Lo spread dimezzato fornisce al nuovo Governo la serenità necessaria per varare le attese riduzioni di tasse e contributi sul lavoro
Ventinove, quattordici, sette. Ossia: 29 miliardi di entità totale, 14 dei quali da trovare con risorse fresche, la metà dei quali (7 miliardi) dovrà venire dalla lotta all’evasione. Sono questi i numeri più importanti contenuti nella Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (Nadef), ossia il primo atto programmatico del nuovo Governo, quello che dà il quadro generale nel quale si inseriranno i provvedimenti concreti che daranno vita alla manovra economica per il 2020.
Alcuni tratti determinanti del quadro erano già scritti, sia per effetto della congiuntura internazionale e delle politiche europee, sia in seguito ad alcune decisioni prese dal Governo precedente. Tra queste, la più importante non è stata la manovra di bilancio presentata esattamente un anno fa per il 2019 – quella della sfida all’Ue, rientrata subito ma dopo aver prodotto notevoli danni economici, in termini di costo del servizio del debito – ma la manovra correttiva varata lo scorso giugno. Approvato quasi in incognito (assenti i due azionisti di maggioranza dell’allora Governo gialloverde), quell’intervento ha evitato la procedura di infrazione già avviata dall’Unione Europea. L’altro fattore determinante è stato il cambio di maggioranza e di Governo, che ha tolto di mezzo la prospettiva di una nuova sfida all’Unione e i conseguenti effetti sulla valutazione del rischio del debito pubblico, conteggiati in punti di spread. Per effetto di queste dinamiche economico-politiche, il deficit “tendenziale” – ossia quello che si verificherebbe nel 2020 se non ci fosse alcuna manovra economica – è sceso, dando al Governo un certo margine per farlo di nuovo salire chiedendo a Bruxelles la relativa flessibilità; e, soprattutto, è scesa la spesa per interessi sui titoli del debito pubblico.
È quest’ultimo il vero “tesoretto” del momento: a inizio anno, ha ricordato la Banca d’Italia nella sua audizione sulla Nadef, lo spread sovrano dell’Italia era a 270 punti base; a fine maggio, mentre l’allora Governo ribadiva di voler introdurre una flat tax dal costo superiore ai 30 miliardi e al contempo disinnescare le clausole Iva, dunque aumentare il debito di qualcosa come 54 miliardi in un colpo, aveva sfiorato i 300 punti; per poi tornare dopo l’estate a 140 punti, livello inferiore a quello del principio del 2018. In percentuale del Pil, questo vuol dire che la nostra spesa pubblica per pagare il debito scenderà al 3,2-3,3%. Ma vale la pena di vedere le grandezze assolute: la spesa per interessi sul debito, che era di 64,6 miliardi nel 2018, scende a 61,3 nel 2019 e a 59,2 nel 2020. Restiamo il Paese europeo con il più alto peso del servizio del debito, ma si è evitato che crescesse ancora e anzi si è tornati sulla strada di una sua riduzione progressiva. La cui tenuta dipenderà, oltre che dalla credibilità del Governo, anche dalle scelte della Bce, che per ora pare intenzionata a mantenere una politica espansiva, e dalla stabilità finanziaria internazionale, che invece è molto meno prevedibile dati i venti turbolenti da Washington e Londra.
Se il nuovo quadro appena descritto mostra le opportunità e i vincoli della fase che si apre, i contenuti della manovra sono anch’essi, in parte, predeterminati. In particolare, la parte preponderante della manovra è la ragione stessa della nascita dell’attuale Governo: evitare l’aumento dell’Iva. A questo scopo sono destinati 23,1 miliardi, ossia l’1,3% del Pil. È questa una misura espansiva? Certamente sì, se si pensa che, in assenza di interventi, quell’aumento di tasse al consumo sarebbe andato a pesare sul settore privato dell’economia. Ma un conto è evitare di cadere, un altro è avere una spinta in avanti. Quest’ultima è nelle intenzioni del Governo, e messa nero su bianco nella Nadef con un ampio programma di stimolo fiscale, “non solo per contrastare l’indebolimento ciclico ma anche per affrontare con determinazione nodi strutturali quali la carenza di investimenti pubblici, i cambiamenti climatici e le tensioni sociali, e costruire un nuovo paradigma di crescita sostenibile a livello sociale e ambientale, basato sull’innovazione tecnologica e lo sviluppo delle competenze”. Green new deal, ricucitura della frattura sociale, new economy e capitale umano: il tutto con quel che resta della manovra una volta tolto il malloppo dell’Iva, ossia 6 miliardi. Una parte dei quali, va aggiunto, sono già impegnati per spese già decise e per il rinnovo di misure in scadenza.
