Ci sarebbe la Russia dietro il riavvicinamento tra Riad e Damasco, che riaprono le reciproche ambasciate dopo 10 anni, così come i Sauditi e l’Iran si sono riavvicinati grazie all’intermediazione della Cina. Sempre più isolato Israele, a capo del gruppo filo americano
Continua a cambiare l’assetto politico in Medio Oriente. La Siria e l’Arabia Saudita hanno annunciato, nei giorni scorsi, di voler riprendere le loro relazioni diplomatiche e riaprire le loro rispettive ambasciate verso la fine di aprile, alla fine del mese del Ramadan. I due Paesi avevano interrotto i loro rapporti diplomatici oltre dieci anni fa, nel 2011, quando, all’inizio della guerra siriana, Damasco aveva accusato Riad di finanziare per conto dell’Occidente i miliziani sul proprio suolo e perché, a sua volta, Riad aveva aderito alla campagna per isolare Assad, voluta da Washington.
La decisione della ritrovata “amicizia” tra la monarchia degli Al Saud con la Siria di Bashar Al Assad, secondo alcune fonti diplomatiche, (che vista la delicatezza della questione hanno chiesto di rimanere anonime), riprese dalla stampa, sarebbe il risultato di colloqui in Arabia Saudita con un alto funzionario dell’intelligence siriana e segue di poco il riavvicinamento dell’Arabia Saudita all’Iran, avvenuta grazie all’intermediazione della Cina. A negoziare per il riavvicinamento tra Riad e Damasco invece sarebbe stata la Russia. L’agenzia di stampa russa Sputnik ha fatto sapere che la riapertura dell’ambasciata saudita a Damasco sarà preceduta dalla visita in Siria del ministro degli esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan Al Saud, durante la quale incontrerà il Presidente siriano Bashar al-Asad. Il passo successivo, secondo quanto si legge, potrebbe essere poi la riammissione di Damasco alla Lega araba, il cui prossimo meeting dovrebbe svolgersi a maggio nel Regno Unito.
Diversi analisti intanto, all’indomani della notizia della riapertura delle rispettive ambasciate, parlano di una generale normalizzazione delle relazioni con Damasco da parte dei paesi arabi. Non a caso solo pochi giorni fa Bashar al-Assad e sua moglie Asma erano stati ricevuti ad Abu Dhabi, con cui le relazioni diplomatiche sono state riaperte solo nel 2018 dopo sei anni di stop. I rapporti tra la Siria e i Paesi del Golfo, raffreddatisi con l’inizio della guerra nel Paese, hanno cominciato a migliorare proprio con l’annuncio da parte degli Emirati Arabi Uniti della riapertura della loro ambasciata a Damasco. Gli Emirati sono stati infatti il primo Paese a riaprire la propria sede diplomatica nella capitale siriana, seguiti dal Bahrein.
È molto diffusa l’opinione secondo cui i paesi arabi alla fine tendono a fare blocco comune perché, come ha dichiarato al Wall Street Journal Karen Young, del Center on Global Energy Policy della Columbia University “Gli Stati autoritari e quelli che esportano petrolio hanno più cose in comune rispetto alle democrazie occidentali, percepite come ipocrite per quel che riguarda il rispetto della sovranità e l’utilizzo delle sanzioni, per cui il trend generale in Medio Oriente è quello di un diffuso consenso sul principio della non interferenza negli affari domestici altrui”. Mentre in molti parlano di questo riavvicinamento come di un ulteriore duro colpo per l’asse Stati Uniti–Israele, dopo quello derivante dal riavvicinamento tra Riad e Teheran, ci si interroga anche sulla reale possibilità di tenuta di tali accordi.
Israele infatti, puntava ad un riavvicinamento con Riad dopo le relazioni con Bahrein, Emirati, Marocco e Sudan grazie agli accordi di Abramo. Invece, l’accordo saudita prima con l’Iran e ora con la Siria, isola ancor di più Israele che si sente quanto mai accerchiato, e inibisce l’allacciamento dei rapporti con i sauditi che sembravano essere all’orizzonte. I due governi, infatti, si erano fatti concessioni, come il sorvolo dello spazio aereo, e c’erano stati colloqui tra gli apparati di sicurezza. Con i due accordi, non solo l’Arabia torna centrale nello scacchiere mediorientale, ma emergono anche Russia e Cina, che si oppongono proprio al gruppo filo americano capeggiato da Israele. Non a caso, i cinesi hanno più volte provato ad entrare nel paese ebraico senza riuscirci e la Russia appoggia, ricambiata, la Palestina.
Sicuramente qualche grattacapo in più per Netanyahu e il suo governo, soprattutto perché il premier più longevo di Israele aveva fatto degli Accordi di Abramo, una bandiera e vanto politico interno e internazionale.