98 milioni di messicani al voto il prossimo 2 giugno in una delle elezioni più importanti del continente. Il partito del presidente Lopez Obrador pronto a restare al potere. Narcotraffico, sicurezza, migrazioni tra le principali sfide.
Venerdì 1º marzo è iniziata ufficialmente in Messico la campagna elettorale per le elezioni generali di giugno. È la prima volta nella storia del paese che due donne guidano le coalizioni con le maggiori possibilità di vincere le presidenziali. Claudia Sheinbaum, ex sindaca della capitale, è la candidata del Movimiento de Renovación Nacional (Morena), il partito dell’attuale presidente Lopez Obrador.
Secondo tutti i sondaggi, Sheinbaum gode di un ampio favore, con circa il 60% delle intenzioni di voto.
La sua principale rivale sarà Xóchitl Gálvez, imprenditrice di origini indigene, senatrice conservatrice e candidata del Frente Amplio por México. Si tratta di una coalizione atipica che riunisce due partiti che hanno governato il paese dal 1930 in poi: il Partido Revolucionario Institucional (PRI) e il Partido de Acción Nacional (PAN), oltre al terzo partito più importante a livello nazionale, il Partito della Rivoluzione Democratica (PRD), da cui è emerso l’attuale presidente Lopez Obrador. Gálvez si attesta attorno al 30% secondo la maggior parte dei sondaggi finora condotti, ma ci si aspetta che possa crescere nei prossimi mesi di campagna.
Al contrario, molto indietro nei sondaggi è Jorge Álvares Maynez, candidato del Movimiento Ciudadano, un centrista “anti-establishment” che ha preso il posto del governatore di Nueva León, Samuel García, che ha rinunciato alla sua candidatura nel dicembre 2023. Sono 98 milioni i messicani chiamati alle urne, di cui 48 hanno meno di 40 anni, in un Paese dove la partecipazione elettorale raramente supera il 65% degli aventi diritto
Una delle peculiarità che contraddistinguono il panorama politico messicano attuale dal resto dell’America Latina è l’assenza di una forte candidatura populista di destra. A dire il vero, l’ex attore di telenovelas e cantante pop, Eduardo Verástegui, ha cercato di entrare nel dibattito pubblico con un movimento ultracattolico alleato di Vox, Donald Trump e La Libertad Avanza di Javier Milei. Tuttavia, non solo non è riuscito a raccogliere le firme necessarie per ottenere il riconoscimento legale, ma il suo partito è stato condannato per finanziamenti illegali da parte di aziende offshore con sede a Miami ed è stato escluso dall’Istituto Nazionale Elettorale.
Un’altra importante novità di queste elezioni è che per la prima volta i messicani saranno chiamati a votare contemporaneamente per le legislature di 31 dei 32 stati che compongono la federazione e per 9 governatori (Chiapas, Guanajuato, Jalisco, Città del Messico, Morelos, Puebla, Tabasco, Veracruz, Yucatán e la capitale, Città del Messico), rendendo queste elezioni le più grandi di sempre. In totale, più di 20.000 seggi sono in gioco, oltre cinque volte di più rispetto alle ultime elezioni generali del 2018.
L’aumento delle cariche elettive aumenta anche i timori per la violenza che accompagna tradizionalmente ogni campagna elettorale in Messico. Le elezioni del 2018 furono tra le più violente di sempre, con 133 candidati uccisi prima del giorno delle votazioni. Anche quest’anno i cartelli della droga hanno già iniziato la loro macabra interferenza elettorale: dall’inizio dell’anno sono state uccise 33 persone legate al mondo della politica messicana, e proprio questa settimana nello stato di Michoacán sono stati assassinati i due candidati a sindaco del Comune di Maravatío nel giro di 12 ore.
In un continente dove la difesa dei valori democratici sembra vacillare di fronte all’ascesa di varie forme di populismo, le elezioni in Messico si delineano come un momento chiave per il futuro delle istituzioni democratiche in America Latina. Molti osservatori, soprattutto statunitensi, hanno esaminato il governo di Lopez Obrador alla luce del suo rapporto con le istituzioni del paese, sollevando spesso dubbi sulle presunte tendenze autocratiche del suo governo di centrosinistra.
Ci sono sicuramente argomenti a sostegno di questa visione, che ritrae l’attuale presidente come una sorta di populista di sinistra. Ad esempio, le recenti manifestazioni in Piazza del Zócalo il 18 febbraio, in cui circa 700.000 persone si sono riunite per respingere un possibile intervento dell’esecutivo sull’Istituto Nazionale Elettorale, incluso nel pacchetto di riforme costituzionali che il governo vorrebbe approvare prima di lasciare l’incarico.
Se è vero che Lopez Obrador ha criticato aspramente l’ente responsabile della gestione delle elezioni nel paese, è anche vero che le elezioni in Messico sono sempre state trasparenti, e il partito di Lopez Obrador, Morena, ha sempre accettato i risultati ufficiali anche quando ha perso distretti chiave.
