Per la prima volta un leader occidentale insieme ai “predatori che schiacciano la libertà di stampa”
Abdel Fattah al-Sisi, Presidente dell’Egitto; Bashar Al-Assad, Presidente della Siria; Carrie Lam, Chief Executive di Hong Kong. E ancora: Imran Khan, Primo Ministro del Pakistan; Jair Bolsonaro, Presidente del Brasile; Kim Jong-un, leader della Corea del Nord. Senza dimenticare Mohamed Bin Salman, Principe Ereditario dell’Arabia Saudita, Nicolás Maduro del Venezuela e, tra tanti altri, anche Viktor Orbán, Primo Ministro dell’Ungheria.
Una lista di nomi considerati pericolosi per la libertà di stampa da Reporter Senza Frontiere, lista alla quale ora viene associato per la prima volta un personaggio politico del mondo occidentale: una novità senza precedenti, che dà l’idea di quanto sta avvenendo nel Paese magiaro.
“Una lista non esaustiva”
“Ci sono adesso 37 leader da tutto il mondo nella galleria di predatori della libertà di stampa stilata da Reporter Senza Frontiere e nessuno può dire che sia esaustiva”, ha affermato il Segretario Generale dell’organizzazione, Christophe Deloire. “Ciascuno di questi predatori ha il proprio stile. Alcuni — prosegue l’esponente di Rsf — impongono un regno del terrore indicando ordini irrazionali e paranoici. Altri adottano con puntualità una strategia basata su leggi draconiane”.
Per l’organizzazione, “non possiamo lasciare che i loro metodi diventino la nuova normalità”, ma bisogna “fargli pagare il più alto prezzo possibile per il loro comportamento oppressivo”. Giovani leader e altri meno giovani, uomini e donne, dal Sudamerica all’Asia, dall’Africa all’Europa. Ed è qui che salta all’occhio qualcosa di mai accaduto: un leader di spicco del mondo occidentale, sempre più lontano dai minimi requisiti democratici richiesti dall’Unione europea, nella lista più negativa per la gestione della libertà di stampa, con Viktor Orbán a pieno titolo — secondo Rsf — campione della “democrazia illiberale”.
Perché Orbán
Per Rsf, grazie alle manovre economico-politiche e all’acquisto di aziende nel campo dell’informazione da parte di oligarchi vicini a Fidesz, il partito del Primo Ministro, ora l’80% del mondo dei media è di fatto sotto il controllo di Orbán. La fondazione Kesma detiene circa 500 media organizations pro-governative, mentre “le restanti strutture indipendenti sono discriminate, senza poter accedere alle informazioni ufficiali. I giornalisti sono sistematicamente denigrati dai media filo governativi, li chiamano fake news”.
La questione si aggrava per quanto avvenuto durante il Covid-19: una legge che contrasta le informazioni false ha creato un nuovo reato, ma il confine è talmente labile che con questa normativa si possono censurare i giornalisti accusati di diffondere fake news, specie quelli su posizioni diverse al Governo. “Queste tecniche si sono rivelate valide anche in altri contesti, dando ispirazione agli alleati di Orbán in Polonia e in Slovenia”.
Non a caso i rapporti tra l’Ue e l’Ungheria risultano ai minimi storici. Già espulso dalla famiglia centrista del Partito popolare europeo, Orbán continua ad allarmare le istituzioni europee, in ultimo con la normativa anti LGBTQ, appoggiata proprio da Varsavia e Lubiana. Un futuro grigio per il Paese magiaro, col rischio sempre più concreto di un addio a Bruxelles che avrebbe impatti estremamente negativi su tutta l’area.
Per la prima volta un leader occidentale insieme ai “predatori che schiacciano la libertà di stampa”