L’annuncio è stato dato dal vice premier Yuri Borisov e lancia un chiaro segnale di disimpegno agli Stati Uniti e agli altri Paesi occidentali
La fine dell’esperienza collaborativa tra la Russia e le altre nazioni che gestiscono la Stazione Spaziale Internazionale potrebbe arrivare nel 2025, con Mosca intenzionata ad abbandonare il progetto a causa dell’obsolescenza dei moduli in orbita e la volontà di autonomia per le esplorazioni future. L’annuncio dato dal vice Primo Ministro Yuri Borisov detta i tempi dell’agenda moscovita per lo spazio e lancia un chiaro segnale di disimpegno a Stati Uniti e altri Paesi occidentali, con i quali i rapporti sono ormai logori, tra sanzioni e accuse reciproche.
Il perché dell’abbandono
Già Borisov, nella giornata di domenica nel corso di un’intervista sul canale Rossiya-1, aveva anticipato le motivazioni della fine dell’interesse russo verso l’Iss, citando espressamente i malfunzionamenti dei moduli che dal 1998, anno del lancio, ospitano gli astronauti di Roscosmos, Nasa, Agenzia Spaziale Europea, Jaxa del Giappone e Csa-Asc del Canada.
A più di 20 anni dall’avvio dell’esperienza internazionale, l’Iss mostra tutti i segni dell’uso e del consumo nello spazio, con i cosmonauti che solo un mese fa si sono adoperati per sistemare delle rotture nel modulo russo. Per Mosca, sono necessari dei controlli serrati sull’apparecchiatura nello spazio: “Per evitare rischi d’incidenti, è necessario portare a compimento delle ispezioni tecniche. Dopodiché, sarà opportuno prendere delle decisioni”, ha affermato Borisov.
Eppure, il capo dell’agenzia spaziale russa Roscosmos Dmitry Rogozin non ha utilizzato toni che lasciano intendere uno sbrigativo abbandono dell’Iss ma, piuttosto, ha specificato che il modulo russo esistente progettato per l’International Space Station potrebbe essere trasformato in stazione autonoma. Ma i tempi sono lunghi in questi casi, tanto che lo stesso Rogozin ha aggiunto che “le pause sono mortali per i viaggi dell’uomo nello spazio”, riferendosi dunque all’esigenza di continuare sui programmi attuali, senza necessariamente ritardare i nuovi.
Scelta geopolitica?
I vantaggi portati dalla Stazione Spaziale Internazionale possono essere letti più in chiave diplomatica che scientifica: è probabilmente questa la più grande vittoria dell’Iss, che con la fine della Guerra Fredda ha permesso l’unità d’intenti tra quelli che un tempo erano Paesi di blocchi contrapposti. Attualmente la retorica dello scontro è tornata in auge, ma anche le singole azioni di politica internazionale, così come quelle relative allo spazio.
Solamente lo scorso anno Donald Trumpfirmò un ordine esecutivo che apre al commercio spaziale, incoraggiando così le imprese private all’esplorazione e allo sfruttamento delle risorse sulla Luna. La Russia, proprio tramite Roscosmos, affermò che la decisione statunitense danneggia la cooperazione internazionale nell’outer space e “confligge con la nozione di spazio che appartiene all’umanità”. Quello degli Stati Uniti, per Roscosmos, è un “tentativo di espropriazione e un piano aggressivo per impadronirsi di territori su altri pianeti”.
Recentemente, la Russia ha avviato un nuovo progetto con la Cina per la creazione di una stazione sulla Luna, l’International Lunar Research Station. Fuori la Nasa, che ha ricevuto il no moscovita per un altro progetto lunare, Artemis Accord, proposto dall’amministrazione repubblicana e confermato da quella democratica in carica. Le tensioni terrestri si sono ora spostate nello spazio.
L’annuncio è stato dato dal vice premier Yuri Borisov e lancia un chiaro segnale di disimpegno agli Stati Uniti e agli altri Paesi occidentali
La fine dell’esperienza collaborativa tra la Russia e le altre nazioni che gestiscono la Stazione Spaziale Internazionale potrebbe arrivare nel 2025, con Mosca intenzionata ad abbandonare il progetto a causa dell’obsolescenza dei moduli in orbita e la volontà di autonomia per le esplorazioni future. L’annuncio dato dal vice Primo Ministro Yuri Borisov detta i tempi dell’agenda moscovita per lo spazio e lancia un chiaro segnale di disimpegno a Stati Uniti e altri Paesi occidentali, con i quali i rapporti sono ormai logori, tra sanzioni e accuse reciproche.
Il perché dell’abbandono
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