Varsavia approva due provvedimenti che vietano a società non europee di controllare le reti di informazione e introducono limiti alla restituzione dei beni confiscati dal regime comunista ai sopravvissuti della Shoah
La sfida della Polonia all’Unione europea non si attenua neppure in piena estate e stavolta – fra colpi che riguardano il pluralismo dei media e la restituzione dei beni confiscati durante il dominio comunista – si estende fino a coinvolgere gli Stati Uniti e anche Israele.
Con dei voti in rapida successione in un Parlamento nel frattempo terremotato dal collasso della coalizione di ultra-destra riunita attorno al PiS del premier Mateusz Morawiecki e del potente Jarosław Kaczyński, Varsavia mette a segno due controversi provvedimenti che allarmano la comunità internazionale. Il primo limita la possibilità per i sopravvissuti e i discendenti delle vittime della Shoah, così come di tutti gli altri espropriati dal regime comunista, di chiedere la restituzione delle proprietà e dei beni confiscati dopo la fine della Seconda guerra mondiale – una pratica che era stata introdotta in seguito al crollo del comunismo nel 1989 -, prevedendo adesso un termine di prescrizione di 30 anni per l’impugnazione delle decisioni amministrative riguardanti le istanze di rivendicazione. Il Governo difende la scelta giustificandola come una risposta alle varie frodi e irregolarità che si sono registrate nel tempo e che sono finite pure davanti alla giustizia civile, ma per le organizzazioni che tutelano il diritto alla restituzione si tratta di un oltraggio “per tutti, ebrei e non-ebrei”. E per il Ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid la decisione “arreca danno alla memoria dell’Olocausto e delle sue vittime”.
Ma c’è di più. Il secondo disegno di legge che ha ricevuto il via libera con 8 voti di scarto racimolati fuori dall’ex coalizione – che proprio su questo punto si è disgregata, con la cacciata del vicepremier Jarosław Gowin e l’uscita dalla maggioranza degli alleati di Accordo – vieta alle società che non hanno sede nello Spazio economico europeo (i 27 Paesi Ue insieme a Norvegia, Islanda e Liechtenstein) di possedere quote di maggioranza nei media polacchi. Varsavia dice che è uno scudo contro gli investitori cinesi, arabi e russi, ma secondo i manifestanti che sono scesi in piazza lamentando nuove restrizioni alla libertà di informazione si tratta di una legge ad hoc che ha un obiettivo preciso da colpire: Tvn, la rete nazionale controllata dal gruppo statunitense Discovery, che si è spesso dimostrata isolata voce critica rispetto alle tendenze autocratiche nel Paese. L’azienda Usa sarebbe adesso intenzionata ad avviare una procedura di arbitrato prevista nel quadro di un accordo sugli investimenti tra Stati Uniti e Polonia.
Le reazioni di Usa e Ue
L’irritazione a Washington, partner tradizionale della Polonia, è forte per entrambi i provvedimenti: per il segretario di Stato Usa Antony Blinken “contraddicono i valori fondamentali dell’Occidente e della comunità transatlantica”. E c’è anche chi arriva a immaginare una rappresaglia nei confronti di Varsavia, attraverso il trasferimento in Romania delle truppe di stanza nel Paese, dove si trovano nel quadro del rafforzamento del fianco orientale della Nato.
Visto da Bruxelles, il doppio voto di metà agosto costituisce l’ennesimo fronte aperto dalla Polonia – che insieme all’Ungheria è finita nella lista nera della Commissione per le ripetute violazioni dello stato di diritto e delle libertà fondamentali: “Un segnale negativo per il pluralismo dei media e la libertà di opinione”, dice la vicepresidente dell’esecutivo Ue Věra Jourová; le fa eco il numero uno del Parlamento europeo David Sassoli: “Non ci può essere libertà senza media liberi”. Entrambi i ddl non sono però definitivi. Quello sui media dovrà passare al Senato, dove l’opposizione ha la maggioranza e, in caso di bocciatura, di nuovo alla Camera (ma stavolta avrà però bisogno dei due terzi di sì, una soglia improbabile); quello sulle restituzioni delle confische comuniste aspetta invece solo la firma del Presidente della Repubblica Andrzej Duda, anch’egli esponente del PiS: Usa e Israele sono adesso in pressing su di lui per chiedere di fermare la promulgazione.
Chi spera che il caos politico si traduca in elezioni anticipate è Donald Tusk: ex premier polacco, dal 2014 al 2019 è stato presidente del Consiglio europeo ed è poi rimasto a Bruxelles a guidare il Ppe, il Partito popolare europeo che è la principale famiglia politica continentale dei moderati. Adesso vuole tornare alla politica attiva in Polonia e, a partire dalla sua Piattaforma civica, federare tutte le forze che si oppongono all’attuale Governo.
Varsavia approva due provvedimenti che vietano a società non europee di controllare le reti di informazione e introducono limiti alla restituzione dei beni confiscati dal regime comunista ai sopravvissuti della Shoah