Il momento geopolitico sembra propizio per attivare una nuova fornitura di gas dall’Asia Centrale all’Europa, sfruttando le potenzialità della Turchia come potenza smistatrice. Ankara ha preso coscienza del suo potenziale energetico.
Le popolazioni della Turchia e del Turkmenistan non condividono unicamente una comune radice etnica legata all’antica tribù degli Oghuz, uno dei gruppi storici che contribuì alla formazione e alla diffusione della cultura turca dalla valle dell’Orkhon – in Mongolia – fino alle sponde del Mediterraneo. In un futuro non troppo lontano, i due Stati potrebbero condividere anche un comune destino alimentato dalla potenza del gas naturale.
Lo scorso marzo, Turchia e Turkmenistan hanno siglato un importante accordo bilaterale incentrato proprio sul gas, contenente la comune volontà – per ora rimasta soltanto sulla carta – di trovare al più presto un modo per esportare il gas del Turkmenistan verso la Turchia e i mercati europei, ancora piuttosto scossi dalle ripercussioni energetiche dell’invasione russa dell’Ucraina.
Nonostante un ruolo non certo rilevante sul piano internazionale, anche da un punto di vista prettamente reputazionale, il Turkmenistan dispone attualmente delle quarte riserve mondiali di gas naturale, recentemente quantificate in ben 13.4 trilioni di metri cubi. Uno dei maggiori depositi mondiali di gas naturale si trova proprio in Turkmenistan, nella porzione sud-orientale del Paese: si tratta del giacimento di Galkynysh, che contiene anche ingenti quantità di petrolio.
Per portare il gas turkmeno in Turchia, tuttavia, è necessario che Ashgabat si accordi con i Paesi vicini sull’effettivo percorso che la risorsa energetica dovrà compiere per spostarsi verso ovest. Al momento, le alternative possibili sembrano tre: la prima è legata all’Iran, con cui il Turkmenistan potrebbe concludere un accordo di scambio per rendere possibile il passaggio del gas dai territori di Teheran. La seconda ha a che vedere con il gasdotto transcaspico, un progetto di cui si discute da più di trent’anni, e che attualmente sembrerebbe la via meno percorribile (anche per la netta opposizione di Russia e Iran a una simile iniziativa). La terza strada, sulla quale hanno iniziato a riverberarsi dei timidi riflessi di speranza, è quella che passa per la rotta caucasica, in particolare dai territori dell’Azerbaijan, con cui la Turchia ha concluso un accordo in tal senso lo scorso maggio.
Rispetto ai precedenti accordi energetici siglati da Ankara, quest’ultimo sembra avere una certa rilevanza: non soltanto per i volumi dell’effettiva fornitura di gas turkmeno a Turchia ed Europa, che non sono ancora stati precisati, ma per il fatto di escludere l’Iran dalle rotte energetiche tra l’Asia Centrale e l’Europa. Non è ancora chiaro da quali infrastrutture potrà passare il gas turkmeno, ma si ipotizza che attraverso il gasdotto Igdir-Nakhchivan (non ancora ufficialmente lanciato) il gas azero potrà raggiungere alcune porzioni del territorio di Baku passando proprio dalla Turchia, potendo compiere in linea teorica anche il percorso inverso (ossia da est a ovest). Al momento, Azerbaijan e Turchia sono collegate unicamente da altri due gasdotti: il corridoio meridionale del gas e il Baku-Tbilisi-Erzurum.
Del resto, il momento sembra davvero propizio per attivare una nuova fornitura di gas dall’Asia Centrale all’Europa, magari sfruttando le potenzialità della Turchia come potenza smistatrice. Per Ankara, poter contare su una certa quantità di gas turkmeno significherebbe compiere un passo deciso verso una reale diversificazione, aggiungendo una risorsa preziosa al suo portafoglio energetico e rafforzando il progetto turco di divenire una sorta di hub regionale per l’energia. Per i Paesi dell’Unione Europea, ancora alle prese con le conseguenze dell’invasione russa in Ucraina, il gas turkmeno rappresenta un buon mezzo (anche se non potrà essere certamente l’unico) per ridurre definitivamente la propria dipendenza energetica da Mosca e ritornare a una situazione di apparente normalità, anche dal punto di vista dei prezzi. Per il Turkmenistan, infine, la possibilità di esportare il proprio gas verso ovest, in Turchia e in Europa, rappresenterebbe forse la via più breve per affacciarsi ai mercati globali, con concrete possibilità di rafforzare anche la propria posizione nei confronti di due grandi potenze come Russia e Cina (quest’ultima rappresenta ancora uno dei principali destinatari del gas turkmeno). Uno degli aspetti più interessanti, in questo complesso gioco di incastri energetici e geopolitici, è rappresentato dal particolare ruolo del Turkmenistan, che grazie alle sue ingenti risorse naturali ha l’occasione di trasformarsi in un vero e proprio game-changer dei delicati equilibri regionali in Asia Centrale e Asia minore, diventando nel contempo un valido facilitatore per le ambizioni di Ankara.
