Biden ha promesso di telefonargli, ma Macron resta furioso per via dell’accordo stretto dagli Usa con l’Australia. Vedremo se nei prossimi mesi i destini americani ed europei si divideranno o meno…
La tormenta diplomatica franco-americana non è destinata a chiudersi nello spazio di una telefonata, quella che Joe Biden ha promesso di fare al Presidente francese Emmanuel Macron nei prossimi giorni. Parigi resta furiosa e non ha torto: l’umiliazione subita da Washington è forte, specie per un Paese e una presidenza che fanno della presenza sul proscenio internazionale un aspetto importante della propria proiezione pubblica.
Il punto di vista di Parigi è chiaro: “Stanno facendo marcia indietro su un certo numero di impegni a livello globale. E c’è un legame reale tra quanto avvenuto in Afghanistan e ciò che sta accadendo con l’accordo con l’Australia, ha detto sabato scorso il Ministro degli Esteri francese Le Drian. Ma in una vera alleanza, ci si parla. Ci rispettiamo a vicenda, rispettiamo la sovranità gli uni degli altri. Ma stavolta non è successo, ed è per questo che c’è una crisi”. La durezza della posizione francese ha sorpreso il Dipartimento di Stato e l’amministrazione tutta e viene attribuita alle elezioni presidenziali del prossimo anno: Macron è in campagna elettorale e deve fare la voce grossa; e in Francia, in fondo, la voce grossa con gli americani paga a destra e sinistra. Restano l’onta e la commessa miliardaria persa.
La verità è che gli americani e gli australiani hanno fatto una sciocchezza in termini di gestione dei rapporti: i diplomatici francesi a Washington ripetono da giorni di aver sospettato qualcosa nei mesi passati e di aver chiesto chiarimenti che non sono mai arrivati. Per chiarezza, pare che anche nell’accordo di vendita di sottomarini francesi a Canberra ci fossero dei buchi: il costo della commessa era cresciuto con il passare dei mesi e questo scontentava gli australiani, che con i sottomarini americani ricevono mezzi a propulsione nucleare, cosa che quelli francesi non sarebbero stati nonostante anche Parigi abbia a disposizione la stessa tecnologia.
La Francia poi sente di aver subito un colpo anche perché ritiene e percepisce se stessa anche come una potenza regionale del Pacifico. Si tratta, a dire il vero, di una visione discutibile: Parigi ha 7mila soldati e possiede dei territori (Nuova Caledonia e Polinesia) che fanno parte del Pacific Islands Forum, ma gli interessi australiani e statunitensi hanno altro peso.
Per ricomporre lo strappo non basterà una telefonata ma quella intanto si farà. Le diplomazie dei due Paesi stanno lavorando e i francesi ribadiscono che il tema non è il contratto ma il modo in cui si è svolta la vicenda. Un portavoce del Governo francese ha spiegato che Macron vuole “chiarimenti” da Biden sulla cancellazione dell’accordo sui sottomarini, ma vuole anche discutere di una compensazione per la Francia.
Ricucire non sarà semplice e un tema su cui Biden potrebbe offrire qualcosa di simbolico potrebbe proprio essere quello del ruolo francese nel Pacifico.
Naturalmente la vicenda non è importante solo per Parigi, ma per aiutare a leggere quali siano le priorità americane oggi e se la retorica bideniana sull’America è tornata, siamo di nuovo al fianco dei nostri alleati storici presi a schiaffi da Trump. Al momento il quadro è contraddittorio. Il ritiro dall’Afghanistan è un caso, in fondo, ben più grave di un contratto di vendita. Anche a Kabul gli Stati Uniti hanno agito per conto loro e senza aver cura delle preoccupazioni e richieste degli alleati che hanno dovuto anche loro smobilitare in fretta e furia sulla base di un’agenda dettata dalla improvvisa fretta di Washington.
Le discussioni sulla difesa comune che sono seguite in sede sono il segno di un terreno che sta smottando. Sulla scia del ritiro dall’Afghanistan, persino la posizione della Ministra della Difesa tedesca Annegret Kramp-Karrenbauer è cambiata. Se in passato aveva frenato la spinta macroniana all’autonomia militare europea, dopo Kabul ha scritto che è l’ora di rendere “l’Unione europea un attore strategico con cui fare i conti”. La fortuna americana, per adesso, sono gli egoismi e i nazionalismi europei con i quali chiunque parli di progetto di Difesa comune deve fare i conti. Ciò detto, per adesso gli europei non sembrano intenzionati a seguire Parigi in questo alzare i toni. In Germania si vota tra una settimana e diversi Paesi avrebbero qualcosa da ridire anche su alcune scelte e comportamenti unilaterali francesi (in Africa o in Libia, ad esempio).
Sebbene dopo Trump il tono americano sia cambiato e alcuni passi di riavvicinamento concreto siano stati fatti – i passi in sede Wto sulla disputa Boeing-Airbus, l’assenso Usa al Nord Stream 2 che aggira l’Ucraina – non sono mancate le scelte unilaterali. Tra queste quella simbolica e unilaterale che impedisce ai cittadini europei, anche vaccinati, di entrare negli Stati Uniti. Ci sono partite generali sulle quali l’unità di intenti è ancora forte, ad esempio la volontà di portare a casa risultati concreti alla COP26 di Glasgow il prossimo autunno. Ma in un mondo che cambia e con Washington ossessionata dalla Cina, il legame storico con l’Europa si complica. E le scelte come quella dei sottomarini non sono destinate a migliorare il quadro. Vedremo nei prossimi mesi se e come Blinken avrà la capacità di correggere la rotta o se i destini americano ed europeo, se non a dividersi, siano destinati a essere meno intrecciati.
Che poi gli Usa e l’Australia ritengano che la strada per contenere la diplomazia del “Lupo guerriero” (che prende il nome da un film di cassetta cinese) sia riempire il Pacifico di sottomarini nucleari, è un’altra vicenda di cui preoccuparsi che non ha a che vedere con i contratti di export militare di Parigi.
Biden ha promesso di telefonargli, ma Macron resta furioso per via dell’accordo stretto dagli Usa con l’Australia. Vedremo se nei prossimi mesi i destini americani ed europei si divideranno o meno…