Una settimana di follia a Seul: il presidente Yoon Suk-yeol dichiara la legge marziale, l’esercito prende d’assalto l’Assemblea nazionale, media ed editori vengono posti sotto controllo. Si pensa a un deepfake. Poi, immense proteste di gente infuriata hanno riempito le strade.
È stata incredibile la settimana vissuta a Seul e dintorni: il presidente Yoon Suk-yeol che dichiara la legge marziale, l’esercito che prende d’assalto l’Assemblea nazionale mentre i parlamentari votano la richiesta di revoca, il voto senza quorum sulla procedura di impeachment, le immense proteste che stanno riempiendo le strade della capitale, il commissariamento del leader da parte del partito di governo, in quello che l’opposizione definisce un secondo tentativo di golpe. E la sensazione, o meglio la certezza, è che si sia solamente all’inizio.
Tutto comincia martedì 3 dicembre, poco prima delle dieci e mezza di sera, quando Yoon convoca un’improvvisa conferenza stampa. Nel suo discorso, attacca i tentativi dell’opposizione di “minare” il suo governo, prima di dichiarare che stava dichiarando la legge marziale per “schiacciare le forze anti statali che stanno creando scompiglio”. Una decisione, dice, obbligata per “proteggere il Paese dalle forze comuniste nordcoreane”. In realtà, la mossa non è legata al rischio di un attacco imminente del regime di Kim Jong-un, ma a ragioni interne. Secondo il presidente conservatore, l’opposizione “ha paralizzato il governo” trasformando il parlamento “in un rifugio per criminali che cercano di paralizzare il sistema amministrativo-giudiziario e di rovesciare il nostro ordine democratico liberale”. A partire dalle 11 di martedì sera, era entrato in vigore un decreto che predisponeva la creazione di un comando militare preposto a mettere in atto la legge marziale. Fuorilegge qualsiasi attività politica, comprese quelle dell’Assemblea nazionale e ogni forma di protesta o assembramento. Media ed editori vengono posti sotto controllo, mentre si prevede la possibilità di procedere ad arresti anche senza mandato. In tanti pensano addirittura a un deepfake, ipotesi non così remota in un paese dove i veleni politici hanno raggiunto un apice assai pericoloso. E invece è tutto vero. I sudcoreani lo capiscono quando vedono in tv gli elicotteri sopra l’Assemblea nazionale, coi blindati dell’esercito all’esterno. Immagini che evocano inevitabilmente i tempi bui della dittatura e delle 12 leggi marziali del passato, di cui l’ultima imposta nel 1980 portò a conseguenze sanguinose.
Opposizione politica e società civile non restano però a guardare. Il Partito Democratico di Lee Jae-myung, che ha un’ampia maggioranza parlamentare dopo aver stravinto le elezioni legislative dello scorso aprile, riesce a votare verso l’una di notte un provvedimento di richiesta di revoca della legge marziale. I 190 deputati presenti sono costretti a votare asserragliati dentro l’aula, mentre oltre 200 militari fanno irruzione nell’edificio. All’esterno, migliaia di persone protestano contro la legge marziale e cercano di impedire ai soldati di entrare. Alla fine, la richiesta di revoca passa e i militari lasciano lentamente il parlamento. Verso le quattro e trenta del mattino, Yoon esegue la richiesta del parlamento.
La cronaca di una notte folle non basta, però, a raccontare quanto sta accadendo e quanto potrebbe accadere in Corea del Sud. Da mercoledì scorso, il Paese è in subbuglio. Le proteste si susseguono tutti i giorni, con i sindacati (elemento centrale della democratizzazione coreana) che hanno dichiarato uno sciopero generale a oltranza fino a quando Yoon non si dimetterà o non verrà rimosso. A livello politico, nonostante abbia subito criticato la legge marziale e abbia chiesto al presidente di farsi da parte, il Partito del Potere Popolare di Yoon ha scelto di boicottare il voto sull’impeachment di sabato sera. L’opposizione aveva bisogno di otto dissidenti nella forza di maggioranza per ottenere la rimozione immediata del presidente, ma solo in tre sono rimasti in aula a votare. Non sufficienti per raggiungere il quorum.
Lee ha già annunciato una seconda procedura di impeachment, che approderà in parlamento mercoledì 11 dicembre per essere poi votata tra il 13 e il 14 dicembre. Ma il rischio è di un muro contro muro totale, assai pericoloso. Questo perché il partito di governo ha scelto di compattare le sue fila con un originale commissariamento di Yoon. In una controversa conferenza stampa domenicale, il premier Han Duck-soo e il leader del partito di governo Han Dong-hoon hanno infatti annunciato di averlo messo sotto tutela. “Non prenderà più parte agli affari di stato, politica estera inclusa”, ha detto il premier, che ha prospettato un’uscita di scena ordinata per Yoon, senza però specificare le tempistiche delle sue dimissioni. La mossa era forse volta a tranquillizzare chi teme un’ipotetica seconda legge marziale di Yoon, ma in realtà ha fatto arrabbiare quasi tutti. L’opposizione sostiene che si tratti di un secondo golpe, visto che non esistono norme costituzionali che prevedono il passaggio dei poteri presidenziali a un leader di partito. E le proteste proseguono. Resta anche poco chiaro capire chi gestisce i rapporti diplomatici e chi controlla davvero l’esercito, visto che per costituzione è il presidente l’unico capo delle forze armate. La maggioranza vuole evitare elezioni immediate, dove la débacle sarebbe praticamente una certezza, e ha già dato segnali di voler provare un dialogo con l’opposizione, proponendo delle riforme costituzionali basate sulla riduzione del mandato presidenziale a quattro anni invece di cinque, consentendo però un secondo mandato. Difficile però immaginare che questo funzioni. La pressione dell’opposizione e di una società civile infuriata per la legge marziale è destinata ad aumentare.
