Cyril Ramaphosa è stato rieletto alla guida del Sud Africa dopo che già aveva ricoperto questa carica a partire dal 2018. Ma il pessimo risultato elettorale ha costretto il Presidente a trovare un accordo con una delle maggiori forze di opposizione.
Dopo le elezioni presidenziali, tenutesi a fine maggio, non c’era nulla di certo. La riconferma di Ramaphosa era l’opzione più probabile, considerata la vittoria ottenuta con ampio margine dal suo partito, l’African National Congress (ANC). Al tempo stesso, però, il voto aveva negato all’ANC una maggioranza assoluta, per la prima volta dalla fine dell’apartheid: si sapeva quindi che prima di eleggere un presidente, il partito che fu di Nelson Mandela avrebbe dovuto trovare anche degli alleati. Alla fine, tutto è andato come da previsioni, e venerdì Ramaphosa è stato confermato per i prossimi cinque anni.
La rielezione del Presidente è stato tuttavia l’unico evento davvero scontato, tra quelli che hanno interessato la politica sudafricana nelle ultime settimane. Prima c’è stato il voto, in cui un calo del partito presidenziale era largamente atteso, ma in pochi prevedevano che sarebbe stato così netto. Invece che arrivare a pochi punti dalla maggioranza assoluta, l’African National Congress è crollato fino al 40%, ottenendo di gran lunga il risultato peggiore della propria storia. E questo ha avuto un impatto anche sulle dinamiche successive al voto. Già negli scorsi mesi l’ANC si era rassegnato a dover cercare un accordo di coalizione, ma la speranza era che potesse essere sufficiente appoggiarsi ad alcuni piccoli partiti. Invece, il pessimo risultato elettorale ha costretto Ramaphosa a trovare un accordo con una delle maggiori forze di opposizione.
E così si è arrivati all’alleanza con la Democratic Alliance (DA), il partito liberale di centrodestra che si è classificato secondo alle elezioni e che dal 1994 ha sempre rappresentato la principale forza di opposizione all’ANC. Ramaphosa e i suoi compagni hanno parlato di un esecutivo di unità nazionale, facendo riferimento alla volontà di includere all’interno della coalizione di governo tutti i principali partiti sudafricani. Ma in realtà il tentativo non è andato a buon fine. Hanno rifiutato di collaborare sia il partito guidato dall’ex presidente Jacob Zuma, uMkhonto weSizwe (MK), sia la formazione di sinistra Economic Freedom Fighters (EFF). E ad allearsi con l’ANC, oltre alla Democratic Alliance, sono stati soltanto due piccoli partiti.
La coalizione tra African National Congress e Democratic Alliance non rappresenta un fatto di per sé sorprendente. L’ANC aveva bisogno di un numero di seggi considerevole per arrivare alla maggioranza e il partito guidato da John Steenhuisen era tra i pochi a poterli garantire. Inoltre, un’alleanza con le altre due forze d’opposizione era complicata, per motivi diversi. In particolare, si sapeva che Zuma avrebbe difficilmente appoggiato l’ANC, di cui era stato a lungo parte e da cui era stato marginalizzato, per di più sapendo di poter giocare soltanto un ruolo da comprimario.
A stupire sono stati tuttavia i modi in cui l’accordo tra ANC e DA si è concretizzato. Per anni, il partito di Steenhuisen ha criticato aspramente l’African National Congress per la corruzione diffusa e l’incapacità di risolvere i problemi del Paese. A sua volta, la Democratic Alliance è stata accusata di essere rimasta essenzialmente un partito dei bianchi e di voler proteggere i privilegi che questa minoranza ancora detiene. Dopo il voto, tuttavia, l’accordo tra le due forze politiche è stato molto veloce e per nulla complicato. Steenhuisen ha subito riconosciuto che Ramaphosa avrebbe dovuto rimanere presidente, considerata la vittoria ottenuta dall’ANC. E la Democratic Alliance ha avanzato richieste limitate, sia relativamente al programma di governo, sia per quanto riguarda le cariche.
L’impressione degli analisti è che quella della DA sia una scelta strategica. Alleandosi con l’ANC, il partito corre il rischio di alienarsi una parte del proprio elettorato, non favorevole a sostenere Ramaphosa. Limitando il proprio coinvolgimento nell’esecutivo, tuttavia, il partito si prepara ad uscire quasi indenne da un eventuale governo fallimentare: in quel caso, sarebbe semplice scaricare le colpe sull’African National Congress.
Viste le premesse, sarà interessante osservare se il nuovo governo funzionerà o se i due partner cercheranno soltanto di tirare acqua al proprio mulino. Per il Sudafrica questa sarebbe un’eventualità disastrosa, che impedirebbe di affrontare i veri problemi del Paese. Da anni lo stato è colpito infatti da una grave crisi: l’economia è stagnante, i tassi di disoccupazione e povertà sono elevatissimi e la violenza è estremamente diffusa.
Dopo le elezioni presidenziali, tenutesi a fine maggio, non c’era nulla di certo. La riconferma di Ramaphosa era l’opzione più probabile, considerata la vittoria ottenuta con ampio margine dal suo partito, l’African National Congress (ANC). Al tempo stesso, però, il voto aveva negato all’ANC una maggioranza assoluta, per la prima volta dalla fine dell’apartheid: si sapeva quindi che prima di eleggere un presidente, il partito che fu di Nelson Mandela avrebbe dovuto trovare anche degli alleati. Alla fine, tutto è andato come da previsioni, e venerdì Ramaphosa è stato confermato per i prossimi cinque anni.
La rielezione del Presidente è stato tuttavia l’unico evento davvero scontato, tra quelli che hanno interessato la politica sudafricana nelle ultime settimane. Prima c’è stato il voto, in cui un calo del partito presidenziale era largamente atteso, ma in pochi prevedevano che sarebbe stato così netto. Invece che arrivare a pochi punti dalla maggioranza assoluta, l’African National Congress è crollato fino al 40%, ottenendo di gran lunga il risultato peggiore della propria storia. E questo ha avuto un impatto anche sulle dinamiche successive al voto. Già negli scorsi mesi l’ANC si era rassegnato a dover cercare un accordo di coalizione, ma la speranza era che potesse essere sufficiente appoggiarsi ad alcuni piccoli partiti. Invece, il pessimo risultato elettorale ha costretto Ramaphosa a trovare un accordo con una delle maggiori forze di opposizione.