Emmanuel Macron, assediato dai partiti euroscettici, vede ridursi la sua capacità d’iniziativa in Europa e, anche internamente, l’autunno politico si annuncia molto complicato
Dopo i due intensi round elettorali di primavera (presidenziali e legislative), molti osservatori francesi prevedevano un’estate politicamente caldissima, mentre invece le temperature in rialzo sono state quelle climatiche, con devastanti incendi è altrettanto devastanti piogge, il che ha quantomeno rilanciato l’urgenza della transizione ecologica.
La sconfitta di Macron
Come noto, Emmanuel Macron è stato rieletto con una schiacciante maggioranza e ha sconfitto al ballottaggio la leader dell’estrema destra Marine Le Pen, ma ha subito dopo tre settimane un’umiliazione pesante e senza precedenti, ovvero la perdita della maggioranza all’Assemblea, quando, solitamente, la conquista dell’Eliseo ha un effetto trainante sul partito del Presidente. Macron si è visto dunque costretto a fare i conti con due importanti forze di opposizione, il cartello delle sinistre guidato da Jean Luc Mèlenchon e, appunto, la destra di Marine Le Pen, senza peraltro poter contare sul sostegno esterno degli ex gollisti, ridotti ai minimi termini e in profonda crisi d’identità.
Il Primo Ministro, Elisabeth Borne, ha dovuto fin da subito gestire quella che sarà una cronica mancanza di numeri all’Assemblea, il che comporta la ricerca ossessiva di compromessi al ribasso in alternativa alla paralisi, con una variante di cui già si comincia a vociferare: la dissoluzione dell’Assemblea e nuove elezioni. Alla maggioranza, mancano una trentina di deputati. E, a differenza che in passato, l’estrema destra e l’estrema sinistra hanno ottenuto una fortissima rappresentanza. Nupes, il cartello della sinistra, ha ingaggiato una battaglia mediatica per far sentire la propria presenza, e anche con moltissimi emendamenti sui primi provvedimenti in discussione, ma senza risultati significativi. L’unico successo è la presidenza della Commissione Finanze, solitamente offerta all’opposizione. Marine Le Pen ha conquistato due vice presidenze e ha preferito un atteggiamento più istituzionale, cercando di far passare alcune proposte. Quanto ai repubblicani ex gollisti sono rimasti in bilico, in attesa dei corteggiamenti di Macron.
Tuttavia, come detto, la temuta tempesta non è arrivata e alcuni importanti provvedimenti – fine dello stato di emergenza sanitaria, incentivi al potere d’acquisto, correzioni di bilancio – sono passati con qualche correttivo.
La crisi interna
I francesi e il Presidente hanno tirato un sospiro di sollievo, ma l’autunno politico si preannuncia molto più complicato. Il Governo affronterà in aula provvedimenti importanti e in alcuni casi inevitabilmente divisivi, sullo sfondo della crisi energetica, dell’inflazione galoppante, delle tensioni internazionali. Fra questi, gli ammortizzatori sociali contro la disoccupazione, il disegno di legge sul riordino del Ministero dell’Interno, le misure per la transizione energetica, il dibattito sull’immigrazione, l’esame del bilancio 2023, la riforma delle pensioni, tema quest’ultimo altamente conflittuale.
Considerando i rapporti di forze e le prove politiche che lo attendono, ci si chiede se Emmanuel Macron non sia diventato una “anatra zoppa”, secondo un’immagine che ricorre negli Stati Uniti quando il presidente non ha la maggioranza al Congresso.
A priori, la riforma delle pensioni, con estensione dell’età pensionabile legale a 65 anni potrebbe passare con il sostegno dei centristi e dei repubblicani, ma il provvedimento resta un terreno minato e impopolare e Macron non sarebbe il primo dei presidenti a fare retromarcia. Altri temi, come l’autonomia scolastica, il salario degli insegnanti, la riforma delle scuole professionali potrebbero incontrare forti resistenze. Le riforme strutturali che potrebbero consentire alla Francia di ridurre il debito pubblico ed evitare in futuro procedure d’infrazione rischiano di rimanere bloccate fra veti parlamentari e opposizione di piazza.
