A trent’anni dalla riunificazione, i territori e le infrastrutture della ex DDR stanno attirando
investimenti plurimiliardari delle multinazionali high-tech americane e cinesi, avvicinando i centri di produzione al mercato di maggior consumo
A Intel stendiamo un tappeto rosso, e va bene così”. Usa queste parole Falko Grube, il sindaco della città della Germania nord-orientale Magdeburg, per commentare l’arrivo della multinazionale statunitense specializzata nella produzione di semiconduttori. Come annunciato nella primavera di quest’anno, la società investirà circa 17 miliardi di euro per la creazione di due enormi fabbriche di microchip nello stato della Sassonia Anhalt. Secondo le intenzioni di Intel, le operazioni potrebbero cominciare già l’anno prossimo e dovrebbero portare alla creazione di oltre 10mila posti di lavoro.
Quello di Intel non è un caso isolato, nella zona: tra l’area di Magdeburg e il vicino Brandeburgo abbondano i progetti di grandi stabilimenti legati a multinazionali. Il più noto è senza dubbio quello della Gigafactory Tesla, una enorme fabbrica voluta da Elon Musk a Grünheide, alle porte di Berlino. Qui, l’azienda americana leader nel settore della mobilità elettrica ha deciso di creare la sua prima industria su suolo europeo. Un progetto che ha attirato una forte attenzione, a causa della sua grandezza: a pieno regime, la Gigafactory dovrebbe produrre 500mila auto elettriche ogni anno, oltre a milioni di batterie, occupando 12mila lavoratori. Numeri rilevanti, che spiegano l’interesse mostrato dalle istituzioni: all’inaugurazione della fabbrica, avvenuta a fine marzo, erano presenti il Cancelliere Olaf Scholz e il Ministro dell’Economia e Clima Robert Habeck.
Nella vicina Turingia, la società cinese CATL sta ultimando uno stabilimento per la fabbricazione di batterie. Batterie che potrebbero essere riciclate in Brandeburgo, secondo i piani della compagnia tedesca BASF. Sempre in questa regione, al confine con la Polonia, sorgerà la maggiore raffineria di litio a livello europeo, gestita dal gruppo tedesco-canadese Rock Tech. “Il nostro arrivo chiude un buco – spiega il CEO della multinazionale, Markus Brügmann -. Qui hai tutto, dalla produzione di auto elettriche fino a quella di accumulatori, ma mancava la produzione di litio. Strategicamente, quindi, siamo nel posto giusto, circondati da potenziali clienti”.
Gli investimenti hi-tech nell’Est della Germania
L’arrivo di grandi multinazionali e di investimenti plurimiliardari può essere visto come un fenomeno sorprendente, per la natura delle aree interessate. Tesla, Intel e le altre compagnie hanno infatti scelto di utilizzare le proprie risorse per creare stabilimenti di cruciale importanza nelle regioni della Germania orientale, fino al 1990 appartenenti alla DDR. Andando a invertire una tendenza. Questo territorio è stato colpito da una forte deindustrializzazione a partire dalla riunificazione tedesca: molte delle ex industrie di stato sono fallite, non riuscendo a competere nel libero mercato, altre sono state rilevate da gruppi della Germania occidentale o hanno spostato la propria produzione in regioni più ricche e moderne. Le difficoltà dell’industria sono proseguite anche negli anni successivi a causa del persistente divario tra Est e Ovest, nonostante i tentativi di rendere le regioni orientali più economicamente attrattive.
A trent’anni dalla riunificazione, questi territori si sono invece scoperti ideali per l’arrivo delle grandi industrie. In particolare, l’area ha attirato l’attenzione del settore high tech e di quello automobilistico, tanto da far parlare politici ed economisti locali di “Nuova Silicon Valley” o “Auto Valley” per riferirsi al Brandeburgo.
L’arrivo di numerosi investimenti nell’Est della Germania non rappresenta un fenomeno casuale, a partire dal momento storico in cui questo è cominciato. In un’epoca segnata da un alto grado di globalizzazione e dalla presenza di filiere di produzione sempre più lunghe, le grandi aziende sono state sorprese e colpite dalla pandemia di Covid-19. Le restrizioni dovute alla necessità di controllare il virus hanno portato a un rallentamento del commercio globale e alcune regioni hanno addirittura fermato le attività economiche per un certo periodo, portando a un congestionamento e a un ritardo nel rifornimento di materie prime o componenti. Le multinazionali hanno così avvertito la necessità di accorciare le filiere di produzione e, quindi, di tornare a produrre in aree dove hanno una forte fetta di mercato – l’Europa su tutte – nonostante questo comporti costi maggiori. La guerra in Ucraina, quest’anno, non ha fatto altro che rafforzare questa tendenza.
