Milei intensifica l’allineamento con gli Usa, in attesa delle elezioni di novembre, in cui il presidente argentino tifa apertamente per Donald Trump. Visita una “Base Navale Congiunta” nella Terra del Fuoco con la Comandante del Southern Command e l’ambasciatore Usa.
Sebbene fosse nell’aria già da tempo, il giro copernicano dato alla politica estera argentina dal presidente Javier Milei negli ultimi giorni ha sorpreso molti osservatori internazionali. Si sapeva che l’intenzione del nuovo governo “libertario” era quella di allontanarsi dalla sfera di influenza cinese per avvicinarsi a Washington, ma la visita fatta questo venerdì ai cantieri della Base Navale Integrata di Ushuaia, nella Terra del Fuoco, con la Comandante del Southern Command delle Forze Armate degli Stati Uniti, Laura Richardson, ha aperto le porte ad un’alleanza militare che va ben oltre le aspettative.
La Base Navale Integrata di Ushuaia rappresenta uno dei progetti più ambiziosi in termini militari e geopolitici per l’Argentina. Si tratta infatti di un enclave operativo situato alle porte dell’Antartide, in una zona molto sensibile a livello nazionale ed internazionale. Per l’Argentina significherebbe rafforzare la propria presenza nella zona in cui si trova la principale minaccia alla propria sicurezza nazionale, rappresentata dalla presenza militare britannica alle isole Malvinas/Falklands. Oltre ad accrescere le proprie capacità operative nell’area australe del Cono Sud, contesa ancora col Cile.
A livello globale però l’annuncio della costruzione di un polo come quello progettato ad Ushuaia rappresenta un’occasione ghiotta per le principali potenze internazionali di avvicinarsi strategicamente all’Antartide, continente molto conteso e la cui condizione geopolitica è per ora bloccata dal Trattato Antartico del 1959. In pratica, l’accordo proibisce da più di sessant’anni l’installazione di basi militari e attività che non rivestano uno scopo scientifico sul continente, vietando altresì nuove rivendicazioni di sovranità sul territorio antartico, spartito tra Argentina, Cile, Australia, Francia, Nuova Zelanda, Norvegia e Regno Unito.
La possibilità di partecipare alla costruzione di una base navale alle porte di un territorio “off limits” ma estremamente desiderato, è chiaramente allettante. Si tratta di un territorio che collega l’Oceano Atlantico, il Pacifico e l’Oceano Indiano, chiave per lo studio delle telecomunicazioni, il clima e le scienze aerospaziali. Siccome il trattato del 1959 proibisce l’estrazione delle risorse idriche e minerali, le potenze globali si stanno da alcuni anni affrettando a garantirsi una posizione strategica sul terreno in vista di una revisione di tale divieto in futuro: si stima che nel continente si trovino 500 miliardi di tonnellate di petrolio, a cui se ne aggiungono circa 135 nei fondali delle acque circostanti, 300 miliardi di tonnellate di gas naturale, oltre a ingenti riserve di oro, ferro, nichel, rame, carbone, uranio e argento.
L’Argentina è attualmente il paese con la maggior quantità di basi nel continente bianco (sei permanenti e sette temporanee), seguita dalla Russia, Regno Unito, Cile, Australia, Francia, Italia, Cina e Norvegia. Ed è proprio l’espansione cinese sul territorio australe a preoccupare Washington da qualche anno.
Pechino, infatti, ha concluso nel 2023 la costruzione della sua quinta base nel continente, a cui si aggiunge una postazione di monitoraggio satellitare, ed una pista di atterraggio aereo propria, oltre ai due rompighiaccio dell’Esercito Popolare appostati sulle coste antartiche con 500 militari a bordo.
Il timore da parte degli Usa e dei suoi alleati è che la Cina stia ampliando la propria presenza nella zona per installare una rete di spionaggio internazionale. Accuse di cui, però, non esistono prove fondate. Per l’Argentina però esiste un valore aggiunto nel proiettare una maggior presenza militare nelle acque dell’Atlantico Sud, dato dal contrasto alla pesca illegale portata avanti da migliaia di pescherecci – la maggior parte cinesi – stazionati al largo del cosiddetto miglio 201, limite ultimo delle acque territoriali argentine, e che da anni portano avanti un vero e proprio saccheggio nel Mare Argentino approfittando dell’incapacità delle autorità locali.
La Base Navale Integrata di Ushuaia è entrata nell’orbita degli interessi cinesi sin dall’avvio della sua costruzione nel marzo del 2022. Proprio in quel periodo l’azienda statale Shaanxi Coal Group aveva ottenuto l’appalto per la costruzione di un nuovo porto a Rio Grande, a pochi chilometri di distanza, con un investimento da 1,25 miliardi di dollari.
Il governo cinese ha voluto estendere le positive negoziazioni realizzate con il governo della Terra del Fuoco per far sì che un’altra azienda statale, la HydroChina Corp. si occupasse della costruzione della nuova base navale. Ma il progetto ha acceso i campanelli d’allarme dei funzionari del Pentagono, che si sono affrettati ad inviare la Generale Richardson a colloquio con l’allora vicepresidente Cristina Fernandez.
La comandante del Southern Command, il Comando combattente unificato delle forze armate degli Stati Uniti operativo nel continente americano, dal Messico in giù, è tornata a Buenos Aires nell’aprile del 2023 proprio per affrontare con le autorità locali la questione della presenza cinese in Terra del Fuoco.
Erano passate solamente alcune settimane da un polemico intervento fatto da Richardson durante un incontro dell’Atlantic Council, in cui aveva esplicitato senza giri di parole l’interesse Usa per le risorse naturali latinoamericane: dal litio, di cui Argentina, Cile e Bolivia detengono le più importanti riserve al mondo, all’acqua dolce del bacino amazzonico, il petrolio della Guayana e i metalli e terre rare della Patagonia. La sua visita fu molto polemica allora, in vista delle dichiarazioni fatte.
