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La strategia di Benjamin Netanyahu


In Israele aumenta la fiducia nel Premier e la sua credibilità dopo un anno di guerra. Funziona la mano dura e l’uccisione dei nemici? L’attacco minacciato all’Iran, in risposta ai missili del 1 ottobre, potrebbe rappresentare un punto di non ritorno.

La strategia gli sta dando ragione. Almeno dal punto di vista della popolarità, Benjamin Netanyahu sta riacquistando i punti persi nei sondaggi, a un anno dal massacro del sette ottobre. All’indomani dell’attacco senza precedenti di Hamas, la falla nella sicurezza aveva fatto colare a picco la sua credibilità di premier, che era già stata messa in discussione dalla contestatissima riforma della giustizia che aveva voluto fortemente e da un’alleanza di governo con le estreme destre dei coloni. Dopotutto, il premier più longevo nella storia d’Israele, aveva sempre fatto della sicurezza la sua bandiera e l’uccisione di oltre mille israeliani, nelle loro case, mentre si svagavano oppure al lavoro, ha dato un duro colpo alla sua immagine.

Nel corso dell’anno di guerra, complice anche la pressione mediatica e politica internazionale (derivata pure da una sciagurata strategia israeliana oltre, ovviamente, che dall’enorme bilancio di vittime della risposta a Gaza), la figura di Netanyahu è andata sempre più ad essere identificata, fuori ed in patria, come un uomo non adatto al ruolo nel momento. Le crisi politiche interne, derivate dalla sottomissione necessaria (altrimenti avrebbe perso numeri e governo) ai coloni, le critiche centriste, i dissidi con il ministro della difesa Gallant che è del suo stesso partito, le dimissioni dal gabinetto di guerra dell’ex generale Benny Gantz, sembravano tutti sintomi dell’incapacità di Netanyahu di gestire il paese in un momento così delicato, forse uno dei più difficili della sua storia.

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