Perché proprio in Germania?
Se gli investimenti si sono concentrati nelle regioni della Germania orientale è perché questo territorio presenta una serie di vantaggi. A partire dalla presenza di spazi: per creare enormi stabilimenti le aziende hanno bisogno di vaste aree libere, più facili da trovare in queste regioni rurali e scarsamente abitate, che non nel resto del Paese. Il territorio, poi, è dotato di una rete moderna ed efficiente di infrastrutture, sia energetiche che legate ai trasporti. Alcune aree, ora vuote, ospitavano centri industriali prima della caduta del Muro e sono quindi attrezzate. Altre hanno beneficiato del Verkehrsprojekte Deutsche Einheit, un programma attraverso cui il governo federale ha investito 38 miliardi di euro, dal 1990 ad oggi, per lo sviluppo di strade e ferrovie nella ex DDR.
In un’area in cui le industrie sono poche, le multinazionali sono anche attratte dalla possibilità di poter attingere tra i migliori talenti dell’Est, per i ruoli di rilievo. Ora queste persone sono spesso costrette a migrare a Ovest, per trovare occupazioni degne della propria formazione. Le multinazionali si pongono come l’alternativa più valida e si trovano quindi anche nella posizione di poter influenzare scuole e università, perché formino i lavoratori di cui loro necessitano e investano nella ricerca in questi campi. Non a caso, l’arrivo di Intel e Tesla è stato accompagnato da accordi con gli enti di istruzione circostanti. Infine, fondamentale per la scelta di investire qui è la volontà politica di attrarre grandi investimenti, perché trainino l’economia della zona: questo si traduce in incentivi pubblici e in un alleggerimento della burocrazia per chi arriva.
Quanto è sostenibile?
Pur festeggiati come successi a tutto tondo, gli investimenti delle multinazionali nella Germania orientale presentano più di un lato oscuro. Per quanto riguarda l’attenzione verso l’ambiente, soprattutto. Un caso emblematico è quello di Tesla: presentatasi come un modello virtuoso di sostenibilità, in quanto impegnata nella produzione di auto elettriche, l’azienda ha in realtà attirato le critiche delle associazioni ambientaliste per quanto fatto nei pressi di Berlino. Per costruire la Gigafactory sono stati rasi al suolo 300 ettari di bosco, senza aspettare le autorizzazioni necessarie; ora Tesla vuole ampliare la propria superficie, chiedendo però il permesso di utilizzare un’area protetta. Anche i progetti di Intel comportano un consumo di suolo non indifferente: la fabbrica di semiconduttori sorgerà in un’area ora coperta da campi coltivati, tra l’altro in una delle zone più fertili della Germania.
Esistono problematiche serie anche per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse idriche. La sola Gigafactory Tesla ha bisogno di 1,4 milioni di metri cubi d’acqua ogni anno, per il funzionamento delle presse, la verniciatura e la produzione di batterie. Si tratta di una quantità enorme, pari al fabbisogno di una città di 40mila abitanti, che contrasta necessariamente con la realtà circostante. La regione in cui la fabbrica sorge è infatti una delle più aride della Germania e i problemi di siccità sono diventati più severi negli ultimi anni, a causa del cambiamento climatico. Da più parti è stato perciò lanciato l’allarme: esiste il rischio che l’acqua scarseggi e che questo porti a un razionamento, obbligando a scegliere tra restrizioni per i cittadini o per il settore industriale. Di certo, già ora, le risorse idriche non bastano per chiunque voglia investire sul territorio. A pochi chilometri da Berlino doveva nascere un data center di Google, progetto che si è interrotto con l’arrivo di Tesla: la disponibilità d’acqua non era sufficiente per entrambi.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
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A Intel stendiamo un tappeto rosso, e va bene così”. Usa queste parole Falko Grube, il sindaco della città della Germania nord-orientale Magdeburg, per commentare l’arrivo della multinazionale statunitense specializzata nella produzione di semiconduttori. Come annunciato nella primavera di quest’anno, la società investirà circa 17 miliardi di euro per la creazione di due enormi fabbriche di microchip nello stato della Sassonia Anhalt. Secondo le intenzioni di Intel, le operazioni potrebbero cominciare già l’anno prossimo e dovrebbero portare alla creazione di oltre 10mila posti di lavoro.