In questi otto anni difficilissimi, nei quali la governance Ue ha segnato uno stallo, il Presidente della Bce è stato la stella polare per tutta l’Europa
A gennaio, tradizionalmente, la copertina di eastwest è scelta dai nostri lettori, ai quali chiediamo di individuare il protagonista dell’anno appena trascorso, tramite un sondaggio. La più votata è stata Greta Thunberg, com’era immaginabile e anche condivisibile.
Vorrei usare lo spazio del mio editoriale per celebrare invece Mario Draghi, che il 1° novembre 2019 ha lasciato la Banca centrale europea, dopo otto anni che passeranno alla storia come una pietra miliare della costruzione europea.
Quando Draghi assunse la presidenza della Bce nel 2011, il mondo era ancora scosso dalle conseguenze del terremoto del 2008 e l’Europa si trovava nel mezzo della crisi del debito sovrano, che rischiava di far saltare l’eurozona.
“Nei limiti del nostro mandato, la Bce è pronta a fare qualsiasi cosa per salvare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza”. Era il 26 luglio del 2012 e quel suo discorso, queste parole, sono diventate l’emblema della sua azione, competente e coraggiosa. Quelle parole, pronunciate alla Global Investment Conference a Londra, hanno cambiato completamente il volto della Banca centrale europea. Pur con qualche mal di pancia, soprattutto da parte tedesca, la Bce ha assunto su di sé il ruolo di salvatrice dell’euro, mettendo fine all’ondata di speculazioni sulla tenuta dell’Unione monetaria, e innescando una reazione immediata e positiva nei mercati.
Nel giorno della sua cerimonia di addio a Francoforte, lo hanno ricordato nei propri interventi Angela Merkel, Emmanuel Macron e Sergio Mattarella, sottolineando come quella formula abbia garantito l’indissolubilità della costruzione europea.
Il Presidente Mattarella ha dichiarato che la sfida più importante di Draghi è stata: “sconfiggere la percezione della possibilità, se non del rischio, di dissoluzione dello stesso eurosistema. Una possibilità e un rischio, che oggi possiamo considerare sconfitti”. Al contrario, oggi, in un’Europa politicamente divisa e indebolita dal virus sovranista, il vero fattore di coesione è proprio l’euro.
Perché i sovranisti con lui non ce l’hanno fatta. Qualcuno ci ha provato, con il solito refrain della mancata investitura popolare. Alle accuse, Draghi ha risposto con la competenza, alla base di ogni suo successo, condita di sapienza politica e intelligenza sociale non comuni.
In un bellissimo discorso in occasione del conferimento della Laurea honoris causa in Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha dichiarato: “Oggi viviamo […] in un mondo in cui la rilevanza della conoscenza […] è messa in discussione. Sta scemando la fiducia nei fatti oggettivi, risultato della ricerca, riportati da fonti imparziali; aumenta invece il peso delle opinioni soggettive che paiono moltiplicarsi senza limiti. In questo contesto, è più facile per i policy maker rispecchiare semplicemente quelli che egli reputa essere gli umori della pubblica opinione, sminuendo il valore della conoscenza. La lezione della storia è invece che le decisioni destinate ad avere un impatto duraturo e positivo sono basate su un lavoro di ricerca ben condotto, su fatti accuratamente accertati e sull’esperienza accumulata”.
La prima e più importante lezione di Mario Draghi è proprio questa. La sua competenza ha reso la Bce un’istituzione legittima, protetta dai venti del sovranismo e dalle speculazioni.
Anzi, l’ex Presidente della Bce è stato il più forte avversario di quella corrente di pensiero che oggi semina divisione in Europa, affermando che per riappropriarsi della sovranità nazionale sarebbe necessario indebolire le strutture politiche dell’Unione europea. “L’Unione europea restituisce (e non sottrae) ai suoi Paesi la sovranità nazionale che avrebbero oggi altrimenti perso”, ha dichiarato Mario Draghi in altro famosissimo discorso. “Bisogna stare attenti a non confondere indipendenza con sovranità. La possibilità di agire in maniera indipendente non garantisce la sovranità, com’è il caso di quei Paesi che sono totalmente al di fuori dell’economia globale: sono indipendenti ma certo non sovrani, dovendo ad esempio spesso contare finanche sull’aiuto alimentare che proviene dall’esterno, per nutrire i propri cittadini”. Ha ragione Draghi, è proprio il contrario, l’Unione ha bisogno di più condivisione di sovranità per potere acquisire una maggiore autodeterminazione dei propri destini nell’economia globale.
Il banchiere italiano se ne va in un momento di grande incertezza per l’Unione. La sua leadership è stata segnata da eventi eccezionali: dopo la crisi del debito sovrano tra il 2011 e il 2013, l’Europa ha dovuto affrontare le tensioni del commercio internazionale, il protezionismo di Donald Trump, la Brexit, l’espansione della Cina. Oggi, che Christine Lagarde ha debuttato alla guida della Bce, sono ancora molto forti le diffidenze tra i Governi e le incertezze nell’intraprendere una politica comune. Lagarde non ha annunciato nessun cambiamento nella politica monetaria accomodante del suo predecessore, cioè tassi a zero e acquisti di titoli “finché sarà necessario”. Le stime della Banca centrale dicono però che il Pil dell’Eurozona crescerà a ritmo lento: 1,1% nel 2020, 1,4% sia nel 2021 sia nel 2022. Le pressioni inflazionistiche rimangono ridotte, con una previsione dell’1,6% nel 2022.
“Non sono né una colomba né un falco, la mia ambizione è essere un gufo, che è dotato di saggezza” ha dichiarato la ex direttrice del Fondo monetario internazionale. Ai Governi, Christine Lagarde, nella sua prima conferenza stampa da Presidente della Banca centrale europea, ha lanciato un messaggio chiaro: i Paesi con margini di bilancio (come la Germania) devono spendere, quelli con debito elevato devono perseguire politiche attente. “La politica monetaria potrebbe raggiungere il suo obiettivo più rapidamente e con meno effetti collaterali se altre politiche sostenessero la crescita al suo fianco”, ha detto Lagarde, sottolineando che un “elemento chiave è la politica fiscale dell’area dell’euro”.
Come diceva Draghi, la politica monetaria non può più essere l’unica forza trainante. Se il banchiere italiano ha trasformato la politica monetaria, Lagarde dovrà mettere in atto l’allineamento tra Bce e politiche fiscali.
Vorrei concludere con un messaggio personale: ho avuto la fortuna di sedere nel CdA SACE venti anni fa, sotto la presidenza dell’allora Direttore Generale del Tesoro Mario Draghi: ero letteralmente affascinato dalla sua capacità di gestire temi delicati e consiglieri non facili con competenza e fenomenale senso delle priorità, che ne faceva già allora non soltanto un tecnico formidabile, ma anche – e questo è il punto fondamentale – una personalità autorevole, dotata di grandissima sensibilità politica.
Le sue iniziative al vertice della Bce, in questi otto anni, sono sempre state precedute da un’attenta ed efficace opera di education e moral suasion nei confronti dei key player dell’Unione, Merkel in testa. E non per questo sono risultate iniziative morbide o compromissorie, ma anzi, resteranno nella storia come le decisioni più coraggiose di questi difficilissimi otto anni.
È per tutto questo che ci mancherai, SuperMario!
@GiuScognamiglio
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di gennaio/febbraio di eastwest.
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In questi otto anni difficilissimi, nei quali la governance Ue ha segnato uno stallo, il Presidente della Bce è stato la stella polare per tutta l’Europa