Il Paese rischia di ricadere in una spirale di violenza a poca distanza dalla cacciata di al-Bashir: sullo sfondo, il ruolo di al-Burhan, Presidente del Consiglio Sovrano
Il Primo Ministro del Sudan Abdalla Hamdok è in stato d’arresto dopo l’intervento dell’esercito della nazione africana, che di fatto complica la vita al nuovo corso di Khartoum, ponendola in una posizione complicata con il resto del mondo. I militari hanno fermato l’intero esecutivo: dopo il rifiuto di Hamdok di rilasciare una dichiarazione d’appoggio al colpo di Stato, il premier è trasferito dalla sua abitazione. A rivelare l’accaduto il Ministero dell’Informazione, che invita la popolazione a manifestare contro il golpe in atto.
Lo scontro tra Hamdok, esponente civile, e Abdel al-Burhan, Presidente del Consiglio Sovrano dell’ala militare, non è mai stato appianato, e in queste ore è giunto a un tragico epilogo. Al-Burhan, in diretta tv nel primo pomeriggio di ieri, ha annunciato lo scioglimento del Consiglio Sovrano e del Consiglio di Gabinetto: “La storia conferma che il popolo sudanese rifiuta di essere governato da un solo esponente”, ha affermato, contrariamente a quanto si è, in realtà, registrato nelle ultime settimane, con manifestazioni avverse alla presenza dell’esercito a livello politico. Si concretizza, così, quanto già tentato il mese scorso, quando fu sventato il colpo di Stato orchestrato da figure vicine all’ex Presidente Omar al-Bashir.
Il Paese stava lentamente uscendo dai tragici anni della presidenza al-Bashir, diventando un esempio politico dall’interesse internazionale. Il Sudan è stato a lungo nell’elenco Usa degli Stati sponsor del terrorismo, status cancellato neanche un anno fa dalla presidenza di Donald Trump. Questo ha permesso alla nuova, fragile classe dirigente al potere di avere accesso a fondi e aiuti esteri, specie quelli di Washington, con Khartoum nei più grandi piani legati agli Accordi di Abramo. Infatti, la depenalizzazione è arrivata dopo il riconoscimento dello Stato d’Israele.
La notizia del coup d’état arriva dal canale d’informazione Al Hadath, che racconta come le linee telefoniche siano state tagliate in tutto il Paese, con internet che funziona a singhiozzo. Ma è da giorni che montava la protesta dei civili contro i tentativi delle forze militari di tornare al potere. Giovedì scorso l’Ambasciata Usa a Khartoum scriveva su Twitter: “Incoraggiamo i manifestanti a protestare pacificamente e ricordiamo il nostro supporto alla transizione democratica in Sudan”.
Il 20 ottobre scorso, due membri di spicco del Comitato per le Relazioni Internazionali del Senato Usa, Jim Risch e Chris Coons, lanciavano un appello ai militari: “È vitale che le forze di sicurezza rispettino e proteggano il diritto dei civili di manifestare pacificamente e, ancor più importante, che i leader del Sudan continuino a lavorare attraverso il meccanismo deciso per la transizione”. Per gli Stati Uniti, il ritorno militare al potere è una chiara sconfitta, dopo anni di impegno diplomatico e risorse investite nel Paese.
Il Paese rischia di ricadere in una spirale di violenza a poca distanza dalla cacciata di al-Bashir: sullo sfondo, il ruolo di al-Burhan, Presidente del Consiglio Sovrano