gaza: il responsabile non è stato determinato in modo definitivo, ma sui social entrambe le parti hanno cercato di far valere le proprie rispettive accuse. Hamas ha messo in atto una rumorosa campagna sulle piattaforme per raccontare la sua versione, accusando le forze israeliane. Dall’altra parte invece, le IDF hanno messo in moto la loro macchina social per rispondere a tali accuse, negandole e rigirandole. Sul proprio profilo Instagram, l’esercito di Tel Aviv ha pubblicato 7 contenuti in appena 8 ore che smontano le accuse: 4 reel e 3 post testuali.
Oltre questo caso specifico, da quando è iniziata la guerra sia le IDF che Hamas stanno portando avanti l’offensiva social a suon di post e messaggi, per raccontare al mondo la loro versione dei fatti. Spesso diffondendo fake news.
Nel caso di Hamas, essendo l’organizzazione bandita da molti social, i contenuti vengono generalmente diffusi attraverso Telegram, per poi essere riportati da pagine surrogate sugli altri social. Ne risulta una strategia meno organizzata, ma comunque molto efficace.
Nel caso di Israele invece, il tutto è molto più strutturato. Il governo israeliano ha avviato una vasta campagna paid sui social media, indirizzata verso i principali Paesi occidentali, per guadagnare consenso e, dunque, giustificare la dura risposta militare contro Gaza. Sono stati sponsorizzati (a pagamento) decine di annunci contenenti immagini brutali ed emotive delle violenze perpetrate dai miliziani di Hamas in Israele. Le principali piattaforme interessate, secondo i dati esaminati da Politico sono state X e YouTube.
Gli sforzi di entrambi gli attori per vincere il favore dell’opinione pubblica attraverso i social è un trend che in questa guerra è particolarmente presente, ma che è ormai piuttosto diffuso. Lo stesso vale per l’utilizzo a questo scopo di campagne a pagamento per diffondere i propri messaggi, ormai uno strumento cruciale nelle mani dei governi sia in periodi di crisi e guerra, che di pace.
Durante una vecchia intervista negli anni ‘70 con la giornalista italiana Oriana Fallaci, Yassir Arafat – allora combattente e portavoce dell’OLP, poi presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese – raccontava come Israele avesse un ufficio stampa “poderoso”. Il suo ruolo era fondamentale nelle situazioni di conflitto, aiutando lo Stato ebraico a indirizzare l’opinione internazionale.
La comunicazione è sempre stata una componente fondamentale della guerra. Se questo era vero 50 anni fa, oggi lo è ancora di più. Infatti, la nuova escalation in corso a Gaza tra Hamas e Israele si sta sviluppando non solo sul campo, ma anche su e attraverso i social media. Si tratta di qualcosa che abbiamo già visto nella guerra in Ucraina e che ormai caratterizza tutti i conflitti dell’era digitale. Entrambe le parti, Israele e Hamas, utilizzano i social. Lo fanno con una strategia ben delineata, in cui si possono distinguere due diverse componenti: quella descrittiva e quella narrativa. La prima è volta a influenzare l’opinione pubblica rispetto alla propria immagine; la seconda componente mira a indirizzare la narrativa degli eventi a proprio vantaggio.