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Dietro la liberazione di Maccalli e Chiacchio


Liberati Padre Maccalli e Nicola Chiacchio grazie all’attività congiunta della diplomazia e dei servizi d'intelligence francesi. Ora si tratta anche con Haftar per i pescatori italiani sequestrati in Libia

I giornali quasi non ne parlavano più. L’attenzione mediatica era di fatto svanita, a differenza di quanto accaduto per il rapimento in Kenya della cooperante Silvia Romano, sulla quale i riflettori non si erano mai spenti del tutto anche prima del suo atterraggio a Ciampino nel maggio scorso, con tanto di burka dopo la conversione all’Islam. Eppure, sono stati mesi di dure trattative quelli che hanno portato giovedì scorso alla liberazione in Mali del missionario Pier Luigi Maccalli – veterano delle missioni cattoliche in Africa sequestrato a Niamey, in Niger, il 17 settembre 2018 dove lavorava nella parrocchia di Bomoanga – e Nicola Chiacchio, un turista viaggiatore rapito in Mali il 4 febbraio 2019. Entrambi rapiti da gruppi jihadisti legati ad Al Qaeda. Venerdì un aereo dei servizi li ha riportati a casa, accolti dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e dal Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, pronti a riabbracciare i loro familiari ed essere subito ascoltati dal Pm di Roma, Sergio Colaiocco, che aveva aperto un fascicolo in cui si ipotizzava il reato di sequestro con finalità di terrorismo.

Sull’esistenza in vita di padre Maccalli e Chiacchio aveva fornito elementi agli inquirenti Luca Tacchetto, tornato libero nel marzo scorso dopo 15 mesi di prigionia in Mali assieme alla sua amica canadese Edith Blais. L’uomo aveva raccontato di avere incontrato i due connazionali durante i mesi in cui era stato tenuto in ostaggio. Ad accelerare il negoziato per la liberazione il fattivo impegno dei servizi francesi molto attivi nella regione, ma soprattutto la liberazione da parte del Governo ad interim del Mali di circa 200 jihadisti detenuti.

La liberazione parallela di una francese e di un maliano

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