Il caso Khashoggi non scuote solo il Medio Oriente
Il rapporto CIA cancella ogni dubbio sulla morte di Khashoggi. I media e i democratici fanno pressioni su Biden affinché prenda misure più drastiche nei confronti di MBS
Il rapporto CIA cancella ogni dubbio sulla morte di Khashoggi. I media e i democratici fanno pressioni su Biden affinché prenda misure più drastiche nei confronti di MBS
Lo aveva promesso e lo ha fatto, ma non è stato conseguente. Questo è il giudizio di firme importanti del giornalismo statunitense e dell’editorial board del Washington Post sulla pubblicazione del rapporto CIA relativo all’assassinio di Jamal Khashoggi che segnala una volta di più il ruolo avuto dal principe della corona bin Salman nella morte dell’oppositore saudita residente negli Stati Uniti e collaboratore del quotidiano. Cosa dicono gli analisti? E cosa ha fatto e farà Biden? Si tratta di un punto importante perché tiene assieme due aspetti centrali per la politica estera Usa: c’è il ritorno del tema dei diritti umani e dell’ingerenza umanitaria e ci sono gli equilibri e le alleanze mediorientali.
Il Presidente e la sua amministrazione hanno già dato tre colpetti a bin Salman, probabile futuro re saudita, riformatore tanto moderato nelle riforme quanto brutale con gli oppositori. Biden ha usato toni duri nella prima telefonata con il re e non ha sentito il principe – e ci ha tenuto a segnalarlo nel comunicato stampa – poi ha interrotto l’export di alcune armi verso il Paese e, infine, ha desecretato il rapporto CIA su Khashoggi. Parallelamente, sembra, la diplomazia Usa ha riaperto dei canali di dialogo con l’Iran, ma ha voluto rassicurare Riad sulla alleanza e amicizia e avvertire Teheran con un raid sulle postazioni Hezbollah in Siria. L’impressione è quella di un tentativo di ripensare la propria politica facendo qualche scommessa non troppo azzardata.
Le proteste dei media
Ma il caso Khashoggi non è solo Medio Oriente. Vediamo a cosa chiedono i giornali anche qualche politico del Partito democratico a Biden. Innanzitutto tutti segnalano il cambio di passo rispetto all’amministrazione Trump. Il Presidente repubblicano fece il suo primo viaggio all’estero a Riad e ha fatto della special relation con bin Salman un architrave della propria politica estera – ottenendo dei passi in avanti sul riconoscimento di Israele, che con Netanyahu è un altro alleato politico e non solo strategico di Trump. L’editorial board del Washington Post pubblica un commento molto duro, illustrato con un’immagine di bin Salman la cui ombra è una stilizzazione della morte (cappuccio e falce) e spiega che la posizione americana è rischiosa “in assenza di prove che MBS sia pronto a modificare radicalmente il suo regime. (…) come condizione per relazioni normali, serve che l’architetto dell’assassinio di Khashoggi e di altre offese ai diritti umani – Saud al-Qahtani, uno stretto collaboratore di MBS – sia portato in giudizio”.
Nicholas Kristof, sul NYT, segnala come l’omicidio di Khashoggi sia solo una delle questioni relative al disprezzo delle norme internazionali e dei diritti umani: bin Salman è anche l’architetto della guerra in Yemen (nella quale non ci sono buoni) e colui che ha fatto rapire il premier libanese Hariri, e non sanzionarlo è un errore. Kristof aggiunge che una forte pressione esterna potrebbe anche contribuire a ridimensionare il ruolo di bin Salman all’interno delle gerarchie saudite. Tra sabato e domenica molti senatori democratici hanno partecipato a trasmissioni televisive in cui si discuteva del tema e hanno dovuto rispondere a domande piuttosto secche. Tutti segnalano che è probabile e possibile che l’amministrazione Biden faccia altri passi. Alcuni sono più critici, come il senatore dell’Ohio Sherrod Brown, altri sono in attesa (Warner del Colorado), altri difendono Biden, come Coons, che spiega: “Occorre trovare il punto di equilibrio tra il rispetto dei diritti umani e l’importanza dell’Arabia Saudita, sapendo che probabilmente bin Salman è destinato a essere la figura centrale di quel Paese per anni se non decenni”. Il punto è proprio questo e meglio ancora lo ha evidenziato la senatrice delle Hawaii Hirono: “Spero che vengano fatti altri passi, ma parliamoci chiaro, è una situazione scivolosa; l’Arabia Saudita è un alleato importante”. Un punto cruciale, sapendo che gli equilibri mediorientali sono molto cambiati nei quattro anni di Trump.
