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Kazakistan: le nuove vie del petrolio


Da importante membro dell’ex blocco sovietico, Astana è in pole position per diventare un attore di primo piano nell’alleanza sovraregionale degli Stati di lingua turca, con buone probabilità di trasformarsi nel maggiore player geopolitico dell’Asia Centrale

In una parte del mondo eternamente afflitta dalla carenza d’acqua, o da vere e proprie crisi di siccità, gli esseri umani si sono sempre dovuti ingegnare per dare vita a imponenti sistemi di canalizzazione che fossero in grado di trasportare l’acqua verso i centri abitati, verso i campi coltivabili, lottando perpetuamente (e spesso invano) contro le infide maree del deserto e le invincibili durezze della steppa. Il destino dell’Asia Centrale, da questo punto di vista, è segnato sin dal primo millennio a.C., quando si trovò il modo di trasportare l’acqua attraverso l’ingegnoso sistema dei qanat, dei canali sotterranei che collegavano gli insediamenti umani alle più vicine fonti acquifere. Non è certamente un caso che un antico detto turkmeno reciti più o meno così: “L’acqua è più preziosa del diamante”.

Al giorno d’oggi, le sorti di una delle più ferventi economie dell’Asia Centrale, il Kazakistan, sono ancora legate a doppio filo al trasporto di una sostanza preziosa e al tempo stesso assolutamente determinante per la sua prosperità, proprio come lo fu l’acqua nei tempi antichi: il petrolio. Nonostante un lieve calo nella crescita del Pil, passata dal 4.1% del 2021 al 3.4% del 2022 (ma con buone possibilità di risalire nel corso del 2023/24), i ricavi derivanti dal settore del gas e del petrolio continuano a incidere in maniera decisiva sull’economia di questa sconfinata nazione di 19 milioni di abitanti, e con ogni probabilità ne segneranno anche le sorti geopolitiche nel medio e lungo periodo, in particolare per quel che riguarda i rapporti di Astana con la Russia di Vladimir Putin.

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