Nella regione africana la popolazione odia le democrazie corrotte e incapaci post-colonialiste e filo-occidentali; per questo motivo la Russia si candida come alternativa, ideologica e militare
Mariupol, Nikolaev, Leopoli, Bucha, il Donbass. Chi conosceva questi nomi fino a poche settimane fa? Sembravano appartenere a un mondo che molti mai avrebbero incrociato. Luoghi che la guerra della Russia in Ucraina ha reso invece una consuetudine per tutti noi.
Non ci sarà presto una guerra altrettanto clamorosa da rendere nuovi luoghi così familiari al grande pubblico come è stato per l’Ucraina. Ma c’è un’altra regione del mondo che si affaccerà sempre di più nel racconto dei destini italiani ed europei: è il Sahel. La grande fascia di Paesi africani semi-desertici che si stende immediatamente sotto il Nord Africa e che per mille motivi da anni è diventata un confine pericoloso dell’Europa e soprattutto dell’Italia.
Anche questa regione vede un protagonista geopolitico principale che è diventato il primo pericolo per la sicurezza europea, ovvero la Russia di Vladimir Putin con le sue manovre politico-militari. Mosca è entrata nel Sahel ormai da anni, e la sua presenza non è massiccia come quella ai confini dell’ex Urss, ma è profonda, ben costruita nel tempo e soprattutto minacciosa per l’Europa.
Partiamo da quanto i russi e gli europei hanno trovato nel Sahel in questi anni. Negli ultimi mesi la regione è stata definita la “fascia del colpi di Stato”: due golpe militari in Mali in pochi mesi. Uno in Guinea Conakry, poi in Ciad, per non parlare del Sudan (che è ai margini del Sahel) e poi l’ultimo golpe, quello del gennaio 2022 in Burkina Faso. Tutta l’area del Sahel è in evoluzione clamorosa. Con una decisione drammatica e simbolica la Francia è stata costretta a reagire dopo le scelte della giunta militare del Mali: Parigi ha deciso di ritirare la sua missione militare antiterrorismo jihadista quando la giunta guidata dal colonnello Assimi Goita prima ha assoldato i mercenari russi della Wagner per combattere i terroristi, e poi ha espulso l’ambasciatore francese dopo una serie di dichiarazioni aggressive del ministro degli Esteri di Parigi Le Drian. Esce Parigi, entra Mosca.
Iniziamo riassumendo alcuni elementi sotto gli occhi di tutti: nel Sahel (Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad), in tutte le ex colonie francesi da anni sono in crescita sentimenti e movimenti politici antifrancesi. Queste difficoltà sono state l’occasione per la Russia di mettere in piedi un suo progetto di espansione politica costruito con pazienza certosina nel tempo.
Per ragioni dovute alle difficoltà delle operazioni militari contro i jihadisti e alla crescita di una sorta di “populismo africano”, le deboli e corrotte leadership democratiche della regione sono entrate in crisi. Ovunque i militari si sono presentati come la “soluzione”, e così vengono percepiti dalle popolazioni: la risposta possibile alla povertà, alla siccità, alla minaccia terrorista. L’uomo o la giunta forte è la soluzione alternativa a una “risposta della democrazia” che ha portato al potere gruppi corrotti ma soprattutto incapaci.
Ovunque, ma soprattutto in Mali, i denominatori comuni sono questi. Primo elemento: l’insuccesso quasi definitivo dell’opzione militare per sconfiggere il terrorismo/banditismo jihadista. Con la Francia che da anni ha schierato militari nella regione e ha coordinato gli eserciti africani alleati per combattere i terroristi. Ma ha poi perso lucidità nel capire cosa accadeva in quei paesi. Ha perso progressivamente capacità di reagire alle sfide (non bastava una risposta militare, era necessaria una risposta politica alle richieste e alle proteste delle popolazioni). E adesso è costretta a ritirare i suoi soldati dal Mali, lo stato in cui più forte era la presenza militare anti jihadisti.
Secondo elemento: sobillata da una vigorosa penetrazione della Russia, l’insofferenza delle popolazioni è salita a un livello di guardia. Da anni giravano anche in Europa video di manifestazioni di piazza organizzate da gruppi africani filorussi in Niger, in Mali, in Burkina. Le foto di Putin, la bandiera russa, i cartelloni con “viva l’amicizia con la Russia” erano esibiti da manifestanti ben organizzati. Agenti russi, lavorando molto anche su Facebook e sui social, frequentatissimi in tutta la regione, hanno aiutato a consolidare una corrente potente contro il post-colonialismo francese.