Tutto è cambiato due anni fa, con l’invasione russa dell’Ucraina. Fino a quel momento, il Turkmenistan aveva sempre tentennato di fronte alla prospettiva di esportare il proprio gas verso ovest, verso la Turchia e l’Europa, soprattutto perché temeva l’ostracismo da parte di Mosca (alla Russia, infatti, interessava mantenere la propria posizione di dominio nel mercato del gas europeo, tenendo alla larga ogni possibile concorrente). Ma da due anni a questa parte, gli equilibri energetici sono cambiati in maniera radicale: ora il gas russo si dirige con decisione verso la Cina – ormai considerata da Mosca il miglior cliente per le sue esportazioni di gas -, per cui agli occhi della Russia le cessioni di gas turkmeno alla Turchia e all’Europa non rappresentano più un reale problema. Un maggior afflusso di gas da est a ovest, ossia dal Turkmenistan all’Europa, aiuterebbe anzi Mosca a conservare il proprio ruolo di fornitore energetico privilegiato della Cina, liberandola parzialmente dall’interferenza del Turkmenistan.
È probabilmente anche per questo che Ashgabat si sta dimostrando così attiva sui mercati energetici internazionali: di fronte alla prospettiva di perdere una parte delle sue esportazioni di gas verso la Cina, a causa dell’impellente necessità russa di vendere il proprio gas a Pechino, il Turkmenistan si troverebbe nella condizione di dover diversificare le proprie cessioni energetiche verso l’esterno, rivolgendole magari verso la Turchia, l’Europa e i mercati globali. La fase storica in cui la Cina rappresentava la principale destinazione del gas turkmeno, con ogni probabilità, è destinata a finire.
Gli accordi di Ankara con Turkmenistan e Azerbaijan sono stati siglati in una congiuntura storica molto particolare, un momento assai delicato in cui la Turchia sembra aver preso coscienza del suo potenziale energetico e della possibilità di influenzare in modo decisivo gli equilibri regionali (e non solo). Non è un caso che la Turchia abbia da poco dato il via a una massiccia produzione di gas da uno dei suoi giacimenti offshore nel Mar Nero, segnalandosi così come uno degli attori energetici più attivi della regione. Al momento, Ankara è ancora dipendente in larga parte dalle esportazioni di gas provenienti da nazioni come Russia, Iran e Azerbaijan, grazie soprattutto a infrastrutture come il Blue Stream e il Turk Stream, entrambi transitanti dal Mar Nero. Il fermento energetico che si sta osservando nelle acque del Mar Nero, anche grazie alla possibilità di sfruttare i massicci giacimenti di gas scoperti al suo interno, potrebbe dunque rappresentare un chiaro segnale di smarcamento turco dall’eccessiva dipendenza energetica che al momento la lega ad altri Paesi, con i quali è comunque intenzionata a mantenere buone relazioni (come nel caso della Russia, ad esempio).
Per il momento, comunque, la Turchia appare più interessata a raggiungere l’obiettivo della diversificazione, inserendo così altri flussi di risorse naturali nel suo già ricco portafoglio energetico. L’accordo con il Turkmenistan rientra proprio in un disegno strategico di questo genere, e sembra inserirsi in un rapporto che vede già le due nazioni intrattenere un massiccio interscambio commerciale (al momento il volume del commercio bilaterale sarebbe di 2.5 miliardi di dollari). Un accordo con il Turkmenistan rafforzerebbe inoltre la posizione negoziale di Ankara nei confronti di Mosca: una fornitura turkmena diretta verso l’Europa, e transitante dal territorio turco, impedirebbe alla Russia di beneficiare della creazione di un possibile hub energetico congiunto tra Mosca e Ankara per il commercio del gas, proposto da Putin nel 2022 e temuto soprattutto dall’Europa. Da questo ipotizzato hub comune – il cui progetto è tuttora in stallo – il gas transiterebbe anche verso l’Europa, consentendo così a Mosca di mantenere una sorta di posizione clandestina nel mercato energetico europeo. E il Turkmenistan, con le sue ingenti forniture di gas, avrebbe dunque la possibilità di bloccare parzialmente le esportazioni russe verso l’Europa, infrangendo uno dei piani che Vladimir Putin aveva accarezzato fino a due anni fa, e che potrebbe non aver ancora accantonato.
Mentre insegue il sogno di una parziale autonomia energetica, la Turchia si trova nella delicata condizione di doversi bilanciare tra la necessità di diversificare le proprie forniture energetiche – anche grazie ad opportuni accordi bilaterali con partner ben selezionati – e il mantenimento delle buone relazioni con quei Paesi che al momento la stanno rifornendo di gas, come la Russia.
Le popolazioni della Turchia e del Turkmenistan non condividono unicamente una comune radice etnica legata all’antica tribù degli Oghuz, uno dei gruppi storici che contribuì alla formazione e alla diffusione della cultura turca dalla valle dell’Orkhon – in Mongolia – fino alle sponde del Mediterraneo. In un futuro non troppo lontano, i due Stati potrebbero condividere anche un comune destino alimentato dalla potenza del gas naturale.
Lo scorso marzo, Turchia e Turkmenistan hanno siglato un importante accordo bilaterale incentrato proprio sul gas, contenente la comune volontà – per ora rimasta soltanto sulla carta – di trovare al più presto un modo per esportare il gas del Turkmenistan verso la Turchia e i mercati europei, ancora piuttosto scossi dalle ripercussioni energetiche dell’invasione russa dell’Ucraina.