Il nuovo Presidente ha ribaltato la maggioranza ed estromesso Kabila, dopo 18 anni di potere. Brillante stratega, le sfide per Tshisekedi sono ancora molte
Il nuovo Presidente ha ribaltato la maggioranza ed estromesso Kabila, dopo 18 anni di potere. Brillante stratega, le sfide per Tshisekedi sono ancora molte
La Repubblica democratica del Congo (RdC) è afflitta da un’annosa crisi politica, che affonda le sue radici nell’ostinazione dell’ex Presidente Joseph Kabila di mantenere il controllo sulla nazione del Grandi laghi, dopo 18 anni di potere assoluto. Un’ostinazione che ha trascinato per lungo tempo l’ex colonia belga nel caos istituzionale contribuendo al rallentamento dell’economia e alla crescita dell’inflazione.
Nel rispetto dell’articolo 69 della vigente Costituzione congolese, promulgata nel febbraio 2006, che non permette di ricandidarsi per un terzo mandato, Kabila avrebbe dovuto lasciare il suo incarico il 20 dicembre 2016, ma ha continuato a governare fino al gennaio 2019 adducendo aleatorie ragioni di sicurezza.
Lo stallo istituzionale sembrava risolto dopo le ultime elezioni presidenziali del 30 dicembre 2018, che con la vittoria del candidato dell’opposizione Félix Tshisekedi hanno sancito la prima transizione pacifica di potere, da quando il Congo ottenne l’indipendenza dal Belgio nel 1960. Tshisekedi si è imposto sul “delfino” di Kabila, l’ex Ministro dell’Interno, Emmanuel Ramazani Shadary, che se fosse stato eletto avrebbe consentito al suo mentore di mantenere saldo il potere sul Paese africano.
Ciononostante, nel luglio 2019, Tshisekedi ha dovuto istituire un Governo di coalizione composto dal suo partito “Verso il cambiamento” (CACH) con il “Fronte comune per il Congo” (FCC), il partito di Kabila, che conservando ancora una netta maggioranza dei seggi in Parlamento imbrigliava i poteri del presidente.
La crisi politica
In questo clima di tensione e diffidenza, lo scorso 15 settembre, in occasione della riapertura dei lavori parlamentari, Joseph Kabila, diventato senatore a vita come previsto dalla Costituzione, ha deciso di fare il suo ritorno sulla scena politica congolese. Un ritorno compiuto con grande clamore che ha segnato una svolta importante nella politica nazionale, perché è evidente che Kabila intende influenzare direttamente il corso degli eventi in previsione delle prossime elezioni del 2023.
Come si evince dalla nomina di Rosard Malonda, a capo della Commissione elettorale nazionale indipendente (CENI), che è sempre stata al centro dell’intero processo di voto e dei tanti “dubbi” che hanno segnato tutti i passaggi nelle ultime elezioni. Una nomina decisa nel luglio scorso, quando l’Assemblea Nazionale era ancora dominata dai sostenitori dell’ex presidente, che potrebbe minare la credibilità delle prossime elezioni congolesi e ha causato violenti incidenti tra la polizia e migliaia di manifestanti riuniti dalla piattaforma Lamuka (che nella locale lingua lingala significa “Svegliarsi”), la principale alleanza dei partiti congolesi di opposizione.
Tshisekedi ha quindi cercato di correre ai ripari, mettendo in atto un’offensiva politica per porre fine alla coalizione con Kabila, che di fatto limitava la sua autorità. All’inizio di dicembre, il Presidente Tshisekedi ha avviato le consultazioni per creare la Sacra Unione della nazione, un’alleanza politica composta da venti partiti per mettere da parte il FCC e formare una nuova maggioranza parlamentare.
La rottura con il FCC ha avuto la sua conferma lo scorso 10 dicembre in Parlamento, con la destituzione di un elemento chiave del “sistema Kabila”: la Presidente dell’Assemblea nazionale, Jeannine Madumba, con un voto di sfiducia di 281 deputati su un totale di 500. Questo voto ha permesso a Tshisekedi di verificare l’esistenza di una nuova maggioranza e di dare l’incarico a Modeste Bahati Lukwebo, economista e senatore indipendente, di sondare l’effettiva possibilità di formare un nuovo Governo.
