I primi 25 anni di Hong Kong. La propaganda cinese. I semiconduttori di Taiwan. Il Giappone verso la carbon neutrality
Hong Kong a 25 anni
Il 2022 segna i primi venticinque anni da quando Hong Kong è passata da mano britannica a mano cinese, diventando una Regione amministrativa speciale della Repubblica popolare cinese dopo un secolo e mezzo come Colonia britannica. Ma Hong Kong si presenta a questo traguardo molto modificata: dopo un periodo iniziale di cambiamenti poco vistosi, il Governo centrale a Pechino ha deciso che Hong Kong non poteva continuare ad essere come era. Ecco dunque che Hong Kong oggi non ha più i sindacati indipendenti, o le Unioni degli Studenti nelle università. Queste, come del resto le scuole materne e le medie, devono oggi prestare giuramento di fedeltà alla Patria, che, secondo le spiegazioni impartite dopo l’imposizione della Legge sulla sicurezza nazionale, significa essere anche a sostegno del Partito Comunista.
I simboli che rappresentavano nei campus universitari la memoria del Massacro di Tiananmen sono stati rimossi, e l’Alleanza che ne organizzava la veglia ogni 4 giugno è stata fatta sciogliere, con alcuni dei suoi membri principali in prigione. Si sono appena tenute delle elezioni legislative, ma ora sono con “caratteristiche cinesi”: solo i candidati reputati patriottici hanno avuto il diritto a partecipare alle elezioni, mentre i 47 più noti leader dell’opposizione pro-democrazia si trovano in prigione per aver organizzato delle elezioni primarie, accusati dunque di aver cercato di ottenere la maggioranza al fine di sovvertire il Governo. Il principale quotidiano dell’opposizione, l’Apple Daily, è stato fatto chiudere, e il suo fondatore, Jimmy Lai, si trova in prigione in attesa di un numero crescente di processi. La radio pubblica, RTHK, non ha più un accordo con la BBC per le notizie internazionali, ma riceve ora notizie dall’agenzia cinese Xinhua e dalla televisione di Stato CCTV. Così come le nuove elezioni con candidati pre-selezionati hanno attratto l’interesse di appena il 30% degli aventi diritto al voto (contro il 71% nelle ultime elezioni, nel 2019), più di centomila persone hanno deciso di lasciare la città, cercando rifugio in primo luogo in Gran Bretagna. La Cina non ha potuto tollerare che nemmeno 7.5 milioni dei suoi abitanti godessero di più libertà civili.
Voto: 1 a Pechino. Intollerabile tornare indietro su diritti e democrazia, nel terzo millennio.
Influencer occidentali per propaganda soft cinese
La propaganda cinese può contare su un vasto apparato che gode del pieno sostegno del governo cinese, e tutti i mezzi di comunicazione, social media inclusi, sono soggetti a una stretta censura. Ma da un po’ di tempo a questa parte – e in particolare da quando si sono intensificate le denunce per quanto avviene nel Xinjiang e per la repressione politica a Hong Kong – Pechino ha investito sugli influencer dei social media, bloccati in Cina, per cercare di diffondere propaganda in modo meno ovvio. Per fare ciò, la Cina ha ingaggiato la Vippi Media, un’azienda di consulting in New Jersey, Usa, per promuovere la Cina prima delle Olimpiadi. In totale, secondo il Foreign Agents Registration Act Records, parte del Governo Usa, la Cina sta spendendo 170 milioni di dollari Usa nei soli Stati Uniti per assumere influencer e farsi aiutare a dare una migliore immagine della Cina all’estero.
Voto: 6 al Governo cinese. Investire sulla reputazione denota una preoccupazione sana. Sarebbe meglio farla precedere da azioni concrete…
Taiwan continua a essere indispensabile
L’industria dell’alta tecnologia taiwanese, in particolare delle chip (semiconduttori) utilizzate in tutte le tecnologie civili e militari, è talmente forte da far sì che l’isola sia indispensabile. Questa supremazia tecnologica che per il momento non è replicabile in nessun luogo, rende Washington particolarmente inquieta all’idea che Pechino voglia intervenire militarmente su Taiwan – dato che questo creerebbe una dipendenza tecnologica nei confronti della Cina difficile da gestire. Ma la Cina stessa dipende dalle chip prodotte a Taiwan, e non potrebbe permettersi di rendere inservibili le aziende taiwanesi che producono i più avanzati semiconduttori. Alcuni parlano di uno “scudo di silicone” per Taiwan, che nel rendersi indispensabile alle due maggiori economie del pianeta, si sarebbe garantita protezione da avventurismi militari. La ministra dell’economia taiwanese, Wang Mei-hua, ha dichiarato che “l’alta tecnologia taiwanese non è importante solo economicamente, ma anche per la nostra sicurezza nazionale”.
Voto: 8 alla capacità strategica taiwanese. L’alta tecnologia garantisce a Taipei la sopravvivenza.
Giappone: il primo Paese asiatico carbon neutral?
Sono già chiamate kishidanomicse e rappresentano il piano economico e ambientale del Primo Ministro giapponese, Fumio Kishida, che vede al primo posto il progetto di tramutare il Giappone nel primo Paese asiatico le cui emissioni sono pari a zero – entro il 2050. A questo scopo sono state lanciate numerose iniziative pubbliche e altre volte a incentivare i privati – a cui invece è stato dato il nome di “nuovo capitalismo”. La più grande centrale di produzione di idrogeno al mondo è stata inaugurata nei pressi di Fukushima – gesto simbolico, per trasformare l’immagine della città al centro del disastro nucleare del 2011 in un luogo sinonimo di “energia pulita”, mentre la città di Saga vuole specializzarsi in tecnologia carbon capture per contrastare gli effetti degli impianti di trattamento di scorie presenti nel distretto. Il piano, infatti, è centrato in particolar modo sull’ampliamento della produzione e dell’utilizzo di energie pulite, insieme alla promessa (fatta a Glasgow) di eliminare ogni tipo di disboscamento entro il 2030, e di creare un fondo per progetti ambientali nel resto dell’Asia. Da seguire, però, la messa in atto di tutti questi buoni propositi.
Voto: 8 a kishidaeconomics. Le buone intenzioni rappresentano l’inizio necessario di politiche innovative.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di gennaio/febbraio di eastwest.
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I primi 25 anni di Hong Kong. La propaganda cinese. I semiconduttori di Taiwan. Il Giappone verso la carbon neutrality