Alcuni recenti fatti di cronaca, tra cui gli attentati di Parigi e Tunisi e la questione degli ostaggi in mano al sedicente Stato Islamico – con lo spinoso problema delle trattative per la loro liberazione -, hanno dato vita sul web a un dibattito tanto amplio quanto confuso, fino a sfociare in episodi di manifesta intolleranza celati dietro l’anonimato virtuale. Nel tentativo di fare chiarezza proponiamo una riflessione sul modello di comunicazione dei social network e sul rapporto tra democrazia e libertà di opinione.
Secondo i più importanti centri d’analisi e d’intelligence si può considerare come certo e verificato il fatto che la diffusione dei social media favorisca la radicalizzazione. Individui provenienti da ceti sociali e ambienti urbani tra i più diversi possono aderire alle ideologie estremiste anche senza venire in contatto diretto con i gruppi che le applicano rappresentando in ogni caso un reale pericolo per la sicurezza. Questi, indicati dai mass media come “lupi solitari”, agiscono soli e spesso in maniera imprevedibile, il che rende arduo il lavoro degli inquirenti. Prima di essere un lupo solitario costui è però passato attraverso una fase precedente – che non per forza degenera ma ne rappresenta l’incubatore – che possiamo chiamare del “narcisista solitario”.
Stare comodamente a casa davanti a uno schermo condanna a una crescente solitudine aggravata dalla mancata coscienza del fatto che se da una parte si è costantemente connessi alla community, dall’altra prevale una forma di alienazione che relega l’individuo alla mera dimensione virtuale. In altre parole, quello che avviene sui social non è propriamente un dialogo in quanto manca di una reale controparte. A questo si aggiunge poi che lo schermo è qualcosa che ci sta di fronte e che somiglia più a uno specchio che a un utensile. Il particolare meccanismo di fruizione e la tendenza del soggetto a stare solo rimanda a una perversa forma narcisismo, quella che secondo il sociologo Christopher Lasch rappresenta uno dei cardini della società postideologica che ha proprio nel narcisista – colui la cui “percezione di sé dipende dall’approvazione di altre persone, di cui tuttavia non gli importa nulla” – l’attore principale.
Il narcisista solitario, pur senza raggiungere livelli di indottrinamento né di attuazione pratica del “lupo”, rappresenta il primo stadio di un potenziale pericolo. Costui, spesso animato da una fede incrollabile nelle proprie teorie, è quasi del tutto privo di dubbi: da un lato il suo essere vanesio impedisce la formazione di un benché minimo spazio critico, dall’altro, la sua condizione di individuo “solo” limita la reale condivisione comunitaria del proprio pensiero, poiché l’esposizione assume un carattere prettamente unidirezionale. Si tratta di un modello cognitivo che tramite un’estrema semplificazione mira a dare un significato e un senso a una realtà enormemente complessa e in continua mutazione.
Dal punto di vista epistemologico gli eventi che si susseguono a ritmi elevati creano nell’osservatore una necessaria distorsione – una sorta di effetto Doppler – cui occorre tenere conto nel momento in cui ci si presta a interpretarli e farli nostri. Proprio come nel caso del fischio del treno che altera la percezione della sua tonalità passandoci accanto, i fatti del mondo globalizzato corrono mentre noi li osserviamo fermi davanti a un monitor. Come per il treno, se non conosciamo le leggi che regolano gli eventi complessi i nostri sensi rischiano di trarci in inganno forzando una semplificazione cognitiva.
Il mondo tende sempre più a ridursi a quello che ci appare sul monitor e noi ci illudiamo che sia giudicabile – in senso kantiano – attraverso una morale manichea. Possiamo allora comunicare il nostro apprezzamento a quello che ci rassicura e criticare senza mezzi termini tutto ciò che non ci piace o non è in linea con le nostre idee. In altre parole diveniamo palesemente quanto incoscientemente intolleranti. Anche il narcisista, come il “lupo”, manifesta infatti un certo livello di opposizione cieca nei confronti della società o di alcune sue caratteristiche: si tratta di un insieme di sentimenti contrastanti, ma piuttosto basilari, che spaziano dalla critica del sistema economico globale alle ansie per l’operato del proprio governo, ritenuto sempre più ostile e distante dalla vita “reale della popolazione”.
Oltre che da una mancata coscienza epistemologica, il disorientamento del narcisista solitario nasce da un superficiale quanto radicato errore di valutazione. L’accesso costante e immediato a una serie di informazioni non rende affatto liberi, come invece buona parte dei partigiani di internet e dei social network continua a ripetere. Questo perché tendiamo a confondere l’informazione con la conoscenza: mentre la prima è un mero accumulo di dati, la conoscenza necessita di un’ermeneutica che poggia su solide basi storiche e morali formatesi attraverso un lavoro culturale che necessita di tempo e fatica. Che l’informazione non basti è evidente: gli antichi greci, e i così i romani, non avevano gap informativi rispetto agli schiavi che componevano la loro società ma mancavano della cultura etica che permettesse loro di comprendere che la schiavitù è una grave mancanza di umanità – lo stesso vale per la condizione femminile e per molti altri fatti sociali che oggi diamo per scontati. E possiamo darli per scontati perché la cultura del rispetto e dell’uguaglianza, che si è formata nel tempo, si è radicata e diffusa attraverso istituzioni come la scuola dell’obbligo – i paradossi delle parole, quando “obbligo” ha un valore innegabilmente positivo e diventa un baluardo della libertà – e non esclusivamente in quanto le informazioni hanno circolato più velocemente e senza censura.