Nel frattempo, la giustizia inizia a fare il suo corso. Già finito in manette Kim Yong-hyun, il ministro della Difesa che avrebbe suggerito di imporre la legge marziale a Yoon, di cui è grande amico sin dai tempi in cui erano compagni di liceo. Kim avrebbe anche ordinato l’arresto dei leader dell’opposizione. Nei giorni scorsi gli era stato già confiscato il passaporto, dopo che era circolata la voce di un suo piano di fuga in Giappone. Emerge tra l’altro l’ipotesi che fosse allo studio un piano per alimentare una crisi militare con la Corea del Nord per avere la scusa di sospendere la democrazia. Si è invece dimesso il ministro dell’Interno, Lee Sang-min, su cui era stata aperta un’ulteriore procedura di destituzione. Ma il cerchio rischia di chiudersi anche intorno a Yoon. Sul piano giudiziario, gli inquirenti hanno annunciato un’indagine a suo carico con le accuse di insurrezione e abuso di potere.
Attenzione anche alle conseguenze internazionali. Vista la grande debolezza sul fronte interno, Yoon si era molto concentrato sul rafforzare la presenza di Seul sulla scena internazionale. Ha rafforzato l’alleanza con gli americani, visitando a più riprese gli Stati Uniti e cantando anche “American Pie” durante la visita di Stato alla Casa Bianca. Ha sottoscritto uno storico documento di partnership con la Nato e ha riavviato i rapporti col Giappone, ottenendo il disgelo anche a costo di cancellare le richieste di risarcimento per gli abusi del periodo della dominazione coloniale. Ha adottato una linea da “occhio per occhio” con Pyongyang, in cui ha sempre provato a rispondere colpo su colpo alle mosse e provocazioni di Kim. Infine, si è decisamente schierato contro la Russia sulla guerra in Ucraina e proprio nei giorni scorsi ha aperto per la prima volta all’invio di armi a Kiev, dopo aver ricevuto il ministro della Difesa di Volodymyr Zelensky. Tutti elementi che hanno peggiorato i rapporti della Corea del Sud con la Cina e che hanno prodotto forti critiche dell’opposizione. Yoon è stato accusato di essere un “servo dei giapponesi” e di rischiare di trascinare il Paese in guerra.
Il caos improvviso rischia di lasciare Washington con un fondamentale alleato distratto. E soprattutto rischia di lasciare Seul esposta a eventuali mosse rivali, dopo che la Corea del Nord ha siglato con la Russia un trattato di mutua difesa che Pyongyang ha comunicato essere entrato in vigore il 4 dicembre. Esattamente nelle ore in cui Seul era ancora sotto choc per quella legge marziale che ha riaperto le ferite del suo passato, aprendo incognite sul suo futuro.
È stata incredibile la settimana vissuta a Seul e dintorni: il presidente Yoon Suk-yeol che dichiara la legge marziale, l’esercito che prende d’assalto l’Assemblea nazionale mentre i parlamentari votano la richiesta di revoca, il voto senza quorum sulla procedura di impeachment, le immense proteste che stanno riempiendo le strade della capitale, il commissariamento del leader da parte del partito di governo, in quello che l’opposizione definisce un secondo tentativo di golpe. E la sensazione, o meglio la certezza, è che si sia solamente all’inizio.
Tutto comincia martedì 3 dicembre, poco prima delle dieci e mezza di sera, quando Yoon convoca un’improvvisa conferenza stampa. Nel suo discorso, attacca i tentativi dell’opposizione di “minare” il suo governo, prima di dichiarare che stava dichiarando la legge marziale per “schiacciare le forze anti statali che stanno creando scompiglio”. Una decisione, dice, obbligata per “proteggere il Paese dalle forze comuniste nordcoreane”. In realtà, la mossa non è legata al rischio di un attacco imminente del regime di Kim Jong-un, ma a ragioni interne. Secondo il presidente conservatore, l’opposizione “ha paralizzato il governo” trasformando il parlamento “in un rifugio per criminali che cercano di paralizzare il sistema amministrativo-giudiziario e di rovesciare il nostro ordine democratico liberale”. A partire dalle 11 di martedì sera, era entrato in vigore un decreto che predisponeva la creazione di un comando militare preposto a mettere in atto la legge marziale. Fuorilegge qualsiasi attività politica, comprese quelle dell’Assemblea nazionale e ogni forma di protesta o assembramento. Media ed editori vengono posti sotto controllo, mentre si prevede la possibilità di procedere ad arresti anche senza mandato. In tanti pensano addirittura a un deepfake, ipotesi non così remota in un paese dove i veleni politici hanno raggiunto un apice assai pericoloso. E invece è tutto vero. I sudcoreani lo capiscono quando vedono in tv gli elicotteri sopra l’Assemblea nazionale, coi blindati dell’esercito all’esterno. Immagini che evocano inevitabilmente i tempi bui della dittatura e delle 12 leggi marziali del passato, di cui l’ultima imposta nel 1980 portò a conseguenze sanguinose.