A Johannesburg, grande assente Vladimir Putin, e grande presente Xi Jinping. Gli interessi cinesi nel summit e nella spinta all’allargamento, richiesto da una ventina di Paesi del cosiddetto Sud globale, desiderosi di entrare nel blocco dei Brics.
A Johannesburg è tutto pronto per il summit annuale dei leader del gruppo BRICS, di cui fanno parte Brasile, Russia, India, Cina e appunto Sudafrica. Unico assente, Vladimir Putin. Il mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale, riconosciuta dal Paese africano, avrebbe rischiato di costringere le autorità locali a procedere all’arresto. E dunque il capo del Cremlino ha deciso di mandare il fidato ministro degli Esteri Sergej Lavrov al suo posto.
La sua assenza aumenterà ulteriormente la già ampia risonanza della presenza di Xi Jinping. Non era scontato che il presidente cinese decidesse di recarsi a Johannesburg di persona. D’altronde, già a luglio, il summit dei leader della Sco (l’Organizzazione della cooperazione di Shanghai) di Nuova Delhi è stato ridotto a un formato virtuale per evitare imbarazzi al padrone di casa, un’India impegnata in un complicato esercizio di equilibrismo tra Quad, Sco e appunto Brics.
Invece Xi ha deciso di esserci. Una mossa importante, che arriva in un momento peraltro parecchio delicato. Venerdì scorso, Joe Biden ha ospitato il premier giapponese Fumio Kishida e il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol, per il primo trilaterale di questo tipo di sempre. Pechino l’ha interpretata come un’azione ostile nei suoi confronti e un tentativo di creare una sorta di “mini Nato asiatica”.
Non sorprende dunque che il viaggio di Xi in Sudafrica venga presentato anche mettendo in evidenza le pretese differenze di azione diplomatica tra le due potenze: la cooperazione win-win con attenzione ai Paesi in via di sviluppo del cosiddetto “Sud globale” da parte di Pechino, contro invece la “mentalità da guerra fredda” e la logica del “confronto tra blocchi” che sarebbero promosse dagli Usa.
Un racconto che si poggia sul ruolo dei Brics e sulla volontà di tanti altri governi di aderire al gruppo. L’espansione è in cima all’agenda dopo essere stata messa in secondo piano ai vertici precedenti. Ci sarebbero circa una ventina di Paesi desiderosi di entrare. Tra questi Argentina, Indonesia, Arabia Saudita ed Egitto.
La spinta della Cina verso l’allargamento è stata tradizionalmente rallentata dall’India, ma anche dal Brasile. Il timore è quello di trasformare il gruppo in una piattaforma filocinese o quantomeno utilizzata da Pechino come strumento di confronto con gli Stati Uniti e l’Occidente. Cosa che il premier indiano Narendra Modi e il presidente brasiliano Lula vogliono evitare. Ma è aumentata la pressione di chi chiede che vengano concordate regole e criteri di ammissione, aprendo dunque la porta all’adesione di nuovi membri.
Ovviamente si parlerà anche di economia. Il blocco proverà a ravvivare l’idea di ridurre il predominio del dollaro statunitense nei pagamenti. Un dibattito che ha ripreso grande vigore dopo che gli aumenti dei tassi di interesse americani e l’invasione dell’Ucraina hanno fatto impennare la valuta statunitense. Senza contare il desiderio di schermarsi di fronte a eventuali sanzioni future di alcuni dei componenti del gruppo. Il tentativo sarà quello di incentivare l’utilizzo delle valute nazionali dei vari Paesi membri negli scambi commerciali e transazioni transfrontaliere, ma l’idea di sviluppare una moneta comune appare ancora molto lontana.
Un articolo di Chen Xiaodong, ambasciatore della Cina in Sudafrica, riassume bene la prospettiva cinese sui BRICS: “Il meccanismo di cooperazione BRICS è un’importante piattaforma per la collaborazione tra i Paesi dei mercati emergenti e le nazioni in via di sviluppo. È diventata una forza chiave nel promuovere la crescita economica globale, guidare le riforme nel sistema di governance globale e mantenere la pace e la stabilità internazionali”. Sviluppo e stabilità, in linea con l’iniziativa di sicurezza globale lanciata da Xi lo scorso anno e che ha avuto i primi riverberi nelle iniziative diplomatiche sul Medio Oriente e sull’Ucraina, pur con esiti molto alterni.
Ma per Xi sono cruciali altri due passaggi. Il primo è un forum di dialogo che presiederà insieme al presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, a cui parteciperà la maggior parte dei leader africani. Un modo per riaffermare il legame tra la Cina e un continente cruciale per gli interessi di Pechino, che da decenni ormai investe ingenti somme sulle sue infrastrutture ottenendo in cambio un accesso privilegiato alle sue risorse naturali e minerarie.
Il secondo appuntamento molto atteso è il possibile bilaterale con Modi. I due non si parlano da maggio 2020, poche settimane prima dei violenti scontri esplosi lungo l’enorme confine conteso che hanno causato diversi morti tra i militari di entrambe le parti. Scontri che si sono poi ripetuti anche lo scorso dicembre, stavolta senza vittime. Un incontro tra funzionari della difesa, avvenuto nei giorni scorsi, non è bastato per un totale disgelo. Ma avrebbe quantomeno posto le basi affinché Xi e Modi possano tornare a parlarsi. Sarebbe uno sviluppo rilevante.