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Sudan: le cause di una profonda crisi


Dalla spaccatura tra i militari al ruolo delle potenze straniere. Le tensioni tra esercito e forze paramilitari esplose nei giorni scorsi rappresentano la punta dell’iceberg di uno stallo generale che impedisce la stabilità della nazione

Il Sudan sembra essere lontanissimo da una parvenza di stabilità, tanto auspicata dalla comunità internazionale e dagli attori stranieri in causa nel processo di pacificazione della nazione. Una stabilità che è parsa a più riprese vicina, ma che inesorabilmente ripiombava nel caos con proteste, manifestazioni e violenze contro civili e organizzazioni per la democrazia, sullo sfondo della diatriba cruciale sviluppatasi negli ultimi mesi: quella tra il capo delle forze armate, il Generale Abdel Fattah al-Burhan e il responsabile del gruppo paramilitare delle Forze di Supporto Rapido, RSF, il Generale Mohammed Hamdan Dagalo.

Lo scontro tra l’esercito e i paramilitari per il controllo del Sudan rappresenta un nuovo apice di violenza: secondo Sudan Doctors’ Syndicate, sarebbero almeno 97 le persone inermi uccise tra sabato e domenica, centinaia i feriti. Numerosi i combattenti che, secondo il gruppo, avrebbero perso la vita, con le accuse di inizio dell’attacco che si rimpallano tra le forze vicine ad al-Burhan e quelle in supporto a Dagalo. Ci sarebbero contatti tra i due che, come dichiarato da Volker Perthers, inviato delle Nazioni Unite per il Sudan, nel tardo pomeriggio di ieri avrebbero concordato per una pausa dei combattimenti di circa 4 ore per permettere il soccorso umanitario a chi in difficoltà.

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