Un mese è un tempo logico per adottare decisioni storiche. Lenti passi avanti verso una governance federale
I leader dei 27 Paesi dell’Unione europea hanno ufficialmente iniziato ieri a discutere il piano di rilancio proposto dalla Commissione per aiutare l’economia europea. Come era prevedibile, il Consiglio, l’ultimo in streaming, non è stato risolutivo. Ci si rivedrà a luglio a Bruxelles, faccia a faccia. Nessuno si aspettava un accordo sul Recovery Fund venerdì, e infatti i vari capi di Governo hanno sostanzialmente espresso le proprie posizioni di partenza. Al gruppo dei cosiddetti Paesi frugali – Olanda, Svezia, Danimarca e Austria – si è aggiunta anche la Finlandia. Il blocco di Visegrad invece ha perso Polonia e Slovacchia, ora schierate a favore della proposta della Commissione.
Qualche spiraglio positivo c’è stato. Il premier olandese Mark Rutte ha usato parole di elogio verso l’Italia, sottolineando di “guardare con favore allo spirito che sta ispirando il Governo nelle riforme”.
La stessa Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha giudicato positivamente l’incontro, affermando che i leader europei vogliono chiudere un accordo prima di agosto. Su questo punto, tutti i capi di Stato sono apparsi abbastanza allineati: “La Germania si impegna affinché si arrivi a un’intesa rapida”, ha dichiarato Angela Merkel al termine del summit. Anche il premier Giuseppe Conte ha sottolineato la necessità di fare in fretta: “Dobbiamo assolutamente chiudere l’accordo entro luglio. E dobbiamo assecondare gli sforzi della Commissione di rendere disponibili alcune risorse già per quest’anno”.
Su diversi elementi chiave del Recovery Fund – come l’ammontare di 750 miliardi, l’equilibrio tra sussidi (500) e prestiti (250) e la ripartizione dei fondi – le posizioni rimangono ancora distanti.
Alla fine delle quattro ore di videoconferenza, il Chairman del Consiglio europeo Charles Michel ha parlato di “consenso emergente”, ma ha avvertito di “non sottovalutare le divergenze” che restano tra i diversi Paesi.
Il tempo è una variabile non indifferente, come sempre in politica. Ma nemmeno era pensabile che in 20 giorni (tanti ne sono passati tra la proposta della Commissione e il Consiglio di venerdì) si varasse la più grande accelerazione politica verso una dimensione federale del progetto europeo.
Come si misura questa accelerazione? Semplice: siamo passati dal primo provvedimento urgente di eccezione al Patto di stabilità – che ha consentito all’Italia di mettere subito in pista 25 miliardi, mentre la Germania ne stanziava 500 – al Next Generation EU, secondo il quale le risorse destinate all’Italia sono quasi 200 miliardi, mentre alla virtuosa Germania ne spetteranno solo 30. Questo è esattamente il compito principale di una governance federale: riequilibrare gli impatti delle crisi che affliggono in modo ineguale aree diverse dell’Unione. Ed è quanto sta accadendo in Europa per la prima volta in 70 anni di storia, complice la decisiva uscita di Londra dall’Unione, che ha fatto perdere ai Paesi nordici un fondamentale riferimento politico.
E stiamo anche raddoppiando il budget Ue, portandolo dall’1 al 2% del Pil europeo, avviando finalmente il percorso verso quel 25% del Pil, tipico degli Usa, paradigma del federalismo efficiente.
I leader dei 27 Paesi dell’Unione europea hanno ufficialmente iniziato ieri a discutere il piano di rilancio proposto dalla Commissione per aiutare l’economia europea. Come era prevedibile, il Consiglio, l’ultimo in streaming, non è stato risolutivo. Ci si rivedrà a luglio a Bruxelles, faccia a faccia. Nessuno si aspettava un accordo sul Recovery Fund venerdì, e infatti i vari capi di Governo hanno sostanzialmente espresso le proprie posizioni di partenza. Al gruppo dei cosiddetti Paesi frugali – Olanda, Svezia, Danimarca e Austria – si è aggiunta anche la Finlandia. Il blocco di Visegrad invece ha perso Polonia e Slovacchia, ora schierate a favore della proposta della Commissione.
Qualche spiraglio positivo c’è stato. Il premier olandese Mark Rutte ha usato parole di elogio verso l’Italia, sottolineando di “guardare con favore allo spirito che sta ispirando il Governo nelle riforme”.
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