A Kuala Lumpur, i principali Paesi musulmani provano a ricompattarsi sotto la leadership turca e iraniana
Si sono dati appuntamento la scorsa settimana a Kuala Lumpur i leader dei più importanti Paesi a maggioranza musulmana del mondo. A presiedere il summit, finito ieri, il Primo Ministro malese Mahathir Mohamad. Almeno 250 i rappresentanti stranieri provenienti da 52 diversi Paesi: tra la voci più importanti presenti, quella dell’Iran, della Turchia e del Qatar. Grandi assenti i leader di Arabia Saudita, Indonesia e Pakistan.
Secondo alcuni giornali locali, il Primo Ministro pakistano Imran Khan avrebbe annullato il suo viaggio dopo una visita in Arabia Saudita pochi giorni prima dell’evento. Circostanza che rivela come Islamabad resti ancora nella sfera d’influenza di Riad.
Tra i temi affrontati, la questione della minoranza uigura in Cina, il conflitto in Yemen, la crisi dei Rohingya, il gender gap insito a numerose realtà islamiche e, naturalmente, le sanzioni americane all’Iran, che il premier malese ha definito come una violazione del diritto internazionale.
Molto duro l’intervento del Presidente iraniano Hassan Rouhani, che ha definito l’Iran un “modello di resistenza”, esortando il mondo musulmano a sviluppare il proprio potere economico, “per salvarlo dal dominio del dollaro Usa e del regime finanziario americano”.
Durante il summit, è intervenuto anche il premier turco Recep Tayyp Erdogan che, in merito allo stato di crisi del mondo islamico, ha dichiarato che i Paesi musulmani “dovrebbero fare i conti” con i propri fallimenti, in particolare nella prevenzione dei conflitti in Medio Oriente e altrove. “È un peccato che stiamo sprecando la nostra stessa energia in controversie interne”, ha sottolineato il Sultano.
Diversi sono stati gli interventi anche sulla questione palestinese, che sia l’Emiro del Qatar Sheikh Tamim sia Hassan Rouhani hanno definito il più grande motivo di instabilità nella regione.
La sensazione finale è stata quella di un tentativo di un pezzo degli schieramenti dei Paesi islamici che sta tentando di compattarsi. La sintonia tra Teheran e Ankara sembra confermatissima, in funzione anti-saudita, che risulta minoritaria nel contesto dei Paesi musulmani.
Erdogan prosegue dunque con grande energia la politica dei due forni, Europa e Islam. E la fine di questa competizione non è prevedibile, perché dipende da troppi fattori: innanzitutto, da quanti anni ancora Erdogan resisterà al potere e, d’altro canto, da quanto l’Europa riuscirà a trovare la forza politica per recuperare la Turchia alla causa europea.
@GiuScognamiglio
A Kuala Lumpur, i principali Paesi musulmani provano a ricompattarsi sotto la leadership turca e iraniana