Dopo l’omicidio di Moïse, la situazione è tesa e il futuro del Paese incerto. L’ex Ministro della Difesa Jean Walnard Dorneval descrive le prospettive della metà haitiana della piccola isola caraibica
Dopo il drammatico assassinio del Presidente Jovenel Moïse, avvenuto ai primi dello scorso luglio per mano di uno squadrone della morte arrivato pare dalla Colombia su ordine di boss locali che ambivano, e ambiscono tutt’ora, a prendere il potere, nella piccola metà di questa isola caraibica (l’altra parte è la Repubblica Dominicana) si continua a vivere in un clima di terrore, peggiorato ancor di più da diverse calamità naturali e da continui episodi di violenza.
Dopo i moti di strada esplosi in seguito all’assassinio di Moïse, il 14 agosto scorso è arrivato un fortissimo terremoto. Oltre 650.000 persone sono state colpite da un un’onda di magnitudo 7,2. I morti registrati sono stati 2.247, i feriti 12.763, le case distrutte 83.000. Appena due giorni dopo questo disastro sull’isola si è abbattuta con tutta la sua forza distruttrice la tempesta Grace, provocando frane e inondazioni.
Insomma, un disastro dopo l’altro e, come se non bastasse, dopo il terremoto e la tempesta ad Haiti è arrivata anche la fase dei rapimenti. Un evento fuori dall’ordinario anche per il piccolo e tormentato paese centro americano: almeno 17 missionari americani sono stati rapiti a Port-au-Prince da un non meglio specificato gruppo armato. Un episodio gravissimo anche in una nazione storicamente vessata da gravi atti di violenza. L’allarme per questo clamoroso rapimento è stato dato immediatamente e alcuni dei missionari sono riusciti essi stessi a lanciare il loro grido d’aiuto scrivendo direttamente all’emittente televisiva americana CNN.
Ma a tutt’oggi la situazione resta confusa ed incerta. Insomma, un paese precipitato in un caos che produce costi altissimi per la popolazione e dove è difficile capire come evolveranno le cose. La stessa data per le elezioni presidenziali, che inizialmente dovevano tenersi lo scorso ottobre, è ancora avvolta nell’incertezza. Le Nazioni Unite (Stati Uniti compresi) hanno accettato che il voto sia rimandato all’inizio del 2022, forse a febbraio. Un tempo necessario per dare al paese la possibilità di ritrovare un minimo di pace e la forza di riorganizzarsi per indire elezioni realmente democratiche. Per capire meglio come sia la situazione reale e quali prospettive attendono Haiti, eastwest è riuscita a intervistare Jean Walnard Dorneval, ambasciatore (ha servito anche a Pechino), ex Ministro della Difesa e amico personale del Presidente assassinato.
Cominciamo da lei Ambasciatore Dorneval. Come mai un diplomatico di lungo corso come lei era stato nominato dal Presidente Moïse Ministro della Difesa?
Il Ministero della Difesa è uno dei Ministeri chiave nella ricostruzione di Haiti e oggi Haiti deve affrontare una grande sfida sulla sicurezza delle persone e dei beni, su quella del territorio e su tutto ciò che riguarda la difesa nazionale. L’anno scorso il presidente Jovenel Moïse, di cui ero Consigliere speciale, mi ha scelto come Ministro della Difesa; attualmente non sono più Ministro.
Prima del suo assassinio lei ha fatto campagna per Moïse e lo ha affiancato in molte attività. Sappiamo che era un suo amico personale. Che uomo e politico era?
Jovenel Moïse provava un profondo attaccamento per il suo Paese: ha studiato ad Haiti, è stato un imprenditore e ha sempre lavorato qui. Credeva che noi haitiani avessimo un grande futuro e si è impegnato a lottare per un ideale di solidarietà, pace e grandezza per questo Paese.
Gli avversari di Moïse lo hanno descritto spesso come un dittatore, accusandolo anche di aver distrutto varie istituzioni del Paese, di mantenere rapporti stretti con la malavita locale con le quali ha tramato per rimanere al potere oltre il 7 febbraio del 2021, data in cui scadeva il suo mandato. Lei come risponde a tutto questo?
