In California, gli scienziati della National Ignition Facility sono riusciti ad estrarre più energia da una reazione nucleare di quanta sia necessaria per innescarla. La fusione nucleare può garantire una enorme quantità di energia a emissioni zero. Un risultato importante incentivato anche dal timore che la Cina possa dominare questa energia
La fusione nucleare è una tecnologia dalle enormi potenzialità: permette, in teoria, di generare energia abbondante, stabile, priva di anidride carbonica e anche povera di scorie radioattive. Il suo valore strategico non si esaurisce nell’ambito civile, delle centrali elettriche, ma riguarda anche la sfera militare: la fusione nucleare, infatti, è anche la reazione alla base delle bombe a idrogeno, più potenti e distruttive di quelle atomiche a fissione. Non a caso, la National Ignition Facility – la struttura del laboratorio Lawrence Livermore in cui si è svolto il famoso esperimento sulla fusione con guadagno energetico netto – è nata proprio con il compito principale di studiare, sviluppare e testare armi nucleari per il governo americano.
Per ragioni legate alla transizione ecologica e alla sicurezza nazionale, l’energia nucleare sta vivendo un momento di grande attenzione negli Stati Uniti: anche l’Inflation Reduction Act, la legge anti-inflazione da 369 miliardi di dollari firmata dal presidente Joe Biden ad agosto, prevede dei finanziamenti pubblici per le tecnologie di fissione e fusione.
Nel 2020 il Congresso americano ha chiesto al dipartimento dell’Energia (da cui dipende il laboratorio Lawrence Livermore) di iniziare a finanziare lo sviluppo di un impianto pilota a fusione nucleare in grado di fornire almeno 50 megawatt di energia elettrica alla rete nazionale. A muovere il Congresso era il timore che la Cina, la grande rivale politica ed economica degli Stati Uniti, potesse riuscire a sviluppare pienamente le tecnologie per la fusione verso gli anni 2050, andandosi a garantire un vantaggio energetico – e forse militare – su Washington.
Lo scorso settembre il dipartimento dell’Energia ha invitato le aziende private a presentare domanda per il primo stanziamento di fondi: 50 milioni di dollari in sovvenzioni per la ricerca, che aiuteranno lo sviluppo dei progetti di impianti pilota a fusione. Almeno quindici società – i loro nomi non sono noti – hanno fatto richiesta; alcune fanno ricerca sulla fusione a confinamento inerziale via laser, altre su quella a confinamento magnetico.
Un funzionario del dipartimento ha spiegato a POLITICO che “stiamo cercando di creare forti partnership tra il dipartimento dell’Energia e il settore privato”, ma non ha voluto fornire maggiori dettagli, trattandosi di argomenti sensibili. Ha solo detto che l’obiettivo è avere un impianto pilota a fusione funzionante entro i primi anni del 2030. Si tratta della stessa tempistica datasi da Commonwealth Fusion Systems, azienda americana di fusione nucleare legata al MIT e finanziata da Eni.
Lo scorso ottobre il Global Times, tabloid cinese legato al Partito comunista, scrisse che il Southwestern Institute of Physics, un istituto associato alla compagnia nucleare statale CNNC, aveva raggiunto un importante progresso scientifico nella generazione di un “Sole artificiale”: il plasma nel tokamak (un macchinario per la fusione a confinamento magnetico) HL-2M aveva superato il valore di 1 milione di ampere. Il riferimento al Sole si spiega con il fatto che la fusione nucleare è il processo che alimenta le stelle.
Mesi prima uno scienziato cinese dell’Institute of Plasma Physics, Hu Jiansheng, aveva detto al Global Times che la Cina aveva completato la ricerca e lo sviluppo dell’80% delle tecnologie chiave per la fusione nucleare, e che inizierà a sfruttare questa reazione per la produzione di energia in un periodo di trenta-cinquanta anni. Si tratta però di affermazioni difficili da verificare.
La fusione nucleare è una tecnologia dalle enormi potenzialità: permette, in teoria, di generare energia abbondante, stabile, priva di anidride carbonica e anche povera di scorie radioattive. Il suo valore strategico non si esaurisce nell’ambito civile, delle centrali elettriche, ma riguarda anche la sfera militare: la fusione nucleare, infatti, è anche la reazione alla base delle bombe a idrogeno, più potenti e distruttive di quelle atomiche a fissione. Non a caso, la National Ignition Facility – la struttura del laboratorio Lawrence Livermore in cui si è svolto il famoso esperimento sulla fusione con guadagno energetico netto – è nata proprio con il compito principale di studiare, sviluppare e testare armi nucleari per il governo americano.
Per ragioni legate alla transizione ecologica e alla sicurezza nazionale, l’energia nucleare sta vivendo un momento di grande attenzione negli Stati Uniti: anche l’Inflation Reduction Act, la legge anti-inflazione da 369 miliardi di dollari firmata dal presidente Joe Biden ad agosto, prevede dei finanziamenti pubblici per le tecnologie di fissione e fusione.