Perché l’omicidio di Abe ha turbato non solo il Giappone ma la comunità internazionale
Il leader più longevo della storia giapponese ha trasformato il suo Paese, rendendolo più partecipe alle grandi questioni internazionali. Avrebbe voluto anche riformare la Costituzione imposta dagli Usa nel dopoguerra
L’ex Primo Ministro del Giappone Shinzo Abe è morto stamattina in un attentato durante un comizio nella città di Nara: aveva 67 anni. A ucciderlo è stato un ex soldato delle Forze di autodifesa navali (una sorta di marina militare), che gli ha sparato con una pistola artigianale. Le motivazioni dell’uomo, mentre scriviamo, non sono però chiare.
L’assassinio di Abe ha ovviamente turbato la comunità politica internazionale e la società giapponese, per due motivi principali. Il primo è che in Giappone ci sono pochissimi crimini con armi da fuoco (e pochi reati in generale) per via di regole molto restrittive sul loro possesso e di aspetti culturali. Il secondo è che Shinzo Abe è stato probabilmente il politico più importante nella storia recente del Paese: è stato Primo Ministro dal 2006 al 2007 e poi dal 2012 al 2020 – un periodo lunghissimo, per gli standard giapponesi – e ha continuato a esercitare una forte influenza sugli affari nazionali anche dopo le sue dimissioni, per motivi di salute.
Abe, ha scritto l’Economist, ha “trasformato il suo Paese”: lo ha reso più partecipe alle grandi questioni internazionali, ha elaborato un’ambiziosa dottrina economica (la cosiddetta “Abenomics”) per stimolare la ripresa dalla stagnazione; ha insistito perché il Giappone si dotasse di maggiori capacità di difesa, distanziandosi dalla linea pacifista tenuta dalla fine della Seconda guerra mondiale. La sua visione di politica economica, estera e securitaria è stata sostanzialmente ripresa dall’attuale Primo Ministro Fumio Kishida, membro dello stesso partito (il Partito liberaldemocratico, di orientamento conservatore) e già Ministro degli Esteri dal 2012 al 2017.
Abe non è riuscito però a realizzare quello che forse era il suo obiettivo principale: riformare la costituzione del Giappone – imposta dagli americani dopo la Seconda guerra mondiale –, il cui articolo 9 impedisce al Paese di avere un esercito vero e proprio e di dotarsi di capacità militari offensive. Nel 2015, dopo aver autorizzato le truppe giapponesi a partecipare a missioni all’estero, è stato contestato tramite grandi manifestazioni pubbliche.