È inaccettabile dire che Jovenel Moïse volesse rimanere al potere oltre il suo mandato costituzionale. Egli è stato eletto nel dicembre 2016 ed è entrato in funzione il 7 febbraio 2017 per un mandato di cinque anni che avrebbe dovuto terminare il 7 febbraio 2022. È stata orchestrata una campagna diffamatoria all’estero perché si sapeva che sarebbe stato più facile manipolare un’opinione pubblica lontana dalla realtà sul campo, ma gli haitiani non hanno mai preso sul serio questa argomentazione.
Quanto alle gang che terrorizzano la popolazione, si tratta della strategia degli oligarchi per creare un clima di insicurezza generalizzata nel Paese con l’unico scopo di provocare la rabbia degli haitiani contro i suoi dirigenti. Questa minoranza retrograda – che non ha mai accettato che tutti potessero avere accesso alle ricchezze del Paese – finanzia, sovvenziona e rifornisce di armi e munizioni le gang affinché queste mantengano costantemente un clima di insicurezza.
Circa le mancate elezioni, si tenga presente che, per poterle organizzare, il Parlamento avrebbe dovuto approvare la legge elettorale, la quale sarebbe stata poi promulgata e pubblicata a cura dell’esecutivo. In diverse occasioni, Jovenel Moïse ha presentato un disegno di legge elettorale che non è, però, mai stato approvato dal Parlamento.
A causa delle mancate elezioni, dal gennaio 2020, il Parlamento è, dunque, decaduto. Il Presidente ha solo preso atto di questa decadenza, come hanno fatto prima di lui altri Presidenti (René Préval nel 1999 e Michel Martely nel 2015). E anche questi Presidenti, come Jovenel Moïse, hanno governato il Paese emanando decreti – come prevede la Costituzione – in attesa di nuove elezioni.
Il Presidente Moïse è stato assassinato nella sua residenza privata, la moglie si è salvata per miracolo. Chi pensa abbia ucciso il Presidente? Come è stato possibile raggiungerlo così facilmente nella sua abitazione? Cosa non ha funzionato nella sicurezza?
I responsabili sono gli oligarchi corrotti che lui stesso ha denunciato, quelli contro i quali ha combattuto. Non dimentichiamo che ad Haiti una ventina di famiglie controlla circa il 90% della ricchezza del Paese. Jovenel Moïse voleva porre fine a questo sistema basato sulla corruzione e ha scelto di affrontarlo con assoluta determinazione. Oggi conosciamo questi responsabili, sappiamo tutti chi sono. Che si tratti di un contratto nel settore dell’energia, dell’energia elettrica, della distribuzione del gas, di porti, aeroporti, di attività del Paese sono nelle mani di oligarchi corrotti che rifiutano di rispettare le regole del gioco.
Questo sistema corrotto fu messo in atto già all’indomani dell’indipendenza di Haiti, quando tutte le potenze straniere posero le basi per stabilire una forma di schiavitù moderna nel Paese, attribuendo a una casta di persone gli stessi poteri dei coloni. È così che ci troviamo ancora oggi con questa oligarchia corrotta che crede di essere padrona dello Stato.
Penso che contro il Presidente ci sia stata una grande cospirazione che ha certamente ramificazioni straniere: non c’è dubbio che la maggior parte degli assassini del Presidente provenga da paesi stranieri e che, per compiere questo crimine, sia stato necessario attraversare molti paesi che avrebbero potuto conoscere l’obiettivo dell’operazione. Poi ci sono state sicuramente delle falle nel sistema di sicurezza presidenziale; direi addirittura possibili forme di collusione. I principali responsabili sono al momento in carcere e la giustizia dovrà determinare il grado di responsabilità dei capi delle unità preposte alla sicurezza della famiglia presidenziale.
Come giudica la reazione del popolo haitiano?