Emmanuel Macron aveva chiesto agli elettori di “non aggiungere un disordine francese al disordine mondiale”. Ma da quando ha perso la maggioranza parlamentare, la Francia è diventata un rischio politico per l’Europa. In relazione alla guerra in Ucraina, che appare oggi senza sbocco, gli elettori hanno mandato all’Assemblea Nazionale partiti che non hanno nascosto simpatie per la Russia: il Rassemblement National di Marine Le Pen non ha nemmeno mai nascosto di avere ricevuto finanziamenti. I candidati euroscettici e anti-Nato hanno ottenuto circa il 57% dei voti. Il mantenimento della linea europea di fermezza al fianco di Kiev diventa incerto.
Il contesto europeo
Emmanuel Macron, assediato dai partiti euroscettici, vede dunque ridursi la sua capacità d’iniziativa in Europa. Nel momento in cui, dopo le promesse fatte all’Ucraina, si pone la questione dell’allargamento dell’Unione, il Presidente rischia di perdere l’occasione di conquistare quella leadership continentale che era alla sua portata dopo l’uscita di scena di Angela Merkel. Una Francia in stallo è tanto più preoccupante in rapporto all’altra metà del tradizionale motore europeo, la Germania. Il Paese è costretto dalla crisi ucraina a una revisione totale della propria politica energetica e della propria strategia economica in relazione alla Russia e alla Cina.
La Germania è stata storicamente il primo importatore europeo di gas russo, che rappresenta ben oltre la metà del suo fabbisogno totale. Ora, le importazioni di gas in Germania sono in calo e le famiglie si trovano ad affrontare sovrapprezzi energetici di centinaia di euro all’anno. Molte fabbriche tedesche stanno già rallentando la produzione, ma se la Russia dovesse interrompere completamente le sue forniture di gas, la Germania dovrebbe ridurre il consumo nazionale del 30%. Inoltre, il gigante energetico russo Gazprom ha annunciato che le forniture di gas attraverso il gasdotto originale Nord Stream sarebbero state completamente interrotte per alcuni giorni a partire dal 31 agosto per “manutenzione”, facendo schizzare i prezzi del gas europeo alle stelle.
Se le conseguenze negative del momento sono ingenerosamente messe sul conto della precedente leadership di Angela Merkel (non si dimentichino le tre legislature di grande coalizione con la SPD), anche il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz non gode di grande popolarità, in quanto la “revisione” della politica tedesca appare comunque indecisa è contraddittoria. “Merkel” in Germania è diventato un sinomino di prudenza e lentezza. “Scholz” sta diventando qualche cosa di peggio, sinonimo di tentenna. Intanto il Paese è sull’orlo della recessione.
Cinque anni fa, la Gran Bretagna aveva appena votato per la Brexit. L’Italia, dopo le dimissioni di Draghi, vive una complicata campagna elettorale che si tradurrà molto probabilmente in un successo di partiti populisti, euroscettici e – per quanto riguarda la Lega di Matteo Salvini – con simpatie e amicizie a Mosca.
L’Europa rimane divisa sulla portata e sulla velocità del suo allargamento; e non sa ancora se l’audace intervento fiscale effettuato durante la crisi Covid-19 sia stato il primo passo di un federalismo fiscale o se sia stato un caso isolato. I trattati europei ostacolano la definizione di approcci comuni in settori critici come l’energia, la sanità, la politica fiscale e la difesa. Macron ha entusiasmato il pubblico con una retorica pro-europea che non si è tradotta in avanzamenti politici concreti. I suoi discorsi hanno scosso gli altri leader, ma non hanno creato una coalizione per agire. Il quadro è decisamente preoccupante, tanto più che chi si sta fregando le mani per le debolezze europee è un certo Vladimir Putin.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
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