Le consultazioni intraprese da Lukwebo hanno individuato una nuova alleanza governativa, che si è concretamente espressa il 23 gennaio 2021, con la mozione di sfiducia votata dalla maggioranza dei parlamentari e senatori nei confronti del Primo Ministro pro-Kabila, Sylvrestre Ilunga Ilukamba. La rimozione di Ilunkamba è stata decisa lo scorso 27 gennaio dai 382 deputati dell’Assemblea nazionale presenti, che hanno approvato la mozione di censura con 367 voti favorevoli, sette contrari, due astensioni e uno nullo. Una maggioranza schiacciante ottenuta grazie al boicottaggio dei sostenitori pro-Kabila, che non hanno riconosciuto l’autorità costituzionale per approvare la mozione di sfiducia al Comitato di presidenza provvisorio dell’Assemblea nazionale.
L’indomani, Lukwebo ha presentato il suo rapporto al Presidente con la lista di 391 deputati aderenti alla nuova coalizione della Sacra Unione. Si è trattato di un vero e proprio rovesciamento delle parti nell’Assemblea nazionale, nella quale dopo le ultime elezioni l’ex Presidente Kabila si era assicurato più di 300 deputati su un totale di 500.
Quattro giorni dopo le dimissioni del Primo Ministro, è stato rimosso anche il Presidente del Senato, Alexis Thambwe Mwamba, colpito da uno scandalo finanziario per malversazione di fondi pubblici. L’uscita di scena di Tambwe ha decretato la caduta dell’ultimo baluardo del “sistema Kabila”, da troppo tempo al comando delle grandi istituzioni politiche del Paese.
È innegabile che sul piano politico Tshisekedi abbia mostrato una strategia e delle capacità, che fino a pochi mesi fa ben pochi avrebbero considerato vincenti. La sua iniziativa ha posto termine a una crisi di governo permanente e paralizzante per andare avanti con le riforme necessarie. Un indubbio successo che, lo scorso 6 febbraio, gli ha consentito di assumere da una posizione di forza la presidenza di turno dell’Unione africana.
Quale futuro per la Repubblica democratica del Congo?
Tuttavia, non poche incognite gravano sul futuro politico della seconda nazione più estesa dell’Africa. A partire, dalla capacità di governare della Sacra Unione, che ha il suo punto debole nell’essere formata in maggioranza da ex alleati di Kabila. Mentre non è ancora chiaro da chi sarà composta l’opposizione, visto che la strutturata piattaforma Lamuka si è ormai frantumata.
Oltretutto, lo scenario politico attuale non sembra accreditare nuove personalità per la costruzione del Paese, come dimostra l’età avanzata dei nuovi presidenti della Camera bassa e del Senato: il 79enne Christophe Mboso N’kodia Pwanga, in politica dal 1977, e l’84enne Leon Mamboleo Mughuba, che già nel lontano 1964 aveva ricoperto l’incarico di ministro della Giustizia nel Gabinetto di Moïse Tshombe. C’è poi da considerare, che la nuova alleanza della Sacra Unione, che adesso governa il Paese è scaturita da un rimescolamento politico, che lascia trasparire tutta la fragilità di una maggioranza basata su interessi personali e non su una visione comune per il bene pubblico. Per questo, potrebbe non avere ricadute concrete sulla popolazione, gran parte della quale vive ormai da anni al limite della sopravvivenza.
Il Presidente dovrà anche nominare un nuovo capo della CENI, al posto di Rosard Malonda, oltre a un nuovo Consiglio di amministrazione della Banca centrale: una condizione preliminare per ricevere dai donor internazionali l’assistenza finanziaria, sempre più vitale per il futuro della RdC. Compiti difficili da assolvere, anche tenendo conto del fatto che l’ex Presidente Kabila conserva ancora un’influenza su molte leve del potere, come la finanza, l’esercito e i servizi segreti. Resta dunque da vedere se Tshisekedi, pur avendo dimostrato di essere un abile stratega, sarà in grado di affrontare le sfide più impervie.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
Il nuovo Presidente ha ribaltato la maggioranza ed estromesso Kabila, dopo 18 anni di potere. Brillante stratega, le sfide per Tshisekedi sono ancora molte
La Repubblica democratica del Congo (RdC) è afflitta da un’annosa crisi politica, che affonda le sue radici nell’ostinazione dell’ex Presidente Joseph Kabila di mantenere il controllo sulla nazione del Grandi laghi, dopo 18 anni di potere assoluto. Un’ostinazione che ha trascinato per lungo tempo l’ex colonia belga nel caos istituzionale contribuendo al rallentamento dell’economia e alla crescita dell’inflazione.
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