Najla Mangoush ha incontrato a Roma il Ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen: scontri e proteste nel Paese nord africano, resta difficile il superamento delle difficoltà politiche tra le due nazioni
Per la prima volta nella storia delle due nazioni, funzionari d’alto livello di Libia e Israele hanno avuto un faccia a faccia informale ma documentato, con Roma sede dell’evento facilitato dal Ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani. Da più parti si preme per un avvicinamento tra i Paesi arabi e lo Stato Ebraico, con risultati altalenanti nell’ambito della più ampia visione degli Accordi di Abramo. Tuttavia, le resistenze sono fortissime, specie in quelle nazioni dove la causa palestinese è ancora profondamente sentita tra la popolazione: questo è il caso della martoriata Libia, che ieri a Tripoli e in altre città ha assistito alle proteste popolari per il meeting tra la Ministra Najla Mangoush e il collega israeliano Eli Cohen.
Da parte israeliana si parla del grande potenziale che scaturirebbe dalle relazioni tra Libia e Israele — che non si riconoscono ufficialmente — con Cohen che ha menzionato il ruolo degli ebrei libici e dell’importanza della salvaguardia del patrimonio culturale ebraico nella nazione nord africana. Il Ministro ha inoltre sottolineato che “la location strategica della Libia rappresenta un’opportunità per lo Stato di Israele”. Ma la Ministra Mangoush ha fin da subito chiarito di aver rifiutato l’incontro, avvenuto casualmente e ai margini di una visita in Farnesina, sede del Ministero degli Esteri italiano. “L’interazione non ha incluso discussioni, accordi o consultazioni”, con Tripoli che “ribadisce il rifiuto totale e assoluto alla normalizzazione con Israele”.
Ciò non è bastato a calmare gli animi delle persone che hanno manifestato per le strade della capitale e nei sobborghi di Tripoli, né per fermare la risposta politica all’incontro, ora sotto osservazione persino giudiziaria. Si apprende, infatti, che la Ministra sarà soggetta ad un’investigazione amministrativa presieduta dal Ministro della Giustizia e che, come annunciato dallo stesso Primo Ministro Abdul Hamid Dbeibah, viene temporaneamente sospesa dall’incarico. Fin da subito il Consiglio Presidenziale Libico, di cui fanno parte varie figure rappresentative di Tripolitania, Cirenaica e Fezzan — le tre regioni del Paese —, non appena appresa la notizia nella giornata di domenica, ha chiesto “chiarimenti” sull’accaduto.
Difficile ipotizzare quali sviluppi seguiranno alla singolare vicenda diplomatica, che dimostra in forma plastica le difficoltà esistenti nel trovare un punto d’incontro tra Israele e gli Stati arabi. Dopo la firma degli Accordi di Abramo fortemente voluti dalla Casa Bianca di Donald Trump, sottoscritti dallo Stato Ebraico con Emirati Arabi Uniti e Bahrein — che hanno dato il via all’avvicinamento anche con Marocco e Sudan — l’amministrazione democratica di Joe Biden prosegue sulla stessa strada, cercando in tutti i modi di intavolare le discussioni per una pace allargata all’Arabia Saudita, non ancora gradita a Riad.
Un quadro sempre più complicato, anche vista la forza acquisita dalla Cina, che ha assunto un ruolo di primaria importanza nella regione mediorientale, come la recente mediazione tra il Regno dei Saud e la Repubblica Islamica dell’Iran. Singoli tasselli dal forte sapore strategico, a dimostrazione che, come racconta l’episodio tra Libia e Israele, non ci si può esimere dal prendere in considerazione le dinamiche storiche e culturali prima di procedere allo sviluppo di nuove relazioni bilaterali.
Per la prima volta nella storia delle due nazioni, funzionari d’alto livello di Libia e Israele hanno avuto un faccia a faccia informale ma documentato, con Roma sede dell’evento facilitato dal Ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani. Da più parti si preme per un avvicinamento tra i Paesi arabi e lo Stato Ebraico, con risultati altalenanti nell’ambito della più ampia visione degli Accordi di Abramo. Tuttavia, le resistenze sono fortissime, specie in quelle nazioni dove la causa palestinese è ancora profondamente sentita tra la popolazione: questo è il caso della martoriata Libia, che ieri a Tripoli e in altre città ha assistito alle proteste popolari per il meeting tra la Ministra Najla Mangoush e il collega israeliano Eli Cohen.
Da parte israeliana si parla del grande potenziale che scaturirebbe dalle relazioni tra Libia e Israele — che non si riconoscono ufficialmente — con Cohen che ha menzionato il ruolo degli ebrei libici e dell’importanza della salvaguardia del patrimonio culturale ebraico nella nazione nord africana. Il Ministro ha inoltre sottolineato che “la location strategica della Libia rappresenta un’opportunità per lo Stato di Israele”. Ma la Ministra Mangoush ha fin da subito chiarito di aver rifiutato l’incontro, avvenuto casualmente e ai margini di una visita in Farnesina, sede del Ministero degli Esteri italiano. “L’interazione non ha incluso discussioni, accordi o consultazioni”, con Tripoli che “ribadisce il rifiuto totale e assoluto alla normalizzazione con Israele”.
Ciò non è bastato a calmare gli animi delle persone che hanno manifestato per le strade della capitale e nei sobborghi di Tripoli, né per fermare la risposta politica all’incontro, ora sotto osservazione persino giudiziaria. Si apprende, infatti, che la Ministra sarà soggetta ad un’investigazione amministrativa presieduta dal Ministro della Giustizia e che, come annunciato dallo stesso Primo Ministro Abdul Hamid Dbeibah, viene temporaneamente sospesa dall’incarico. Fin da subito il Consiglio Presidenziale Libico, di cui fanno parte varie figure rappresentative di Tripolitania, Cirenaica e Fezzan — le tre regioni del Paese —, non appena appresa la notizia nella giornata di domenica, ha chiesto “chiarimenti” sull’accaduto.
Questo contenuto è riservato agli abbonati
Abbonati per un anno a tutti i contenuti
del sito e all'edizione cartacea + digitale della rivista di
geopolitica
Abbonati ora €35
Abbonati per un anno alla versione digitale della rivista di geopolitica
Abbonati ora €15