Il drastico cambio di governo in Argentina, con l’avvento dell’estrema destra di Milei al potere, ha sicuramente avvicinato Buenos Aires alle pretese di Washington. Dal 2003 infatti, il paese è stato governato da diverse espressioni del centrosinistra peronista (salvo la parentesi del liberal-conservatore Mauricio Macri tra il 2015 e il 2019), periodo in cui la relazione con la Cina si è nettamente intensificata.
La politica estera argentina ha cercato sempre maggior autonomia dalla potenza egemone continentale, appoggiandosi su un rinnovato regionalismo – chiave in questo senso la relazione tra l’ex presidente Cristina Kirchner e Lula da Silva – e la voracità cinese per le materie prime argentine. Ma le circostanze macroeconomiche che favorirono quel ciclo (altissimi prezzi internazionali delle materie prime, superavit fiscale e commerciale, forte sostegno da parte dei governi alleati nel continente) si sono spente a partire dal 2016, aprendo una spirale che ha portato l’economia argentina ad avere un bisogno imperioso del sostegno di Washington.
In primis sulla questione debito. Il paese ha chiesto ed ottenuto un prestito da 45 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale nel 2018, il più grande mai elargito dall’organismo, e concesso su pressione dell’allora presidente Donald Trump per favorire la rielezione – poi fallita – del suo alleato Mauricio Macri. Proprio nei prossimi giorni, il 17 aprile, il ministro delle finanze argentino Luis Caputo dovrà sedersi a negoziare con i tecnici del Fmi il rilascio di un nuovo pacchetto di aiuti. Il governo Milei avrebbe bisogno di circa 15 miliardi di dollari per stabilizzare l’economia nel breve periodo, ma il Fondo non sembra disposto ad accettare, visti i precedenti critici del paese e la piega che sta prendendo il “piano motosega” del nuovo presidente.
È in questo contesto che Javier Milei ha invitato la comandante Richardson e l’Ambasciatore degli Stati Uniti in Argentina, Marc Stanley, a verificare l’andamento della costruzione della nuova base. Per ora non è chiaro quale sarà il ruolo delle aziende statunitensi nella progettazione del molo e gli edifici adiacenti non ancora realizzati, né si hanno certezze sulla possibile presenza di militari Usa nella base. Ma il gesto del governo è un chiaro segno di allineamento.
Da quando è giunto al potere, il nuovo governo ha ricevuto altre due visite di spicco provenienti da Washington: quella del Segretario di Stato, Anthony Blinken a febbraio, e quella del direttore della CIA, William Burns, che a fine marzo si è riunito con la ministra per la sicurezza Patricia Bullrich.
“Oggi la migliore risorsa per difendere la nostra sovranità e affrontare con successo questi problemi è proprio rafforzando la nostra alleanza strategica con gli Stati Uniti e con tutti i paesi del mondo che difendono la causa della libertà”, ha assicurato Milei, vestito in abiti militari dal pulpito montato ad Ushuaia venerdì scorso.
A riprova di questo, il governo Milei ha avviato una serie di attuazioni amministrative volte ad ostacolare il lavoro della base di osservazione spaziale operata dalla Cina nella provincia di Neuquén, nella Patagonia settentrionale, dal 2014. Proprio in occasione della visita della comandante del SouthCom, il presidente aveva annunciato l’inizio di una serie di ispezioni per assicurare che la base non avesse alcun fine militare, come d’altronde implicitamente richiesto da Stanley in un’intervista recente. Ogni aspetto della base passerà ora al vaglio degli enti competenti, dall’uso dell’energia elettrica al regime di lavoro dei suoi dipendenti.
Insomma, l’Argentina di Milei intensifica il suo allineamento strategico con gli Usa, in attesa delle elezioni di novembre, in cui il presidente Milei tifa apertamente per Donald Trump. Un revival delle “relazioni carnali”, espressione resa famosa dall’ex presidente Carlos Menem durante gli anni ’90, e che portò il paese ad un’alleanza incondizionata su tutti i fronti con gli Stati Uniti del Washington Consensus.
Intanto si aspetta qualche gesto sul piano economico da parte di Washington, mentre mette a repentaglio due delle principali relazioni strategiche costruite negli ultimi decenni, col Brasile, ma soprattutto con la Cina.
Sebbene fosse nell’aria già da tempo, il giro copernicano dato alla politica estera argentina dal presidente Javier Milei negli ultimi giorni ha sorpreso molti osservatori internazionali. Si sapeva che l’intenzione del nuovo governo “libertario” era quella di allontanarsi dalla sfera di influenza cinese per avvicinarsi a Washington, ma la visita fatta questo venerdì ai cantieri della Base Navale Integrata di Ushuaia, nella Terra del Fuoco, con la Comandante del Southern Command delle Forze Armate degli Stati Uniti, Laura Richardson, ha aperto le porte ad un’alleanza militare che va ben oltre le aspettative.
La Base Navale Integrata di Ushuaia rappresenta uno dei progetti più ambiziosi in termini militari e geopolitici per l’Argentina. Si tratta infatti di un enclave operativo situato alle porte dell’Antartide, in una zona molto sensibile a livello nazionale ed internazionale. Per l’Argentina significherebbe rafforzare la propria presenza nella zona in cui si trova la principale minaccia alla propria sicurezza nazionale, rappresentata dalla presenza militare britannica alle isole Malvinas/Falklands. Oltre ad accrescere le proprie capacità operative nell’area australe del Cono Sud, contesa ancora col Cile.