Il Congo è uno degli stati più importanti del continente, per grandezza, risorse e effetti sulla stabilità della regione. Le elezioni sono cruciali perché garantiscono l’accesso alle posizioni di potere e quindi alle immense risorse dell’enorme Paese.
La rivista The Continent le ha presentate come le elezioni nello Stato più importante del mondo. E anche se la definizione può risultare più o meno condivisibile, a seconda dei punti di vista, di certo non è solo una provocazione. Oggi, mercoledì 20 dicembre la Repubblica Democratica del Congo si reca alle urne e ci sono svariate ragioni per osservare con attenzione quanto succederà, nel giorno del voto e nei mesi successivi.
L’importanza delle elezioni riflette prima di tutto la rilevanza del Congo. Non potrebbe essere altrimenti, per posizione e dimensioni: il Paese è situato al centro del continente africano ed ha una superficie di 2,3 milioni di chilometri quadrati, circa quattro volte la Francia. Al suo interno abitano circa 100 milioni di persone: giovanissime, se si considera che sono appena 44 milioni i congolesi che oggi andranno a votare. Infine, lo stato si distingue per le sue risorse naturali. Nel suo sottosuolo giace il 70% delle riserve mondiali di coltan. E tra i confini del Paese si estende la seconda foresta pluviale più vasta al mondo, dopo l’Amazzonia.
Basterebbero questi elementi a fare della Repubblica Democratica del Congo uno stato centrale nel panorama internazionale e del voto uno degli appuntamenti più importanti del 2023. Purtroppo, però, c’è molto altro. Innanzitutto, il Paese si trova in una situazione di sicurezza drammatica, con una serie di conflitti interni che vanno avanti dal momento dell’indipendenza, nel 1960. Oggi, in particolare, l’area orientale del Congo è attraversata da forti scontri: la regione del Nord Kivu è parzialmente in mano all’M23, una milizia ribelle sostenuta dal vicino Rwanda, mentre al confine con l’Uganda è attivo il gruppo ADF, legato all’Isis.
In generale, si può dire che il Congo rappresenti il più classico degli esempi di Paesi vittime della maledizione delle risorse. Oltre che di coltan, il sottosuolo congolese è ricchissimo anche di cobalto, oro, rame, uranio e diamanti. Ma questo ha fatto sì che la stabilità dello stato venisse messa in continuazione a dura prova dalla competizione per l’accaparramento delle risorse, che avviene sia all’interno del Paese, che da parte di compagnie e stati esteri. Inoltre, la ricchezza potenziale del Paese non ha portato in realtà nessun vantaggio ai suoi cittadini, anzi: il Pil del Congo è appena un quarto di quello della Nigeria, i due terzi della popolazione vivono al di sotto della soglia di povertà, la disoccupazione giovanile è stimata all’80% e nello stato ci sono 7 milioni di sfollati interni.
In questo contesto, sottolineano gli esperti, le elezioni sono cruciali perché garantiscono l’accesso alle posizioni di potere e quindi alle risorse. In questo modo si spiega l’altissimo numero di candidati: per il voto legislativo nazionale, provinciale e municipale si presenteranno in totale centomila persone. Ad essere candidati per la Presidenza, che viene assegnata in un unico turno a chi ottiene il maggior numero di voti, sono addirittura 19.
Tra questi, spicca il Presidente uscente, Felix Tshisekedi. Eletto in maniera estremamente discussa nel 2018, Tshisekedi corre per quello che sarebbe il suo secondo e ultimo turno ed è il grande favorito della vigilia. Nel corso dei suoi cinque anni alla guida del Paese, ha ottenuto risultati contrastanti. Non si è di certo battuto per combattere la corruzione, come aveva promesso, né tantomeno è riuscito nell’intento di fermare le violenze nelle regioni orientali. Nel Kivu, anzi, la situazione è peggiorata, e numerose organizzazioni per i diritti umani denunciano che il Presidente avrebbe sfruttato il caos per dare ampi poteri all’esercito e favorire una repressione dell’opposizione.
Allo stesso tempo, però, Tshisekedi ha ottenuto anche successi significativi. A livello internazionale è riuscito a ottenere il supporto della Banca Mondiale per un progetto educativo di 800 milioni di dollari, attraverso il quale si vuole offrire un’istruzione primaria gratuita ai bambini congolesi. Il Presidente ha ricevuto anche un aumento di fondi da parte del Fondo Monetario Internazionale, per alleviare gli effetti della pandemia. Infine, Tshisekedi è riuscito a costruirsi un’immagine positiva grazie agli attacchi al presidente Rwandese Paul Kagame, accusato di stare dietro alla destabilizzazione del Paese, e ai tentativi di rinegoziare alcuni accordi minerari con la Cina.
Se però Tshisekedi è il principale favorito per il voto in Congo, questo è dovuto anche ad altri fattori, in primis il fatto che l’opposizione non sia riuscita a trovare un accordo. Gli sfidanti principali sono Moïse Katumbi, un tempo strettissimo alleato del Presidente, e Martin Fayulu, colui che reclama di essere il legittimo vincitore delle ultime elezioni. Ci sarebbe poi il premio Nobel per la Pace Denis Mukwebe, ma la sua candidatura sembra aver attirato più attenzione all’estero che non in Congo.
Ad aiutare Tshisekedi c’è anche il fatto che Unione Europea e Stati Uniti non sembrano intenzionati a condannare con forza eventuali brogli, in nome della stabilità, come fatto del resto nel 2019. A loro, denuncia The Continent, basta che il Congo continui a produrre coltan, e che la sua foresta pluviale continui a crescere.
L’importanza delle elezioni riflette prima di tutto la rilevanza del Congo. Non potrebbe essere altrimenti, per posizione e dimensioni: il Paese è situato al centro del continente africano ed ha una superficie di 2,3 milioni di chilometri quadrati, circa quattro volte la Francia. Al suo interno abitano circa 100 milioni di persone: giovanissime, se si considera che sono appena 44 milioni i congolesi che oggi andranno a votare. Infine, lo stato si distingue per le sue risorse naturali. Nel suo sottosuolo giace il 70% delle riserve mondiali di coltan. E tra i confini del Paese si estende la seconda foresta pluviale più vasta al mondo, dopo l’Amazzonia.