Il Presidente era molto popolare, lo sanno tutti. Abbiamo condotto sondaggi di opinione ogni mese. Al momento della sua morte, i sondaggi dicevano che avevamo tra il 65% e il 70% di opinioni favorevoli. Le persone che hanno istigato il colpo di stato contro il Presidente pensavano che dopo questo crimine, la gente sarebbe scesa in strada euforica e che avrebbe compiuto atti di saccheggio, circostanza che avrebbe dimostrato che la popolazione non sosteneva il Presidente. Al contrario, gli haitiani hanno dimostrato una maturità incredibile, rimanendo quieti e pacati e chiedendo oggi giustizia. Ora la paura è dalla parte delle persone che hanno ucciso il Presidente. Credevano che tutto sarebbe finito con la sua morte, ma ora il Presidente è più vivo che mai perché le sue idee vivono nel cuore di ogni haitiana e di ogni haitiano. Continueremo tutti a lavorare affinché questo ricordo rimanga vivo, porteremo avanti i progetti del presidente Jovenel Moïse anche sul piano politico. Presenteremo candidati a tutti i livelli alle prossime elezioni. Avremo candidati alla Camera dei Deputati, al Senato, alla Presidenza e nelle Comunità territoriali e locali.
Oggi Haiti è un Paese in difficoltà, con problemi a vari livelli, dalla corruzione che dilaga ai temi dello sviluppo economico e della povertà. Come può recuperare un Paese così?
Jovenel Moïse è stato uno dei più grandi combattenti nella lotta alla corruzione ad Haiti. Stranamente, c’è un’intera narrativa che si è tentato di vendere al mondo facendo sembrare che il Governo di Jovenel Moïse fosse un governo corrotto. Negli ultimi 50 anni non c’è stato nessun governo come quello di Jovenel Moïse. Nessuno nella società haitiana può dire che il nome del Presidente sia stato coinvolto in questioni di denaro o corruzione. Nei primi anni della sua presidenza, quelli che lui chiamava “oligarchi corrotti” hanno provato a corromperlo offrendogli oltre 40 milioni di dollari, che lui ha rifiutato. Così, non potendo corromperlo, hanno pianificato di ucciderlo. Ma Jovenel Moïse non era l’unico nel suo Governo a non essere corrotto. Ero Ministro della Difesa, pensa che qualcuno mi abbia avvicinato per farmi un’offerta relativa alla corruzione? La gente sapeva che li avrei fatti arrestare. Conosco molti altri colleghi ai quali la gente non avrebbe osato fare proposte che avessero aspetti corruttivi.
La sicurezza è una questione vitale per il nostro futuro che dovremo affrontare per i prossimi 20 anni. Haiti dovrà ricostruire le sue forze armate e dovrà controllare il suo territorio e garantirne la sicurezza. E per questo ha bisogno di un esercito forte, ben addestrato e ben equipaggiato e di adeguate istituzioni di informazione e di intelligence. Non c’è dubbio che la polizia da sola non sarà in grado di garantire la sicurezza di questo paese.
A distanza di mesi dall’assassinio del Presidente, Haiti ancora non ha una guida. Qual è la situazione reale nel Paese? Quando si voterà?
La situazione è quella prevista dalla Costituzione in vigore, che stabilisce che il Primo Ministro in carica deve rimanere al fine di guidare l’azione del governo. Ma poiché il Presidente, poco prima di essere assassinato, aveva avuto il tempo di nominare un nuovo Primo Ministro di consenso nella persona del dottor Ariel Henry, abbiamo pensato che fosse meglio che questo Primo Ministro entrasse subito in funzione e formasse il suo governo di consenso. Questo governo ha il mandato di organizzare le elezioni e garantire le condizioni di sicurezza necessarie al loro svolgimento in modo che il 7 febbraio 2022 il potere sia consegnato a un Presidente eletto, ad un Parlamento funzionale, nonché alle Comunità.
Cosa si augura per Haiti?
La mia ultima parola è dire che Haiti è una terra di speranza: noi haitiani anche nelle disgrazie vediamo sempre finestre di speranza. Credo che gli haitiani potranno trovare in sé stessi la forza, le capacità di dialogo necessarie per ricostruire il paese, per riportarlo sulla strada dello sviluppo, per ricostruire la propria sicurezza e per permettere a ogni cittadino di essere in grado di godere di ciò che il suo Paese può offrirgli.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
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Dopo i moti di strada esplosi in seguito all’assassinio di Moïse, il 14 agosto scorso è arrivato un fortissimo terremoto. Oltre 650.000 persone sono state colpite da un un’onda di magnitudo 7,2. I morti registrati sono stati 2.247, i feriti 12.763, le case distrutte 83.000. Appena due giorni dopo questo disastro sull’isola si è abbattuta con tutta la sua forza distruttrice la tempesta Grace, provocando frane e inondazioni.