Netanyahu sta vivendo la sua stagione più difficile e non esita a forzare decisioni drastiche, pur di tenere il Governo in vita
Acque agitate a Gerusalemme. Continuano da 13 settimane le proteste nella città israeliana, dove i manifestanti chiedono a gran voce le dimissioni di Benjamin Netanyahu, il premier formalmente incriminato dal 2019 per tre atti d’accusa: corruzione, frode e abuso d’ufficio.
I media locali stimano che circa 10.000 persone abbiano partecipato sabato a quello che è diventato un appuntamento di protesta settimanale. Il processo contro il leader del Likud, interrottosi a maggio, riprenderà a gennaio, mentre il premier nega tutti gli addebiti, definendo la sua incriminazione una caccia alle streghe ordita dalla sinistra.
Oltre alle questioni giudiziarie, Netanyahu deve affrontare la pesante situazione economica. Il Paese è in recessione a causa della pandemiae il tasso di disoccupazione supera il 20%. Le nuove misure restrittive, che Israele si appresta ad affrontare per contenere la diffusione del Covid-19, rischiano di mettere il Paese in ginocchio.
Molte aziende minacciano di non rispettare la chiusura annunciata la scorsa settimana e l’Associazione degli imprenditori e la Camera di Commercio hanno avvertito il premier che il nuovo blocco nazionale “si rivelerà una catastrofe”.
Israele ha attualmente quasi 38mila casi positivi ed è ai primi posti al mondo per numero di contagi in rapporto alla popolazione.
Il nuovo lockdown partirà in realtà alla fine della settimana (ma non sarebbe urgente?!?), al ritorno di Netanyahu da Washington, dove si svolge la cerimonia per la firma dell’accordo di normalizzazione dei rapporti tra Israele e gli Emirati ArabiUniti, momento di gloria per Bibi che non può essere rovinato da nessun lockdown…
Nella prima fase, la clausura durerà tre settimane e riguarderà la festa di Rosh ha-Shanà (il Capodanno ebraico) e il Kippur, poi ci sarà un allentamento delle misure in due fasi successive. Il Ministero delle Finanze ha stimato che le perdite economiche causate dalla nuova chiusura potrebbero aggirarsi intorno ai 5 miliardi di euro.
La mossa del premier israeliano sembra dettata più da una difficoltà personale e politica che da esigenze oggettive. I numeri del contagio sono alti, è vero, ma – come sta accadendo quasi ovunque nel mondo in questa fase – due terzi dei positivi sono asintomatici o con sintomi lievi. Dunque, la chiusura totale sembra davvero una misura troppo drastica, soprattutto se pensiamo agli impatti economici e psicologici, non solo sui cittadini israeliani, di un secondo lockdown totale, il primo (e speriamo l’unico) di questa fase.
Netanyahu – al quarto vano tentativo di firmare un Governo solido – non fa eccezione ai leader al tramonto, che si attaccano a qualsiasi evento straordinario per conservare il potere.
Netanyahu sta vivendo la sua stagione più difficile e non esita a forzare decisioni drastiche, pur di tenere il Governo in vita
Acque agitate a Gerusalemme. Continuano da 13 settimane le proteste nella città israeliana, dove i manifestanti chiedono a gran voce le dimissioni di Benjamin Netanyahu, il premier formalmente incriminato dal 2019 per tre atti d’accusa: corruzione, frode e abuso d’ufficio.
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