Dimenticando tutte le proposte un po’ estemporanee che nei giorni di preparazione della manovra ciascun Ministro e parte politica ha pensato bene di far circolare (come per esempio i bonus per le famiglie), quel che è scritto nero su bianco e che il Ministro dell’Economia Gualtieri ha ribadito di voler fare è la riduzione del cuneo fiscale, ossia tasse e contributi sul lavoro. Per questa misura, che chiedono a gran voce sia la Confindustria che i sindacati, è stanziata una somma pari allo 0,15% del Pil nel 2020, che salirà allo 0,3% del Pil nel 2021. È poco ma, sostiene il Ministro, è una indicazione di rotta precisa. Per fare di più, si sarebbe dovuto mettere mano alle risorse impegnate nelle misure redistributive decise dal passato Governo (reddito di cittadinanza e quota 100 per le pensioni), e non c’erano le condizioni politiche per farlo. Oppure si sarebbe potuto, come forse una parte del Governo avrebbe preferito, non disattivare completamente le clausole Iva, ossia far salire selettivamente le imposte al consumo per determinati beni, escludendo solo quelli con maggiore impatto sui ceti meno benestanti: ma anche su questo – salvo cambiamenti di qui a dicembre – non pare esserci consenso politico.
Per effetto della manovra, è la stima del Governo, il Pil crescerà l’anno prossimo di 0,2 punti percentuali in più: 0,6% invece che 0,4%. Queste previsioni si basano su moltiplicatori – ossia numeri che contengono ipotesi sull’effetto di ciascuna spesa o entrata – che la Banca d’Italia ha definito “prudenti”, sottolineando che gli effetti di stimolo più significativi vengono dagli investimenti e dalla riduzione del cuneo fiscale, e dunque auspicando in futuro maggiori impieghi in quella direzione.
La portata espansiva della manovra dipende oltre che dall’entità e destinazione della spesa (o delle minori tasse) anche dalle coperture. La domanda è: quanta parte di quei 29 miliardi deve essere finanziata assorbendo, in qualche modo, risorse dai cittadini e dalle imprese? 14 miliardi, prevede il quadro programmatico del Governo. Più della metà della manovra sarà infatti finanziata con un allargamento del deficit, che infatti sale dall’1,4% tendenziale – cioè quello che si formerebbe a politiche invariate, aumento dell’Iva compreso – al 2,2% del Pil. L’anno scorso il Governo gialloverde aveva prima posto come obiettivo il 2,4%, poi, dopo la censura di Bruxelles, aveva portato l’obiettivo al 2,04% − per poi giungere, di fatto, al 2,2%, dopo gli aggiornamenti in corso d’anno. Insomma, ci indebitiamo di nuovo, con il consenso (ancora non formale) della Commissione Europea, che sconta sia un clima collaborativo nuovo che la consapevolezza di alcune esigenze specifiche legate alla congiuntura.
Restano quei 14 miliardi da finanziare. La previsione più imponente è quella da entrate derivanti dalla lotta all’evasione: 7 miliardi. Sia la Banca d’Italia che l’Ufficio parlamentare di bilancio, nelle audizioni sulla Nadef, hanno definito quest’obiettivo estremamente ambizioso. Ma anche in questo caso, come per il cuneo fiscale, si può leggere tra le righe l’intenzione. La “compliance fiscale”, ossia il tasso di obbedienza in tema di tasse, è spesso legata a strumenti tecnici (e la fatturazione elettronica si è mostrata efficace anche al di sopra delle aspettative) ma anche a un certo clima politico e culturale. Sul quale il nuovo Governo conta, evidentemente più che su altri cavalli di battaglia del passato, adesso abbandonati, come la lotta all’uso del contante. Che sarà fatta più con uso di disincentivi e incentivi che con tetti e proibizioni. Sparisce invece dalle previsioni il numero, del tutto sovrastimato dai Governi precedenti, delle entrate da privatizzazioni: per quest’anno, la stima delle loro entrate sul Pil è passata dall’1% a zero. Per il 2020, si prevede un più realistico 0,2%. Le altre risorse, necessarie per arrivare a quei 14 miliardi tra tagli e tasse, sono tutte da definire: l’indicazione è quella di usare le forbici in modo selettivo, per esempio tagliando agevolazioni fiscali nocive per l’ambiente.
@robertacarlini
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
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Lo spread dimezzato fornisce al nuovo Governo la serenità necessaria per varare le attese riduzioni di tasse e contributi sul lavoro
Ventinove, quattordici, sette. Ossia: 29 miliardi di entità totale, 14 dei quali da trovare con risorse fresche, la metà dei quali (7 miliardi) dovrà venire dalla lotta all’evasione. Sono questi i numeri più importanti contenuti nella Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (Nadef), ossia il primo atto programmatico del nuovo Governo, quello che dà il quadro generale nel quale si inseriranno i provvedimenti concreti che daranno vita alla manovra economica per il 2020.