Nelle ultime settimane sono state neutralizzate cellule terroristiche legate allo Stato islamico. Come garantire la futura sicurezza del Paese?
In Sudan si sta profilando una nuova minaccia alla sicurezza del Paese, dove nelle ultime settimane sono state neutralizzate cellule terroristiche legate allo Stato islamico. L’ultima in ordine di tempo è stata sgominata con l’operazione condotta lo scorso 4 ottobre dalle forze di sicurezza locali, che si sono scontrate con un gruppo di sospetti terroristi nel quartiere di Jabra, nel periferico quadrante sud della capitale Khartoum.
Alcuni testimoni hanno riferito all’agenzia di stampa Reuters di aver visto gli agenti ingaggiare un conflitto a fuoco con un gruppo di uomini armati all’interno di un edificio residenziale. L’agenzia di stampa del Governo sudanese SUNA ha indicato i militanti come membri di una cellula terroristica, rendendo noto che quattro criminali e un ufficiale delle forze di sicurezza sono rimasti uccisi nello scontro.
Il raid delle forze antiterrorismo ha interessato due siti, dove sono stati arrestati quattro sospetti militanti, mentre il giorno prima erano stati catturati altri otto estremisti stranieri a Omdurman, città gemella della capitale Khartoum.
Pochi giorni prima, il 28 settembre, nel quartiere di Al-Azhari, sempre nella parte meridionale di Khartoum, due ufficiali e tre sottoufficiali del Servizio generale d’intelligence del Sudan (GIS) sono stati uccisi in un raid contro una cellula collegata allo Stato islamico. Nel corso dell’operazione, avvenuta nella notte, le forze di sicurezza hanno arrestato 11 terroristi stranieri di diverse nazionalità, mentre quattro sono riusciti a fuggire e sono ricercati attivamente in tutto il territorio sudanese.
Interessante notare, che per la prima volta le autorità locali hanno annunciato l’arresto di militanti dell’Isis nel Paese, tuttavia non hanno fornito molti dettagli sulle affiliazioni degli arrestati e sui piani che avevano per compiere attentati terroristici.
Il giorno dopo l’attacco del 28 settembre, un gruppo jihadista che si autodefinisce Movimento per la predicazione e il combattimento ha affermato di aver ucciso i cinque agenti del GIS. Nella dichiarazione pubblicata su Facebook, il gruppo ha rivendicato anche la responsabilità del fallito attentato per eliminare il Primo Ministro Abdalla Hamdok, compiuto il 9 marzo dello scorso anno.
Finora, le indagini non avevano consentito di risalire ai colpevoli del tentativo di assassinare Hamdok. Il gruppo ha anche negato di avere legami con l’Isis, sottolineando che “i trucchi mediatici a buon mercato utilizzati dalle autorità sudanesi non gli impediranno di compiere nuovi attacchi”.
La presenza dell’Isis in Sudan
Nei fatti, la formazione estremista che si è scontrata con le forze di sicurezza sudanesi era numerosa, ben armata, ben organizzata e costituiva certamente un serio pericolo all’interno della capitale. La minaccia della presenza di gruppi terroristici in Sudan è rimasta sempre latente, tanto che nel 2019, il Dipartimento di Stato americano aveva avvertito che l’Isis si era diffuso in Sudan, dopo aver perso le sue aree di controllo in Siria e Iraq.
Tuttavia, il Ministro degli Affari religiosi Nasreddine Mufreh, aveva negato la presenza dell’Isis nel Paese africano, ma aveva confermato l’esistenza di molti estremisti coperti dal precedente regime di Omar al-Bashir.
Sempre nel 2019 le autorità sudanesi hanno annunciato l’arresto di sei membri dell’organizzazione terroristica nigeriana Boko Haram, mentre nel giugno 2020, il Ministero dell’Interno ha comunicato l’arresto di nove appartenenti ad al-Qaeda di diverse nazionalità, che stavano pianificando di compiere attentati nei Paesi del Golfo. In precedenza, le autorità sudanesi avevano fermato altri estremisti legati alla Fratellanza Musulmana.
Il Sudan durante il regime di Omar al-Bashir è stato considerato per anni un incubatore di gruppi islamisti. Tanto che il 12 agosto 1993 era stato incluso dal Dipartimento di Stato americano nella lista nera di Paesi che sostengono il terrorismo, per aver concesso ospitalità a Osama bin Laden.
Inoltre, nel 1997, l’amministrazione Clinton aveva imposto sanzioni economiche contro Khartoum, che introducevano un embargo sul commercio, il congelamento di tutti i beni gel governo e limitavano la capacità delle banche sudanesi di lavorare con partner stranieri.
Dette sanzioni sono state sospese nell’ottobre 2017 dall’amministrazione Trump, ma il Sudan continuava a rimanere nella lista degli Stati sponsor del terrorismo. Finalmente, lo scorso 14 dicembre, il Governo di transizione del Sudan è riuscito a conseguire la rimozione dalla black list. Poi, a seguito di questa decisione, il 21 dicembre il Congresso americano ha deliberato a favore del ripristino dell’immunità legale di Khartoum.
Il professor Ahmed Sabah Al-Khair, un esperto sudanese di estremismo violento, ritiene che la situazione di instabilità in alcuni degli Stati limitrofi del Sudan – come Libia, Ciad e la regione del Sinai in Egitto – rende probabile che gruppi estremisti possano infiltrarsi nel Paese.
Sebbene all’interno del Sudan non hanno mai avuto luogo attentati terroristici su larga scala, ad eccezione di alcuni eventi minori. Come l’uccisione, il primo gennaio 2008, da parte dell’estremista Abdul Ra’uf Abu Zaid Muhammad Hamza del diplomatico americano John Granville e del suo autista. E nel gennaio 2014, l’accoltellamento del console generale russo e di sua moglie per mano di un fanatico centrafricano.
Gli ultimi fatti indicano che, specialmente dopo la caduta del regime di Bashir, per Khartoum il terrorismo costituisce una sfida prioritaria per la futura sicurezza del Paese, che può essere affrontata anche accelerando l’introduzione di una legge ad hoc. Nel varare la quale sarebbe estremamente importante che siano garantiti il rispetto degli standard dei diritti umani e dello stato di diritto.