Sono 18 i candidati a succedere a Buhari. Oltre ai due partiti tradizionali, finora in alternanza al governo e all’opposizione, per la prima volta anche il candidato del Labour Party, Obi, favorito dai molti cristiani e dai giovani
Domenica 26 febbraio si vota in Nigeria, per eleggere il nuovo presidente e per rinnovare i due rami dell’Assemblea nazionale. Si tratta di un appuntamento storico per il Paese, osservato con attenzione dal resto del mondo. Con i suoi 218 milioni di abitanti, infatti, la Nigeria rappresenta un gigante geopolitico e l’attore principale dell’Africa occidentale. Ma è anche la maggiore democrazia del continente, nonché una delle più grandi a livello globale. Le elezioni saranno quindi fondamentali, per testare lo stato di salute del sistema democratico nel Paese.
Il voto segnerà anche la fine della presidenza di Muhammadu Buhari, percepita dalla gran parte degli osservatori in questi anni come debole. Originario dello stato di Katsina, nel nordovest del Paese, Buhari era entrato in carica nel 2015, promettendo di risollevare le sorti economiche della Nigeria e di sconfiggere l’organizzazione jihadista Boko Haram, attiva nelle aree settentrionali. Non è riuscito però in nulla di tutto ciò. I movimenti islamisti continuano ad essere presenti e a contribuire alla crescita dell’insicurezza nel Paese, causata anche dai frequenti conflitti tra pastori e agricoltori per l’utilizzo delle terre e dalla presenza di gruppi dediti alla razzia di bestiame, come vi avevamo descritto nelle scorse settimane.
Per quanto riguarda l’economia, invece, durante gli anni di presidenza Buhari la Nigeria ha conosciuto una crescita quasi nulla, anche a causa dei minori introiti garantiti dall’esportazione di petrolio — prima perché i prezzi erano bassi, poi perché il Paese ha tagliato la produzione di idrocarburi. Nel frattempo, è aumentata la disoccupazione — che oggi colpisce circa un cittadino nigeriano su tre — e si è di conseguenza diffusa ulteriormente la povertà. A nulla, poi, sono servite le manovre del governo, che ha svalutato la moneta locale tentando di risolvere la crisi, ma ha invece reso la situazione ancora più drammatica.
Tra i pochi aspetti positivi, c’è il fatto che il presidente uscente non ha mai tentato di indebolire o contrastare il funzionamento democratico del Paese. In particolare, a differenza di altri leader africani, Buhari ha accettato il limite dei due mandati imposto dalla costituzione nigeriana e non si presenterà a quella che è la settima elezione presidenziale, da quando lo stato è tornato alla democrazia nel 1999.
Per succedergli, si presenteranno domenica ben 18 candidati alla presidenza. Due di questi sono alla guida dei partiti tradizionali, che in questi vent’anni si sono alternati tra governo e opposizione. L’All Progressives Congress (APC), formazione di cui fa parte anche Buhari, verrà rappresentato da Bola Tinobu: musulmano di etnia yoruba, proveniente dalla Nigeria sud-occidentale e governatore dello stato di Lagos negli anni 2000, questi rappresenta la continuità con il presidente uscente. A lui si oppone Atiku Abubakar, leader del Peoples Democratic Party (PDP) e uscito sconfitto dalle urne nel 2019. Anche lui musulmano, Abubakar viene però dal nord del Paese ed ha già ricoperto la carica di vicepresidente, tra il 1999 e il 2007.
La corsa non si limita però soltanto a questi due candidati: per la prima volta, infatti, il leader di un terzo partito sembra avere consistenti probabilità di vittoria. Si tratta di Peter Gregor Obi del Labour Party (LP), che in questi mesi ha saputo conquistare l’appoggio di milioni di nigeriani. Obi è sostenuto in particolare da molti cristiani, che vedono in lui il solo candidato di riferimento, ma anche da una larga fetta dei giovani, attratti dal suo modo di fare sobrio, lontano da quello di gran parte dei politici che dominano la scena politica nel continente. La CNN riporta come Obi voli in classe economy, si porti da solo i propri bagagli e si sia rifiutato di circondarsi di un enorme squadra di collaboratori.
Per vincere, un candidato deve ottenere la maggioranza relativa ed almeno il 25% dei consensi in 24 dei 36 stati in cui la Nigeria si divide. Finora questo è sempre successo: questa volta, però, la presenza di un terzo candidato credibile potrebbe obbligare a ricorrere al secondo turno, con un ballottaggio. Il risultato è incerto: molto dipenderà dall’affluenza e dalla capacità dei singoli candidati di ottenere consensi anche all’esterno delle loro roccaforti elettorali.
L’esito delle elezioni potrebbe infine portare a superare il principio della zonizzazione. In un articolo per Ispi, Giovanni Carbone spiega come questo implichi “l’alternanza di presidenti provenienti dal nord a maggioranza musulmana e presidenti del sud a maggioranza cristiana”. Si tratta di una regola non scritta, che fino ad ora è stata tendenzialmente rispettata. Ma, a meno che non sia Obi a risultare vincitore nel voto di domenica, il principio è destinato questa volta ad essere violato: pur venendo dal sud, infatti, Tinobu è musulmano come Buhari, mentre Abubakar condivide sia la religione che la provenienza con il presidente uscente. Nel caso questa eventualità si realizzasse, sarebbe facile prevedere una crescita del risentimento tra i cristiani e tra le popolazioni che abitano le regioni meridionali. Esiste un precedente non positivo, sottolinea Carbone: “L’interruzione imprevista di questa regola non scritta, tra il 2010 e il 2011, contribuì a un’esplosione della violenza politica”.