Terzo elemento, l’ingresso intelligente ed efficace della Russia, con i contractors della Wagner, ma anche con diplomatici raffinatissimi che arrivano direttamente da Mosca nelle capitali della regione. Il tutto all’interno di un disegno politico apparentemente ardito, ma che Mosca finora ha seguito con efficacia.
La Francia non ha capito che l’operazione militare contro i jihadisti aveva costi crescenti fra la popolazione, per le famiglie dei militari degli eserciti locali vittime dei terroristi. La Russia è stata abile nel fomentare in quelle popolazioni (innanzitutto di Mali e Burkina) un sentimento antifrancese e anticoloniale sempre più potente. Un sentimento che porta la folla in strada ad esultare dopo ogni colpo di Stato militare. “Via la Francia, viva la Russia” scrivono sui loro cartelli a Bamako o Ouagadougou.
Da quando nell’agosto del 2021 i militari in Mali hanno messo in piedi un secondo colpo di Stato dopo quello dell’agosto 2020 che aveva lasciato in piedi alcune strutture democratiche, la giunta militare ha stretto in maniera totale i legami con la Russia. Di recente un evento drammatico ha visto Mali e Russia diventare di fatto complici in quella che è stata la peggiore strage di civili nel paese da quando una decina di anni fa è partita la sfida dei jihadisti. Nella cittadina di Moura, 10 mila abitanti al centro del paese, le Forze armate del Mali (Fama) e i miliziani della Wagner russa per 3 giorni hanno circondato case e capanne e hanno condotto rastrellamenti e uccisioni sommarie che avrebbero fatto fra i 300 e i 500 morti.
La Francia ha portato immediatamente il caso di Moura al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, chiedendo l’apertura di una inchiesta indipendente. Ma Russia e Cina hanno messo il veto a una decisione del Consiglio. Confermando che anche in Africa l’alleanza fra Mosca e Pechino è molto solida e minaccia di fare molta strada. Un diplomatico dell’Unione europea nella regione fa notare che “proprio nel Sahel, e in generale in Africa, Mosca e Pechino si completano in maniera efficace. I cinesi arrivano con soldi e finanziamenti pronta cassa, comprano tutto. I russi arrivano col sostegno militare: insieme i due paesi lavoreranno efficacemente.”
Le dinamiche interne alla enorme regione del Sahel assumono una dimensione ancora più rilevante se torniamo a metterle in relazione con quanto è accaduto in Ucraina. L’invasione russa in Ucraina è stata un’accelerazione, in un senso e nell’altro: da una parte i paesi europei si sono uniti sempre di più all’America, agli altri Stati “occidentali” nel mondo (Australia, Giappone, Taiwan) contro le politiche di Putin. Ma dall’altro la guerra ha fatto emergere ancora di più il sentimento antifrancese nel Sahel che diventa antieuropeo e antioccidentale, e che si diffonde velocemente in molti paesi e fra molti leader politici in tutta l’Africa.
C’è un famoso politico radicale di sinistra in Sudafrica, Julius Malema, un militante che arringa i suoi sostenitori con il basco rosso da combattente antioccidentale. “Noi diciamo agli americani che non siamo più con loro e con la Nato. Noi siamo con la Russia e vogliamo ringraziare la Russia. Date una lezione alla Nato! Noi abbiamo bisogno di un nuovo ordine mondiale, siamo stanchi di ricevere ordini dagli americani”. Kemi Seba, un altro militante panafricano franco-beniniano, dice che “Putin vuole recuperare il terreno perduto. Sulle sue mani non c’è il sangue della schiavitù e neppure quello della colonizzazione. Io preferisco Putin, anche se non è il mio messia, a tutti i presidenti occidentali e a tutti i maledetti, corrotti presidenti africani”.
Ovunque su YouTube si moltiplicano canali che non fanno altro che colpire la Francia, l’America, l’Occidente. E l’influenza russa in Mali, in Burkina Faso, in tutto il Sahel è in espansione. L’Africa guarda con benevolenza alla Russia di Putin. Tutti capiamo che anche per questo il Sahel sarà più importante che mai. Impareremo i nomi di nuovi luoghi sulle carte della geopolitica.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
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Non ci sarà presto una guerra altrettanto clamorosa da rendere nuovi luoghi così familiari al grande pubblico come è stato per l’Ucraina. Ma c’è un’altra regione del mondo che si affaccerà sempre di più nel racconto dei destini italiani ed europei: è il Sahel. La grande fascia di Paesi africani semi-desertici che si stende immediatamente sotto il Nord Africa e che per mille motivi da anni è diventata un confine pericoloso dell’Europa e soprattutto dell’Italia.