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La restituzione delle isole Chagos e la rivendicazione delle Malvinas


La decisione del Regno Unito di restituire l'arcipelago delle Chagos alle Mauritius ha riaperto il dibattito a Buenos Aires: molti vedono in questo evento un precedente favorevole per il ritorno delle Malvinas/Falklands all'Argentina.

In quel periodo, caratterizzato dalla bipolarità della Guerra Fredda, si aprivano nuovi fronti per le potenze occidentali, specialmente nel contesto dell’approvvigionamento petrolifero con i Paesi del Golfo. Per Londra e Washington, avere una presenza strategica nell’Oceano Indiano era essenziale. Così, mentre il Regno Unito riconosceva l’indipendenza delle Mauritius, mantenne il controllo sulle Chagos, consentendo agli Stati Uniti di costruire una base militare sull’atollo di Diego Garcia. Nella base operano tuttora circa 2.500 militari, e da lì sono partite missioni statunitensi verso Iraq e Afghanistan negli ultimi sessant’anni. Tra il 1965 e il 1973, l’intera popolazione indigena delle isole venne deportata con la forza per fare spazio alla base, le cui attività dovevano rimanere segrete. Oggi, circa 10.000 discendenti degli abitanti originari vivono tra Mauritius, Regno Unito e le Seychelles.

La disputa per la restituzione dell’arcipelago alle Mauritius è proseguita fino ai giorni nostri. Nel 2017, l’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato una risoluzione chiedendo alla Corte Internazionale di Giustizia un parere consultivo sulla contesa territoriale. Nel 2019, la Corte ha emesso un giudizio favorevole alle Mauritius, e l’Assemblea Generale ha votato una nuova risoluzione, appoggiata da 116 Paesi, dando sei mesi di tempo al Regno Unito per cedere l’arcipelago. Da allora i negoziati sono costanti, e il 3 ottobre scorso è stata annunciata l’agognata cessione di sovranità.

Secondo la diplomazia argentina, il caso Malvinas è paragonabile a quello delle Chagos: entrambe sono terre occupate militarmente da una potenza straniera, la popolazione locale è stata deportata con la forza (nel caso delle Malvinas, nel 1833), e una popolazione britannica è stata impiantata nelle isole, rendendo dunque inutile il diritto all’autodeterminazione. L’Argentina ha sostenuto la rivendicazione delle Mauritius sin dal 1965, presentando richieste permanenti alla Corte Internazionale di Giustizia affinché si pronunciasse. La posizione della Corte, sottolinea la diplomazia argentina, “è rilevante per la questione delle Isole Malvinas perché si tratta di una situazione di smembramento territoriale, e si riferisce a principi che sono fondamentali nella rivendicazione sulle nostre Isole.”

La rivendicazione argentina, che include anche gli arcipelaghi delle Georgia del Sud e Sandwich del Sud, si fonda proprio sul principio di unità territoriale, riconosciuto anche nel caso delle Mauritius. Il giornale liberale Clarín spera che la risoluzione della questione Chagos possa costituire un punto di partenza per “porre fine al colonialismo” che colpisce anche l’Argentina. Dall’altro lato, Página/12, di orientamento progressista, evidenzia il “sostegno internazionale” dato alla negoziazione tra Londra e Mauritius, che “indica la via per una soluzione del conflitto con il nostro paese”.

Tuttavia, esistono alcune differenze sostanziali. Innanzitutto, il conflitto armato dell’aprile 1982, quando le Forze Armate argentine, al comando dell’ultima dittatura militare (1976-1983), presero il controllo delle Malvinas nel tentativo disperato di risollevare il consenso interno. Il risultato fu disastroso: oltre ai 649 argentini morti durante i poco più di due mesi di conflitto, la guerra contro l’Inghilterra tatcheriana significó l’isolamento dell’Argentina nell’ambito diplomatico in quella che dall’indipendenza del paese si considera la principale causa nazionale. Londra infatti sospese tutte le negoziazioni, iniziate proprio nel 1965 con la Risoluzione 2065 dell’Assemblea Generale dell’Onu.

A differenza di quanto accaduto con le Mauritius, il Regno Unito si rifiuta da 42 anni di riprendere qualsiasi tipo di dialogo con l’Argentina intorno alle Malvinas proprio a causa dell’attacco lanciato dalla dittatura dei generali. Nel caso delle Mauritius la pressione internazionale è stata chiave per far cadere la strategia diplomatica britannica, la stessa che tuttora mantiene sul caso Malvinas, chiamata “strategia dell’ombrello”: l’Inghilterra sarebbe disposta ad aprire negoziazioni su tutti i punti dell’agenda bilaterale, sempre e quando non coinvolgano la questione della sovranità contesa, che risulta così protetta come da un ombrello.

Un’altra differenza rilevante è geopolitica. Sebbene la Cina abbia mostrato interesse ad espandere la propria influenza nella regione delle Mauritius – motivo di forti critiche da parte di Washington all’accordo sulle Chagos – per Londra l’esigenza di risolvere la disputa sul suo ultimo territorio africano ha prevalso. Nelle Malvinas, invece, la posta in gioco è molto più alta: le isole rappresentano la porta d’accesso all’Antartide, continente fondamentale per le sue risorse naturali e la ricerca scientifica; sono un passaggio strategico dalle acque dell’Atlantico a quelle del Pacifico in caso di blocco del Canale di Panama, e assicurano una presenza militare britannica vicino al Sud America, dove il Regno Unito ha forti interessi economici sin dal XIX secolo. Gli Stati Uniti, inoltre, sono molto preoccupati per la presenza russa e cinese in Antartide e per il desiderio di Pechino di stabilire porti nel sud dell’Argentina.

Sebbene dal punto di vista del diritto internazionale esistano motivi per nutrire un certo ottimismo in Argentina alla luce di quanto avvenuto con le Chagos, le tensioni tra Londra e Buenos Aires e l’importanza geopolitica dell’Atlantico del Sud rendono improbabile una soluzione simile per le Malvinas. L’unica vera possibilità risiede nella pressione internazionale, legata però a fattori esterni, come il disinteresse del governo Milei per la questione Malvinas, l’interesse degli Stati Uniti a mantenere lo status quo nella regione, e la difficile situazione finanziaria dell’Argentina, sotto la pressione dei creditori privati e delle organizzazioni finanziarie internazionali. Il primo ministro Starmer, che ha uno zio morto durante la guerra del 1982, lo ha detto ben chiaro: “Malvinas e Gibilterra sono e saranno britanniche”, al di là di quanto accada in altre latitudini.

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