Un altro aspetto fortemente criticato riguarda la relazione del governo con i media. Durante una delle sue conferenze stampa quotidiane della scorsa settimana, il Presidente ha persino diffuso pubblicamente il numero di cellulare di una giornalista del New York Times, Natalie Kitroeff, che aveva riportato le indagini degli Stati Uniti sui presunti legami tra il partito del Presidente e gruppi criminali. Questo gesto ha scatenato una valanga di insulti e minacce contro Kitroeff, sollevando le proteste delle associazioni dei media in tutto il continente.
Il Messico è infatti uno dei paesi più pericolosi al mondo per i giornalisti, e l’azione di Lopez Obrador potrebbe aver messo a rischio l’incolumità della corrispondente statunitense.
Eppure, e nonostante le critiche e gli strafalcioni che hanno spesso caratterizzato la gestione del presidente, il Movimento della Quarta Trasformazione (M4T), come egli stesso ha battezzato il proprio progetto politico, è uno dei più popolari della storia del Messico. E anche i risultati concreti sono più che eloquenti.
Tra il 2018 e il 2024 il salario minimo dei lavoratori messicani è aumentato del 110%; i contributi statali ai settori più poveri hanno raggiunto 14 milioni di famiglie con un aumento dei monti elargiti del 55% rispetto al governo precedente; i faraonici progetti promessi all’inizio del suo mandato sono stati portati avanti ed inaugurati: il corridoio interoceanico e il Tren Maya nel sud, oggetto di critiche da parte di associazioni indigene e ambientaliste ma sostenuti dalla popolazione locale. O il nuovo aeroporto di Città del Messico, completato in soli tre anni. Anche i principali indicatori economici mostrano un quadro positivo per il Presidente messicano: durante il suo mandato, il tasso di povertà è sceso dal 41,9% nel 2018 al 36,3% nel 2022, e la Banca Mondiale prevede una crescita del PIL messicano del 2,6% nel 2024, superiore alla media continentale.
Nonostante i risultati in termini di lotta al narcotraffico e miglioramento delle condizioni di sicurezza non siano migliorate, il 66% dei messicani giudica complessivamente in modo positivo il governo di Lopez Obrador. Che ha avuto anche la grande capacità di lasciare sempre uno spiraglio che permettesse ai votanti più conservatori di riconoscersi nel suo discorso: parla uno spagnolo “di strada”, non si identifica con le élite dell’accademia di tendenza progressista, rivendica un forte nazionalismo e un’agenda centrata sugli affari interni – di fatto è il Presidente che meno ha viaggiato all’estero nella storia recente del Messico. Ha evitato di prendere posizione intorno a questioni spinose come l’aborto o il conflitto israelo-palestinese e si è spesso opposto ai discorsi e rivendicazioni dei movimenti sociali più radicali del Messico, specialmente quello indigeno e quello femminista.
L’obiettivo principale del Presidente attuale sembra essere quello di trasformare le elezioni del 2 giugno in un plebiscito sul proprio operato, dal quale è fiducioso di uscire vincitore.
Le elezioni messicane rivestono un’importanza significativa anche per la politica degli Stati Uniti, soprattutto in tre aree cruciali. Innanzitutto, il commercio bilaterale, regolamentato dall’Accordo Stati Uniti-Messico-Canada (USMCA), che ha sostituito il NAFTA nel 2018 su iniziativa di Donald Trump.
Da diversi mesi, Washington ha avviato una disputa con il Messico riguardante la politica energetica, la quale riveste un ruolo cruciale nel progetto politico di Lopez Obrador ma entra in conflitto con gli accordi di libero scambio stabiliti con i vicini settentrionali.
Il secondo punto critico tra i due paesi riguarda l’immigrazione, che ha scatenato una forte crisi alla fine del 2023 tra le autorità messicane e i governi di vari stati meridionali degli Stati Uniti, e che ha evidenti ricadute anche sulla campagna elettorale verso le elezioni di novembre negli Usa.
Infine, c’è la questione persistente del narcotraffico: il Messico rappresenta il principale Paese di provenienza di tutte le droghe illegali consumate negli Stati Uniti. Negli ultimi anni, le autorità hanno segnalato un preoccupante aumento del traffico di fentanyl, una sostanza che sta dilagando nei sobborghi delle grandi città americane e sta generando gravi problemi sociali.
I prossimi due mesi saranno dunque cruciali per stendere un profilo del Messico che verrà, su questi ed altri temi sensibili per la società messicana e per il continente latinoamericano. Un processo che sarà seguito con grande interesse specialmente da Washington.
Venerdì 1º marzo è iniziata ufficialmente in Messico la campagna elettorale per le elezioni generali di giugno. È la prima volta nella storia del paese che due donne guidano le coalizioni con le maggiori possibilità di vincere le presidenziali. Claudia Sheinbaum, ex sindaca della capitale, è la candidata del Movimiento de Renovación Nacional (Morena), il partito dell’attuale presidente Lopez Obrador.