AMISOM consiste in 22mila militari provenienti per lo più da Uganda, Burundi, Gibuti, Kenya, Etiopia, ed è finanziata in gran parte dall’Unione europea
La risoluzione 2614/2021 adottata lo scorso 21 dicembre all’unanimità dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ha esteso di tre mesi la scadenza della missione di pace AMISOM, prevista per il 31 dicembre 2021, è una buona notizia per la Somalia, che fa affidamento sui soldati della missione dell’Unione africana (UA) per la protezione di importanti strutture, il sostegno alle forze governative e la lotta contro uno dei più letali gruppi jihadisti del mondo: Harakat al-Shabaab.
Il dispiegamento di truppe africane nel Paese del Corno d’Africa venne autorizzato dal Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione africana (AUPSC) il 19 gennaio 2007 e poi approvato dalle Nazioni Unite il 20 febbraio 2007 con la risoluzione 1744, che prevedeva la protezione dei membri del Congresso somalo per la riconciliazione nazionale e la messa in sicurezza delle infrastrutture chiave. Alla missione, istituita tecnicamente come “Peace Support”, ovvero di appoggio all’apparato di sicurezza delle istituzioni federali di transizione, prendono attualmente parte circa 22mila effettivi e il grosso delle truppe proviene da cinque Paesi africani: Uganda, Burundi, Gibuti, Kenya ed Etiopia.
Il Consiglio di sicurezza ha concesso l’ennesima proroga subordinatamente alla conduzione di un tavolo tecnico, avviato lo scorso 28 dicembre e concluso il 9 febbraio, tra l’UA, il comando della missione AMISOM e il governo federale somalo, per la ridefinizione del mandato e per stabilire ruoli e competenze delle diverse componenti dell’apparato di sicurezza nazionale e quello internazionale.
Dopo essere stata esaminata congiuntamente dal governo somalo, dai funzionari dell’UA, dell’Unione europea (Ue) e delle Nazioni Unite, la documentazione elaborata nel tavolo tecnico sarà presentata all’AUPSC e al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite entro il 7 marzo per l’esame finale ed entro il prossimo 31 marzo per l’adozione, che dovrebbe aprire la strada alla nuova missione.
Il nuovo piano di transizione prevede verosimilmente la presenza della missione AMISOM sino alla fine del 2023, definendo un nuovo mandato e una riconfigurazione delle competenze. Ma soprattutto la ricerca di nuovi fondi per assicurare il finanziamento dell’operazione, che resta il nodo principale e fino a oggi è stato in gran parte coperto dall’Unione europea.
Dal primo dispiegamento delle truppe nel 2007, Bruxelles ha fornito quasi 2,3 miliardi di euro al dispositivo militare panafricano. Mentre i Paesi membri vorrebbero che l’AMISOM fosse direttamente sovvenzionata dalle Nazioni Unite.
Il rinnovo dell’AMISOM vedrà con ogni probabilità la missione trasformata in modalità ibrida, con l’ingresso di nuove forze selezionate in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e soprattutto l’avvio anche di una fase di ristrutturazione tecnico-burocratica delle istituzioni somale.
Lo scorso ottobre, il governo federale somalo aveva respinto la decisione dell’AUPSC di approvare il dispiegamento di una missione congiunta UA-ONU ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, che garantirebbe un finanziamento pluriennale programmabile e sostenibile per assicurare il futuro della missione, attraverso contributi erogati dalle Nazioni Unite.
Secondo Mogadiscio, l’AUPSC non ha tenuto in considerazione le posizioni del governo federale ed evidenziato che invece di procedere verso l’approvazione di una missione di stabilizzazione multidimensionale UA-ONU in Somalia, l’organismo panafricano avrebbe dovuto attenersi all’agenda prefissata nell’ambito del piano di transizione del marzo 2018 per l’assunzione delle responsabilità di sicurezza dall’AMISOM da parte delle forze locali.
Per questo, nella concretizzazione di tale ipotesi di trasformazione della gestione della missione dall’UA alle Nazioni Unite, la Somalia ha posto come condizione per la propria accettazione il mantenimento della conduzione in mano all’organismo internazionale africano.
La presenza della missione AMISOM in Somalia, a partire dal 2007, è stata oggetto a più riprese di critiche da parte del governo somalo. Secondo le istituzioni locali, pur riconoscendone il merito nell’aver estromesso al-Shabaab dai centri urbani chiave della Somalia centro-meridionale, la permanenza dei militari stranieri nel Paese avrebbe da una parte rallentato il processo di transizione in direzione delle forze federali somale e dall’altro creato una vera e propria economia parallela all’interno degli apparati militari dei Paesi partecipanti.