Il Segretario di Stato Tony Blinken ci ha tenuto a ricordare come gli Stati Uniti tendano a non imporre sanzioni sui leader dei Paesi. E in effetti tra i sanzionati ci sono solo arci-nemici come Kim, Maduro, Assad. La novità sta anche nell’imposizione di sanzioni a 76 cittadini sauditi collegati alla repressione o a minacce verso dissidenti. Gli Stati Uniti useranno questo strumento di promozione dei diritti umani (le “Khashoggi sanctions”) non solo contro l’Arabia Saudita. Non c’è dubbio che gli Usa si trovino in un passaggio cruciale in politica estera e che i passi compiuti da Biden nei confronti dell’Arabia Saudita (come dell’Iran) siano fatti per tastare il terreno senza far saltare il tavolo. Il cammino è molto stretto, ma probabilmente si tratta di ripensare una politica mediorientale antica, come scrive il senatore Chris Murphy sull’ultimo Foreign Affairs, che presiede la sotto-commissione sulla Sicurezza nazionale ed è membro di quella Esteri, ed è tra le prime figure nazionali a essersi opposto al sostegno all’azione saudita in Yemen. Murphy ricorda come le basi di quella politica discendano dalla dottrina Carter, quando gli Usa importavano dal Golfo il 30% del petrolio che consumavano.
Nel 2019 l’import dall’Arabia Saudita era pari al 6% e da tutto il Golfo era l’11%. La dipendenza è molto minore e, se davvero Biden perseguirà una politica di conversione dell’economia, è destinata a diminuire ancora. Il senatore dice molte cose, tra cui la necessità di abbandonare quello scambio tra aiuto nella lotta alterrorismo e intelligence contro armi e silenzio sui diritti umani, quella di ridurre l’impronta militare nel Golfo, cresciuta a dismisura dopo l’11 settembre, restringere i criteri per la vendita di armi a Paesi che le usano anche contro la propria popolazione o in violazione del diritto internazionale. Infine, scrive Murphy, occorre riconoscere come la politica mediorientale americana non abbia portato benefici duraturi e non sia stata risolutiva: gli interventi diretti come in Iraq o quelli timidi come in Libia e Siria non hanno creato situazioni stabili. Quelli suggeriti da Murphy, che non è parte di un’ala radicale del Partito democratico, sono passi importanti e difficili da compiere e il caso Khashoggi è solo un tassello di un mosaico complicatissimo. L’amministrazione Biden ha cominciato con qualche segnale e sembra intenzionata a cambiare qualcosa. Probabilmente imparando dai disastri fatti negli otto anni di Bush e dagli errori che molti membri dell’amministrazione in carica hanno fatto negli anni di Obama. Forse sono proprio quegli errori a determinare la timidezza nel punire bin Salman.
Il rapporto CIA cancella ogni dubbio sulla morte di Khashoggi. I media e i democratici fanno pressioni su Biden affinché prenda misure più drastiche nei confronti di MBS
Lo aveva promesso e lo ha fatto, ma non è stato conseguente. Questo è il giudizio di firme importanti del giornalismo statunitense e dell’editorial board del Washington Post sulla pubblicazione del rapporto CIA relativo all’assassinio di Jamal Khashoggi che segnala una volta di più il ruolo avuto dal principe della corona bin Salman nella morte dell’oppositore saudita residente negli Stati Uniti e collaboratore del quotidiano. Cosa dicono gli analisti? E cosa ha fatto e farà Biden? Si tratta di un punto importante perché tiene assieme due aspetti centrali per la politica estera Usa: c’è il ritorno del tema dei diritti umani e dell’ingerenza umanitaria e ci sono gli equilibri e le alleanze mediorientali.
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