Quando nel 1997 il noto giornalista statunitense Jon Katz pubblicava su Wired un elogio del “cittadino virtuale”, il cui futuro sarebbe stato senz’altro roseo, interpretava lo smarrimento culturale post guerra fredda e l’esponenziale commercializzazione dell’informazione come ostacoli superabili tramite il nuovo razionalismo virtuale del cittadino pronto a esprimersi liberamente attraverso la rete, facendone, pertanto, il primo sostenitore e difensore delle libertà civili. A distanza di diciotto anni siamo arrivati al punto di prendere in considerazione il blocco dei commenti su blog e social media, tanto risulta evidente, e in aumento, la degenerazione qualitativa dell’agorà web.
Come si è giunti a ciò? Cui prodest? L’entrata dei mezzi d’informazione su piattaforme social li ha formalmente obbligati al gioco del “soldi in cambio di click”. Questa sostanziale condanna unita, in primis in Italia, alla crescente povertà economica delle grandi testate (meno giornalisti professionisti in giro per il mondo, più freelance incontrollabili e più outsourcing nella gestione dei propri profili) ha via via indicato ai media la strada per incrementare il proprio pubblico. L’atomizzazione sociale rinvigorita dalla rete ha reso più facile l’adozione da parte dei media di messaggi forti, radicali, le classiche “sparate grosse”, le cui puntuali smentite hanno decisamente un’eco inferiore. Argomenti quali la crisi economica, la cattiva politica dei governi, la minaccia più o meno latente di movimenti radicali quali lo “Stato Islamico” si adattano perfettamente allo scopo. Il narcisista solitario ben si presta a ricevere una spinta emozionale, fin demagogica, perché questa tocca le corde emotive che sollecitano e alimentano la sua frustrazione di fondo. La volontà di gridare al mondo la propria verità supera allora qualsiasi necessità di comprendere e la libertà trova fondamento non tanto sulla necessità di esternare ogni propria idea, quanto sulla possibilità di non dare una necessaria motivazione. Questo perché mentre la conoscenza rende autonomi, l’informazione massifica: tanto la conoscenza concorre alla democrazia, quanto la mera informazione partecipa al quel complesso discorso di omologazione che è l’esatto contrario della libertà di opinione. In questo senso vanno intese le provocatorie parole di Jacques Derrida “il giornalismo non informa sui fatti, o dei fatti, ma informa i fatti”.
Gli strenui difensori dei social, in nome del loro narcisismo e di una ideologica quanto contorta difesa della libertà di espressione, concorrono a togliere lettori alla letteratura critica – che necessita di tempo e denaro per essere realmente tale. Ma la responsabilità degli utenti è limitata. Sarebbe assurdo pensare a una forma di censura, piuttosto andrebbero indagate le conseguenze reali della diffusione, in nome della libertà di opinione, di un pensiero superficiale e qualunquista. Per questi motivi riteniamo che l’analisi e la critica culturale sia un’arma fondamentale nella difesa dei principi democratici e che la messa in discussione dei modelli consolidati e dello status quo sia la condizione necessaria per farlo nel modo più efficiente e produttivo.
A volte proprio quello che appare censorio indica la lunga e tortuosa strada per la libertà. Sapientiam sapientum perdam – distruggerò la saggezza del saggio – afferma san Paolo: la saggezza di cui parla Paolo non va intesa però nel senso di mera accettazione delle cose, ma piuttosto della necessaria messa in discussione di ciò che ci viene proposto come indiscutibile certezza. Riteniamo allora opportuno valorizzare una cultura per la massa, che metta al primo punto i temi della democrazia e della libertà, e il diritto di criticare una cultura della massa quando causa di omologazione e intolleranza.
@Ale_Pastore_
@lupo_stefano
Alcuni recenti fatti di cronaca, tra cui gli attentati di Parigi e Tunisi e la questione degli ostaggi in mano al sedicente Stato Islamico – con lo spinoso problema delle trattative per la loro liberazione -, hanno dato vita sul web a un dibattito tanto amplio quanto confuso, fino a sfociare in episodi di manifesta intolleranza celati dietro l’anonimato virtuale. Nel tentativo di fare chiarezza proponiamo una riflessione sul modello di comunicazione dei social network e sul rapporto tra democrazia e libertà di opinione.