Nella sostanza, Mogadiscio reclama che il contributo finanziario internazionale avrebbe permesso alle strutture militari dei Paesi che compongono la missione di corrispondere con regolarità i salari ai propri militari, impedendo disordini e colpi di stato, oltre a rendere possibile il rinnovo degli equipaggiamenti e le dotazioni delle proprie forze armate.
Questi fattori, secondo alcuni esponenti della politica e della sicurezza somala, avrebbero convinto i vertici militari dei Paesi partecipanti della necessità di alimentare costantemente la minaccia islamista, riducendo contestualmente la capacità delle forze somale, al fine di prorogare indefinitamente la missione a proprio vantaggio.
Al tempo stesso, con il pretesto di contribuire alla sicurezza e alla stabilità della Somalia, alcuni Paesi partecipanti alla missione AMISOM, in primis Kenya ed Etiopia, avrebbero sfruttato la propria presenza nel Paese per consolidare i propri interessi economici connessi ed esercitare un’influenza politica funzionale a risolvere a proprio favore questioni bilaterali.
A partire dall’annoso contenzioso per la determinazione dei confini marittimi tra Kenya e Somalia, su cui lo scorso 21 ottobre si è pronunciata la Corte internazionale di giustizia de L’Aja, dando in gran parte ragione alla Somalia e respingendo le richieste con le quali Nairobi invocava un adeguamento della linea equidistante per ragioni di sicurezza.
Tuttavia, anche i funzionari somali che si lamentano dell’AMISOM riconoscono che il ritiro della missione a breve termine sarebbe disastroso, perché le forze armate somale non sono ancora all’altezza di combattere al-Shabaab. Nei primi anni del suo mandato l’AMISOM ha registrato importanti successi e anche se ultimamente ha conseguito pochi progressi nel contrasto agli estremisti islamici, è ancora essenziale per mantenere una certa stabilità in Somalia. Un ritiro frettoloso incoraggerebbe l’insurrezione islamista e potrebbe far precipitare di nuovo il Paese nel caos, mentre è scosso da una crisi politica che ha paralizzato le elezioni parlamentari per oltre un anno.
Tuttavia, sarà difficile che prima del ritiro definitivo l’AMISOM sia in grado di degradare la minaccia del gruppo estremista e ripristinare la pace e la stabilità in Somalia. Ma è ancor più difficile operare una previsione su quando e come l’AMISOM riuscirà a trasferire completamente le responsabilità della sicurezza alle forze somale. Un passaggio che era già stato annunciato alla popolazione locale nel novembre 2017, quando il capo della missione, l’ambasciatore mozambicano Francisco Caetano Madeira, aveva dichiarato che il ritiro graduale si sarebbe completato entro la fine del 2020.
Il tempo ha dimostrato che l’AMISOM da sola non può sconfiggere al-Shabaab, come aveva avvedutamente previsto un rapporto realizzato nel febbraio 2016 dall’Heritage Institute for Policy Studies (HIPS) di Mogadiscio. Nelle conclusioni delle 44 pagine dello studio veniva evidenziato che ciò sarebbe potuto accadere solo se la missione di supporto alla pace avesse potuto collaborare con un apparato capace, legittimato e inclusivo delle forze di sicurezza locali. Ma l’esercito nazionale somalo è debole, lacerato dalle divisioni, dalla corruzione e dalla mancanza di una fattiva cooperazione tra le autorità federali e regionali.
Oggi l’esercito somalo non è in grado di tenere le aree riconquistate dalla missione dell’UA e con il ritiro dell’AMISOM i militanti di al-Shabaab potrebbero invadere il Paese. Di conseguenza, mantenere la missione attiva è essenziale, almeno per ora.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
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Il dispiegamento di truppe africane nel Paese del Corno d’Africa venne autorizzato dal Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione africana (AUPSC) il 19 gennaio 2007 e poi approvato dalle Nazioni Unite il 20 febbraio 2007 con la risoluzione 1744, che prevedeva la protezione dei membri del Congresso somalo per la riconciliazione nazionale e la messa in sicurezza delle infrastrutture chiave. Alla missione, istituita tecnicamente come “Peace Support”, ovvero di appoggio all’apparato di sicurezza delle istituzioni federali di transizione, prendono attualmente parte circa 22mila effettivi e il grosso delle truppe proviene da cinque Paesi africani: Uganda, Burundi, Gibuti, Kenya ed Etiopia.