Per conto dei minatori sudafricani, la Chiesa Cattolica sta portando avanti una causa contro le grandi società minerarie. L’estrazione di carbone impiega 100mila persone e produce l’80% dell’elettricità in Sudafrica. In seguito all’invasione russa dell’Ucraina il carbone sudafricano ha conosciuto un nuovo picco.
“È compito della Chiesa fornire assistenza, laddove è possibile, in modo che i minatori possano accedere al risarcimento che è loro legalmente dovuto”. Sono queste le parole con cui l’arcivescovo di Città del Capo, Stephen Brislin, ha spiegato che la Chiesa Cattolica sta portando avanti una class action in tribunale contro le compagnie minerarie in Sudafrica.
L’iniziativa dell’istituzione ecclesiastica è partita all’inizio di questa settimana ed è stata resa pubblica dalla Conferenza dei vescovi dell’Africa meridionale mercoledì. La Chiesa ha spiegato di stare agendo a favore di tutti i minatori che hanno lavorato nel settore dell’estrazione di carbone dal 1965 ad oggi e che hanno in questo modo contratto malattie polmonari, a causa dell’inalazione di polveri nocive.
La causa riguarda la multinazionale BHP, considerata la maggiore società mineraria al mondo, la sua spin-off South32 e la compagnia sudafricana Seriti. La class action sarebbe motivata dal fatto che le tre aziende, a lungo attive sul territorio sudafricano, non avrebbero tutelato a sufficienza i propri dipendenti, fornendo formazione e attrezzature inadeguate e non garantendo perciò un ambiente di lavoro sano.
La Chiesa sudafricana ha spiegato di aver deciso di agire dopo che un gruppo di minatori le si era rivolto per chiedere di fornire loro assistenza. In particolare, l’azione legale è stata intentata per conto di 17 minatori, ancora attivi o in pensione. “Molto spesso gli ex lavoratori delle miniere non sono più iscritti ai sindacati e non hanno quindi i mezzi e le capacità per rivalersi sulle grandi aziende responsabili delle loro malattie polmonari” ha sottolineato l’arcivescovo Brislin.
La causa contro le compagnie minerarie è significativa, perché getta luce su un settore che è cruciale per l’economia sudafricana. Si stima infatti che l’estrazione di carbone impieghi 100mila persone nel Paese e che il fossile sia utilizzato per la produzione di ben l’80% dell’elettricità in Sudafrica.
Storicamente, poi, la presenza di carbone e altri minerali ha avuto un impatto cruciale sugli sviluppi politici del Sudafrica. La ricchezza di materie prime è stata infatti il principale motivo che ha spinto le potenze europee ad interessarsi a questo territorio, negli ultimi decenni del XIX secolo, portando alla colonizzazione inglese e alla creazione dello stato sudafricano. In seguito, l’abbondanza di oro, diamanti e carbone ha fatto sì che questo territorio fosse controllato in maniera molto più stretta rispetto ad altri domini coloniali e ha allo stesso tempo facilitato l’insediamento di una folta popolazione bianca, così come un fenomeno di urbanizzazione precoce rispetto al resto del continente.
Insieme all’interesse per le materie prime, sono da subito emersi lo sfruttamento dei lavoratori africani e lo sviluppo di misure segregazioniste. Mentre i coloni bianchi avevano la proprietà e il controllo delle miniere, le popolazioni locali erano utilizzate per l’estrazione dei minerali, in condizioni estremamente pericolose. Non è perciò un caso che nel corso del ventesimo secolo molte delle proteste sociali e politiche siano partite proprio dai lavoratori di questo settore, che chiedevano più diritti e maggiore sicurezza.
Con la fine dell’apartheid, nel 1996 il parlamento ha approvato il Mine Health and Safety Act (Mhsa), che garantisce una serie di diritti ai minatori per quanto riguarda condizioni di salute e sicurezza. Nonostante questo, tuttavia, le condizioni dei lavoratori sono restate critiche e il settore non ha smesso di essere pericoloso.
La class action è poi fondamentale perché arriva in un momento in cui il carbone sudafricano si trova al centro di varie dinamiche politiche internazionali. Da un lato, negli ultimi anni è infatti aumentata la spinta verso il Sudafrica perché la produzione di carbone diminuisse fino a fermarsi, così da sostituire questo fossile con altre fonti di energia meno inquinanti.
Dall’altro lato, tuttavia, in seguito all’invasione russa dell’Ucraina il carbone sudafricano ha conosciuto un nuovo picco. Gli stati europei hanno dovuto rinunciare in fretta a tutte le fonti di energia provenienti da Mosca, e si sono almeno in parte rivolti a Pretoria. In alcuni casi le importazioni dal Sudafrica sono quindi aumentate, mentre altri Paesi hanno addirittura iniziato a comprare carbone quando negli anni precedenti non lo avevano fatto.
“È compito della Chiesa fornire assistenza, laddove è possibile, in modo che i minatori possano accedere al risarcimento che è loro legalmente dovuto”. Sono queste le parole con cui l’arcivescovo di Città del Capo, Stephen Brislin, ha spiegato che la Chiesa Cattolica sta portando avanti una class action in tribunale contro le compagnie minerarie in Sudafrica.
L’iniziativa dell’istituzione ecclesiastica è partita all’inizio di questa settimana ed è stata resa pubblica dalla Conferenza dei vescovi dell’Africa meridionale mercoledì. La Chiesa ha spiegato di stare agendo a favore di tutti i minatori che hanno lavorato nel settore dell’estrazione di carbone dal 1965 ad oggi e che hanno in questo modo contratto malattie polmonari, a causa dell’inalazione di polveri nocive.