L’economia nazionale è in condizioni gravissime; la valuta locale è crollata di valore e i prezzi del cibo sono schizzati in alto. Il Presidente Rajapaksa ha chiesto a Pechino di incentivare il ritorno dei turisti nel Paese
Il Presidente dello Sri Lanka, Gotabaya Rajapaksa, ha chiesto aiuto alla Cina per la ristrutturazione del debito e per incentivare il ritorno dei turisti nel Paese. L’economia nazionale è in condizioni gravissime, tanto da aver indotto le autorità a dichiarare, lo scorso settembre, l’emergenza: la valuta locale, la rupia, è crollata di valore e i prezzi del cibo sono schizzati in alto assieme all’inflazione. Lo Sri Lanka importa beni alimentari e materie prime dall’estero e ha difficoltà di accesso alla moneta straniera per via del basso numero di turisti, una conseguenza della pandemia di coronavirus.
Prestiti, porti e turisti
La richiesta del Presidente Rajapaksa è stata fatta di persona al Ministro degli Esteri cinese Wang Yi, che domenica scorsa è andato in visita a Colombo, la città più importante. La Cina è il quarto maggiore erogatore di prestiti allo Sri Lanka, dopo i mercati internazionali, la Banca asiatica di sviluppo e il Giappone. Negli ultimi dieci anni Pechino ha prestato al Paese oltre 5 miliardi di dollari per la costruzione di infrastrutture: autostrade, porti, aeroporti, una centrale di carbone. Tutti progetti che i critici considerano però delle “cattedrali nel deserto” (gli anglofoni dicono white elephants), ossia strutture che costano molto ma che poi non portano benefici effettivi.
Visto da Pechino, lo Sri Lanka è uno snodo cruciale della Belt and Road Initiative (o Nuova via della seta), il grande piano infrastrutturale-geopolitico lanciato nel 2013: punta alla realizzazione di opere di connettività nel mondo, ma è stato accusato – innanzitutto dagli Stati Uniti – di rappresentare una “trappola del debito” per le nazioni piccole e meno solide dal punto di vista finanziario.
Nel 2017, a causa dell’incapacità dello Sri Lanka di ripagare i suoi oneri, la Cina ha assunto il controllo del porto di Hambantota. È proprio la posizione geografica dello Sri Lanka, nell’Oceano Indiano, a renderlo rilevante agli occhi della Repubblica popolare: sono acque importantissime per il trasporto marittimo dell’energia.
Rajapaksa ha inoltre proposto a Wang Yi di incoraggiare i cinesi a fare visita in Sri Lanka, soggiornando negli hotel pre-approvati e visitando solo certe località in modo da ridurre il rischio di contagi da coronavirus. Il Paese ha bisogno di turisti, e la maggior parte di loro provengono dalla Cina.
Il ruolo dell’India
Lo Sri Lanka ha importanti legami (e obblighi) finanziari, economici e commerciali con la Cina. Ma, in un’ottica di diversificazione delle partnership e di attrazione degli investimenti, sta puntando anche sul rafforzamento dei rapporti con l’India, la grande rivale regionale di Pechino.
Di recente le autorità srilankesi e indiane hanno firmato un accordo per la riconversione di un terminal petrolifero vicino al porto di Trincomalee: si trova sulla costa est ed è, per conformazione naturale, particolarmente adatto a ricevere navi. Il valore dell’intesa non è stato rivelato. Ma le informazioni note già permettono di constatare che i terminal dello Sri Lanka si confermano uno degli oggetti della contesa geopolitica-infrastrutturale tra Nuova Delhi e Pechino in Asia.
La richiesta del Presidente Rajapaksa è stata fatta di persona al Ministro degli Esteri cinese Wang Yi, che domenica scorsa è andato in visita a Colombo, la città più importante. La Cina è il quarto maggiore erogatore di prestiti allo Sri Lanka, dopo i mercati internazionali, la Banca asiatica di sviluppo e il Giappone. Negli ultimi dieci anni Pechino ha prestato al Paese oltre 5 miliardi di dollari per la costruzione di infrastrutture: autostrade, porti, aeroporti, una centrale di carbone. Tutti progetti che i critici considerano però delle “cattedrali nel deserto” (gli anglofoni dicono white elephants), ossia strutture che costano molto ma che poi non portano benefici effettivi.