Prima approvazione della riforma della giustizia, che interessa principalmente l’istituto della Corte Suprema israeliana, unico contraltare al potere dell’esecutivo e del Parlamento. Secondo gli oppositori, la riforma dà troppo potere al governo e minaccia la democrazia in Israele.
Continua senza impedimenti l’iter legislativo voluto fortemente dal governo di Benjamin Netanyahu per approvare la riforma della giustizia. Lunedì la Knesset, il parlamento israeliano, ha approvato a maggioranza, 64 a 56, la prima lettura su tre della prima delle novità della legge, quella che limita il “principio di ragionevolezza”.
Israele non ha una Costituzione ma 13 leggi fondamentali. Allo stato attuale la Corte Suprema Israeliana può annullare qualsiasi legge decisa dal governo con una maggioranza semplice, basandosi sulle leggi fondamentali e, in mancanza di appoggio su queste, su un principio di “ragionevolezza”.
Per il governo, questo è uno sbilanciamento di poteri verso la Corte, perché anche due giudici su tre riuniti, possono decidere di bloccare una legge o una nomina del governo, se per loro non rispetta il principio di ragionevolezza.
Un blocco avvenuto ad esempio a gennaio scorso, quando Benjamin Netanyahu decise di licenziare il ministro degli Interni e della Salute, nonché vice Primo Ministro, Aryeh Deri, dopo una sentenza della Corte. Questi, capo del partito Shash degli ultra ortodossi, era stato protagonista della sentenza dell’Alta Corte secondo cui la decisione di nominarlo ministro degli Interni e della Salute era “estremamente irragionevole” alla luce delle sue condanne penali, l’ultima nel gennaio 2022. Deri aveva stipulato un patteggiamento con una corte di Gerusalemme, atto che gli ha permesso di lasciare la Knesset prima della sua condanna e quindi evitare un’udienza per stabilire se la sua condanna per frode fiscale comportasse turpitudine morale, designazione che gli avrebbe impedito di ricoprire cariche pubbliche per sette anni.
La Corte all’epoca accettò il patteggiamento perché era convinta della volontà di Deri di ritirarsi dalla vita pubblica nel breve tempo. Il politico, però, non ha lasciato l’agone politico e ha continuato a guidare Shash, portandolo ad essere uno degli alleati importanti ed essenziali nella vittoria della destra e di Netanyahu alle consultazioni elettorali del primo novembre scorso.
Da qui la scelta del premier di portarlo al tavolo del gabinetto, nonostante quanto preveda la Legge fondamentale: il governo richiede al Comitato elettorale centrale di determinare se il suo crimine comporta turpitudine morale prima che possa essere nominato ministro.
All’approvazione di lunedì sono scaturite proteste in diverse città. Oramai sono 27 settimane che ogni sabato manifestanti scendono in piazza contro la riforma e martedì ci sono stati blocchi in ogni città e all’aeroporto Ben Gurion.
La riforma della giustizia che il governo di Benjamin Netanyahu intende portare avanti ,e che ha scatenato le feroci proteste della piazza, interessa principalmente l’istituto della Corte Suprema. Questa è l’unico contraltare rispetto al potere dell’esecutivo e del Parlamento, dal momento che anche il presidente israeliano non ha potere di bloccare o rimandare indietro le leggi. La Corte Suprema israeliana, che ha sede a Gerusalemme, è composta da 15 giudici nominati da una commissione di 9 membri: 3 dalla Corte stessa, 2 avvocati, 4 politici scelti dal governo (2 ministri, 2 parlamentari). Il secondo parlamentare è stato appena scelto tra le file della maggioranza, dopo che l’opposizione riuscì a bloccarne la nomina, favorendo solo quella del proprio esponente.
Per gli avvocati, c’è stata una serrata votazione al consiglio nazionale, che poi sceglie i due membri della commissione di nomina dei giudici. Poiché ha vinto la corrente che si oppone a Netanyahu, dal governo si è anche paventata una legge per limitare le decisioni del consiglio nazionale forense proprio per evitare che vengano nominati membri ostili nella commissione per i giudici.
Così come è formata la commissione di nomina dei giudici, secondo l’attuale governo, comporterebbe un eccessivo sbilanciamento a favore del potere giudiziario su quello politico. L’obiettivo di Netanyahu è di portare a 11 i membri del Comitato (invece dei 9 di oggi) assicurando la prevalenza dei componenti di nomina politica sui tecnici. Altra intenzione della riforma voluta dal premier sarebbe di eliminare il potere della Corte Suprema di abolire le leggi approvate dal Parlamento. O, meglio, la Corte potrebbe decidere di bloccarle, ma il Parlamento, con la maggioranza semplice di 61 membri su 120, potrebbe ribaltare la decisione della Corte.
Secondo gli oppositori, in tal modo si darebbe troppo potere al governo e ciò rappresenterebbe una minaccia per la democrazia in Israele.
Si chiede anche di eliminare la “clausola di ragionevolezza”, lasciando alla Corte Suprema il compito di esaminare esclusivamente se una legge è aderente o meno ai princìpi espressi dalle Leggi fondamentali. La riforma prevede inoltre che le decisioni della Corte in materia di invalidità di una legge, anche di una legge fondamentale, vengano prese con una maggioranza di almeno l’80% e non più semplice.
Altro punto di discordia riguarda gli incarichi dei consulenti legali dei ministeri, che non sarebbero più indipendenti sotto il controllo del ministero della giustizia, ma scelti con criteri politici e i cui pareri sono vincolanti.
Continua senza impedimenti l’iter legislativo voluto fortemente dal governo di Benjamin Netanyahu per approvare la riforma della giustizia. Lunedì la Knesset, il parlamento israeliano, ha approvato a maggioranza, 64 a 56, la prima lettura su tre della prima delle novità della legge, quella che limita il “principio di ragionevolezza”.
Israele non ha una Costituzione ma 13 leggi fondamentali. Allo stato attuale la Corte Suprema Israeliana può annullare qualsiasi legge decisa dal governo con una maggioranza semplice, basandosi sulle leggi fondamentali e, in mancanza di appoggio su queste, su un principio di “ragionevolezza”.